Ministro Terzi, ieri pomeriggio l’Italia, come già nei giorni scorsi Inghilterra, Francia, Spagna e altri Paesi, ha convocato l’ambasciatore israeliano. Tuttavia, ai giornalisti Naor Gilon ha detto che si trattava «solo di un invito, valuteremo quando sapremo di cosa si tratta». Lei ha seguito il tutto dalla ministeriale Nato di Bruxelles, ci racconta come è andata?
«Ho chiesto al segretario generale della Farnesina Michele Valensise di convocare l’ambasciatore Gilon per comunicargli la forte preoccupazione dell’Italia per la decisione del governo di Gerusalemme di autorizzare 3.000 nuovi alloggi a Gerusalemme Est, un passo che può compromettere la ripresa del negoziato tra Israele e Palestina. La convocazione dell’ambasciatore è un’azione condivisa e concordata con tutti e 27 i Paesi europei e non solo dunque delle nazioni che hanno votato sì alla risoluzione Onu che riconosce lo Stato palestinese. Siamo preoccupati anche per l’interruzione dei flussi finanziari e di elettricità ai palestinesi. Occorre moderazione in entrambe le parti. Abbiamo chiesto questo oggi a Israele, così come il presidente Monti ha a suo tempo chiesto ad Abu Mazen di evitare quella che si definisce in gergo una “intifada diplomatica”, di non adire insomma alla Corte penale internazionale».
Quali garanzie avete ottenuto dall’ambasciatore Gilon?
«L’ambasciatore ha ovviamente preso atto di questa nostra preoccupazione, che riferirà al suo governo, e non ha fornito elementi conclusivi. Le diplomazie stanno lavorando per portare avanti il processo di pace, un elemento questo che mi pare ben compreso da entrambe le parti».
Le difficoltà nelle trattative sono dovute anche al fatto che Israele è sotto elezioni? Un cambiamento di leadership potrebbe aiutare il processo di pace, visto che la politica di Netanyahu ha un punto fisso nei nuovi insediamenti – osteggiati dall’amministrazione americana – mentre Tzipi Livni e Ehud Olmert hanno posizioni più duttili?
«L’attuale alleanza di governo ha come priorità la sicurezza, il rischio nucleare iraniano, gli insediamenti come “natural growth” di Israele. La coalizione attorno al Likud, che comprende anche partiti religiosi, guarda a queste questioni con occhi diversi dal mondo laico israeliano, ma si tratta di differenze radicate sin dai tempi del processo di Oslo. Certo che occorrono mutamenti, nella politica interna israeliana come in quella palestinese. Il sì dell’Italia all’Onu è stato un sì all’Anp che assumeva iniziative legali, in sede multilaterali, invece di ricorrere alle armi come fa Hamas».
Dopo il sì all’Onu, qual è lo stato dei rapporti tra Italia e Israele?
«I rapporti sono eccellenti, quel nostro sì è stato perfettamente compreso».
Lei ha appena partecipato alla ministeriale Nato, qual è la strategia in Siria, visto che sono appena stati schierati i Patriot? È possibile che si arrivi all’applicazione dell’articolo 5 del Trattato, per il quale se un Paese dell’Alleanza viene attaccato gli altri reagiscono in sua difesa?
«La Nato ha dispiegato i missili Patriot a difesa dei confini della Turchia, indubbiamente alla base della decisione c’è l’articolo 5, anche se non viene esplicitamente invocato. Ci sono state ampie discussioni, sia in Consiglio Nato-Russia, sia a 28, sia col ministro russo Lavrov, con il quale abbiamo condiviso la preoccupazione per il possibile uso da parte della Siria di armi chimiche. Lavrov ci ha assicurato che Mosca ha mandato ripetuti e circostanziati messaggi a Damasco perché ciò non accada».
Si dice che la Siria disponga di circa mille tonnellate di armi chimiche…
«Si tratta certamente di un quantitativo ingente, ma il regime sa che non deve valicare la linea rossa. Su questo c’è la piena convergenza della Russia, che ha una forte influenza su Damasco».
Ci sono rischi di un intervento in Siria?
«Lo escludo. Lo schieramento dei patriot non è per disporre una no-fly zone, ma in funzione di deterrenza e difesa del territorio turco dai lanci di razzi Scud dalla Siria. In più, le operazioni delle forze libere siriane vanno avanti più rapidamente del previsto. La nostra preoccupazione è la grande emergenza umanitaria. Oltre ai 6 milioni di euro già stanziati, ne abbiamo disposto ancora 1,5 per un campo profughi in Giordania. Le principali vittime del conflitto sono i bambini, ora anche per il freddo. Una situazione intollerabile, alla quale destineremo poi anche ulteriori fondi».
Dopo l’esperienza con la Libia, si è individuata un’opposizione siriana affidabile?
«È composta da personalità note, moderati che conosciamo bene, e che continuiamo ad incontrare. Ci sarà il 12 una riunione a Marrakesch. Si sta costruendo un embrione di governance, che l’Italia deve accompagnare con convinzione».