«Ah sì, ha vinto Rohani? Un riformista, e vicino a Khatami, che vince le elezioni a Teheran è la notizia migliore. E non solo per l’Occidente». È appena atterrata da Mosca, Emma Bonino, e tira sospiri di sigaretta con una bella squadra di collaboratori. Una raffica di questioni, mi mettete in contatto con Kerry, ce la facciamo ad arrivare subito al Consiglio dei ministri, a che ora parlo con Letta?. La nuvoletta di fumo si gira, e torna all’Iran, «gran bel segnale quell’80 per cento di persiani in fila per votare, dà legittimità al significato del voto, che è per il cambiamento. Con quelle soglie di affluenza, significa che i giovani sono sulla linea che fu dei riformisti, di Khatami. Starà a noi, starà all’Occidente capitalizzare, senza cominciare a mettere subito le dita negli occhi al regime…».
Bonino non era ministro degli Esteri, ma solo una radicale spinelliana europeista ex commissario a Bruxelles, quando l’hojatoleslam che teneva «La critica della ragion pura» sul comodino dovette cedere la guida di Teheran al giurassico figlio di fabbro Ahmadinejad. Lei puntò il dito: l’Europa ha le sue belle responsabilità ad aver isolato e lasciato solo un riformista come Khatami. «È così. Ed è ancor più valido oggi: bisogna aprire subito un’agenda ampia di colloqui con l’Iran».
Come dire: non solo nucleare…
«No, non solo sul nucleare. E cominciando con la Siria. Spero che adesso anche Laurent Fabius ci ripensi. Si è discusso, se l’Iran dovesse sedersi al tavolo di quella che chiamiamo Ginevra 2, e la Francia era fortemente contraria. Ma non è che non invitando Teheran al tavolo delle trattative viene meno il problema dell’Iran e la sua influenza sulla Siria, ho obiettato».
Lei ha appena avuto un lungo incontro, con pranzo ufficiale, con il suo omologo russo Lavrov. E questo nel giorno in cui son diventati pubblici i piani del Pentagono per una eventuale no-fly zone in Siria, mentre la Casa Bianca afferma di avere le prove dell’uso di gas da parte del regime di Damasco.
«Noi prendiamo molto seriamente le dichiarazioni americane: per la loro capacità di intelligente, ma anche perché la storia ha insegnato loro a non essere troppo precipitosi. Quegli stessi episodi sull’uso di gas nervino da parte di Damasco mi erano stati raccontati anche dai francesi. Spero che tutte queste prove vengano trasferite per una valutazione alla commissione per le armi chimiche delle Nazioni Unite. È del resto anche la linea della Casa Bianca, mi pare, visto che nel loro statement dicono che informeranno per lettera Ban-Ki-moon, e che vogliono condividere con gli alleati e con l’opinione pubblica le prove che hanno. Certo, aggiungono che l’uso di gas spinge Obama a mettere sul tavolo tutte le opzioni».
E tra queste anche il via libera alla vendita di armi leggere agli oppositori di Bashar Assad. Lei aveva espresso la contrarietà dell’Italia ad armare i ribelli.
«Constato che a oggi nessuno ha dato ufficialmente armi ai ribelli. Come prevedevo, perché del resto lo stesso William Hague mi aveva specificato che al momento la Gran Bretagna non intende armare i ribelli. Quello che mi è dispiaciuto di tutta quella discussione fatta a Bruxelles è il danno istituzionale all’Europa, perché ‘un pezzo di politica comune era stato rinazionalizzato».
E i missili russi 5-300 a Damasco? Ha chiesto a Lavrov?
«Certo che l’ho chiesto. Mi ha detto che il contratto per la vendita dei missili ad Assad esiste, ma non gli è stato dato seguito. Gli ho fatto presente che, data la situazione che c’è in Siria, vendere o non vendere armi è una decisione politica, non commerciale. Lavrov mi ha ripetuto che il contratto non ha avuto séguito».
Dunque, Mosca progetta di vendere missili ad Assad e non glieli dà. La Casa Bianca pianifica strike che per ora non attua. C’è un po’ di tattica, tra Russia e Stati Uniti?
«C’è tattica, e soprattutto posizionamento. E questo, come qualunque segnale di attenzione vera, reciproca, sulla questione siriana è un buon segnale».
Dunque, Ginevra 2 si avvicina?
«Lo spero, i segnali sono quelli. Quando fu annunciata qualcuno la dava già per fatta, e forse anche andata buon fine. Io penso che ci sia ancora tantissimo lavoro da fare. Ho chiesto a Lavrov circa la data. Mi ha risposto di ritenere possibili il 6 o il 7 luglio. Anche John Kerry punta molto sulla conferenza. Quello che ho ripetuto loro è che tutte le conferenze di pace che hanno avuto successo sono durate settimane, per non dire mesi. Non un paio di giorni e nemmeno 24 ore, non servirebbe a niente. Credo che davanti a un dossier come quello siriano non si può stare ad aspettare che qualcuno faccia qualcosa. Bisogna prendere l’iniziativa. Centomila morti, ci rendiamo conto? E la grande preoccupazione sulla situazione complessiva dell’intero Medio Oriente. Il 25 giugno andrò dalla parte giordana dei campi profughi: per dare un segnale, per ricordare a tutti quella tragedia. Ma dobbiamo sapere che la strada è lunga, e dobbiamo essere tenaci. A giorni sarò in Serbia e in Kosovo. Per quella pace ci sono voluti vent’anni, e pur con tutte le tensioni i Balcani hanno una prospettiva. Ma la storia ha tempi lunghi, e le persone a volte memoria troppo corta. Purtroppo».