ROMA – All`incontro del «Gruppo di alto livello sulla Siria», in programma il 28 febbraio prossimo a Roma, l`Italia e i Paesi europei proporranno agli Stati Uniti «maggiore flessibilità» nelle misure in favore dell`opposizione al regime di Assad. In particolare, chiederanno che gli aiuti militari «non letali» vengano estesi fino a comprendere anche l`assistenza tecnica, l`addestramento e la formazione, in modo da «consolidare l`azione della coalizione».
Lo dice al Corriere il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant`Agata, in una intervista alla vigilia della conclusione del suo mandato alla Farnesina. Il vertice è stato organizzato dalla diplomazia italiana su richiesta del neosegretario di Stato americano, John Kerry, e vedrà la partecipazione degli 11 Paesi più coinvolti nella gestione della crisi siriana e dei rappresentanti dell`opposizione di Damasco.
«Il motivo della richiesta è che Washington ha visto la continuità e il rilievo con cui il governo italiano da più di un anno sta seguendo la crisi siriana. Abbiamo lavorato molto insieme all`inviato speciale per il Medio Oriente, incarico che ho creato al mio arrivo. Lo sforzo è stato di aiutare la nebulosa dell`opposizione a trovare una sintesi. E ci siamo riusciti. Ora esiste una piattaforma concreta, che rappresenta l`alternativa ad Assad sia in termini di proposte che di personale. Ma bisogna cercare di dare una soluzione politica alla carneficina: non possiamo aspettare altre decine migliaia di morti e centinaia di migliaia di rifugiati. Da parte americana c`è una constatazione di urgenza nella risoluzione della crisi».
Quali difficoltà incombono ancora sull`apertura del negoziato?
«L`uscita di scena di Assad è un tema dilaniante. Noi pensiamo che la trattativa potrebbe partire anche mentre il suo regime è ancora in piedi, coinvolgendo Russia e Cina, con la prospettiva di un phasing out, cioè in modo che l`uscita di scena del dittatore sia un punto di arrivo e non di partenza. Certo ci vogliono condizioni politiche: difficile che possa partire un negoziato mentre ci sono ancora bombardamenti, massacri, rifugiati, carceri piene. Occorrono gesti di disponibilità. Roma è quindi un passaggio importante, per la drammaticità della crisi».
L`altro appuntamento italiano per John Kerry è quello del 27 febbraio: il «Transatlantic dinner» con i ministri degli Esteri della comunità atlantica. Di cosa parlerete?
«Mi faccia dapprima dire che la visita di Kerry conclude un periodo segnato da un rafforzamento crescente del ruolo dell`Italia in Europa, nel Mediterraneo, in Medio Oriente, in diversi Paesi africani. E questo è accaduto sicuramente anche come effetto dell`impegno diretto del capo dello Stato, dei suoi molti viaggi all`estero, della sua azione costante e presente. La riunione transatlantica è la prova concreta che come Paese abbiamo credibilità e possiamo fare la differenza su questioni centrali. Discuteremo dell`attualità internazionale, ma al primo posto metterei un grande tema di prospettiva: il lancio del negoziato per il Transatlantic Trade and Investment Partnership (l`accordo sul libero scambio, ndr), che sono convinto cambierà profondamente i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Ue. E’ una trattativa complessa, ma è un percorso obbligato, la dimostrazione di come il pivot sull`Asia, di cui si è tanto parlato, possa diventare pivot sull`Atlantico. Significa riportare l`attenzione su tutto quello che può generare crescita, innovazione e ricerca nel mondo occidentale».
Ma l`Europa è pronta a misurarsi con i rischi di una simile partita?
«Ci sono sicuramente dossier molto critici, ma ho l`impressione che a Bruxelles ci sia un clima diverso. C`è la percezione che l`accordo sia una sfida necessaria di fronte alla grande debolezza delle nostre economie, perché secondo stime convergenti può generare un effetto di crescita di circa 250 miliardi di euro l`anno sul Pil, cioè quasi dell’1%. L`altro aspetto importante è che un esito positivo riporterebbe in campo occidentale la definizione di tantissime regole che riguardano commercio e servizi, dove in caso di fallimento saremmo tra qualche anno esposti a subire regole altrui».
Cosa significherebbe questo per l`Italia e come dovranno agire i governi futuri?
«La nostra sfida più grande è riportare la crescita attraverso politiche di formazione dei giovani, l`innovazione, la ricerca e consolidamento della competitività delle nostre università. Abbiamo bisogno di un cambio di paradigma culturale, che purtroppo da cittadino vedo del tutto assente dal dibattito elettorale in corso: sia pure per motivi comprensibili manca cioè ogni enfasi sul tema della cultura in quanto innovazione, ricerca, formazione, essenziale per la rinascita della nostra economia».
Qual è il posto dell`Italia in Europa e nel mondo?
«In Europa l`Italia deve riprendere un ruolo propulsivo sul piano dell`integrazione politica, guardare alla necessità d`Europa per il nostro Paese e nel mondo dobbiamo rispondere alla grande domanda d`Italia. Le due cose sono strettamente collegate».
È d`accordo che la mancanza di forti leader sia una delle cause principali della crisi europea?
«Sono d`accordo che di recente non siamo riusciti ad esprimere grandi statisti alla guida delle istituzioni comunitarie. Abbiamo perso velocità presso l`opinione pubblica, la tendenza nella formazione del consenso è piuttosto di registrarla invece di uscire dal mucchio e offrire nuove visioni. Soffriamo probabilmente della carenza di grandi idealità, di progetti politici e di società, siamo caduti in una sorta di entropia meditativa legata alle nostre condizioni materiali quotidiane. È inevitabile che sia così, ma rischiamo di avvitarci».