Questo sito utilizza cookie tecnici, analytics e di terze parti.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookie.

Preferenze cookies

Pistelli: «L’Iran sta cambiando. È ora di negoziare» (L’Unità)

È stato il primo esponente di un governo occidentale a sondare il terreno all’indomani dell’insediamento del presidente Hassan Rohani: Lapo Pistelli, vice ministro degli Esteri con delega per l’Iran, fa un bilancio della missione iraniana appena conclusasi.


Si può parlare con l’elezione di Hassan Rohani alla presidenza, dell’inizio di un nuovo corso in Iran?


«Nonostante l’elezione di Rohani, l’intero Occidente fa ancora i conti con una narrazione che ha dipinto l’Iran come una specie di inferno sulla terra. Molti amici mi hanno chiesto prima della partenza, “davvero vuoi andare lì, ma è sicuro?”, ignorando che l’Iran ha una società civile vivace e una cultura raffinata, e che anche sul piano politico obbliga a un dialogo intellettualmente molto stimolante. Sì, l’Iran sta cambiando e molto. L’elezione a sorpresa di Rohani, non prevista nemmeno una settimana prima, sta a dimostrarlo. Tocca a loro certamente, ma anche a noi, trarre profitto da questa finestra di opportunità che non starà aperta in eterno. Del resto, sia il presidente Napolitano che il primo ministro Letta- ho consegnato una sua lettera a Teheran – testimoniano questa consapevolezza. Ed Emma Bonino non ha avuto esitazioni nel dare luce verde a una missione che ci riporta a quei dialoghi privilegiati tra Romano Prodi e Mohammad Khatami».


Ma su quali terreni in particolare dovrà cimentarsi questo dialogo privilegiato tra Italia e Iran?


«Esistono questioni bilaterali, questioni regionali e questioni in cui l’intera comunità internazionale è coinvolta. Per noi, è facile partire dalla cultura, dalla coincidenza di interessi nella stabilizzazione dell’Afghanistan -dove siamo impegnati nella provincia occidentale di Herat – nel contrasto al traffico di droga. Sono tutte questioni in cui il dialogo è facile, poiché gli interessi coincidono. Esistono poi questioni regionali, come il cammino verso la conferenza di Ginevra sulla Siria, dove il governo italiano si sta adoperando, senza ambizioni presenzialiste ma con una attenzione alla sostanza della politica, affinché l’Iran sia coinvolto, in qualche modo, nella soluzione. Hezbollah, che è una parte importante del problema, risponde a Teheran. Dunque, qualsiasi processo nuovo o soluzione transitoria per la Siria coinvolge gli attori regionali e tra di essi l’Iran. Poi c’è il tema del nucleare, che riguarda tutti e non solo Israele».


Un dossier tra i più caldi.


«Sul nucleare, esiste già un tavolo negoziale che deve adesso ripartire con il nuovo governo iraniano. Nel colloquio che ho avuto con il nuovo ministro degli Esteri, Ali Akbar Salehi, che presumibilmente guiderà il negoziato, ho ascoltato la disponibilità ad accettare tutti i meccanismi di verifica e di ispezione che il Tnp (Trattato di non proliferazione nucleare) prevede, per rassicurare la comunità internazionale sull’uso pacifico dell’energia atomica. E perfino la sfida per immaginarne di nuovi. Ma ho anche ascoltato la rivendicazione da parte dell’Iran, come Paese parte del Tnp, al diritto all’energia nucleare, secondo un programma che partì dallo scià, e che tutte le componenti politiche iraniane rivendicano. La vera domanda politica da porsi è una: l’Iran è un attore razionale? Possiamo creare misure di fiducia reciproca che distinguano nettamente quel Paese dalla narrazione che, ad esempio, riguarda la Corea del Nord?».


E qual è la sua risposta, anche alla luce della missione appena conclusasi?


«Io penso di sì. E la politica ha il dovere di sperimentare, fino in fondo, gli spazi che oggi si aprono. A chiudere la finestra c’è sempre tempo, ma questo è lo spirito dei conservatori. Noi vogliamo vedere le loro carte».


Tra le carte da vedere, c’è anche quella relativa al rispetto dei diritti umani?


«Per molti anni, questa è stata una pietra d’inciampo assoluta. Posso dire che anche nei colloqui ufficiali, ho riscontrato la disponibilità, anzi sono stato sollecitato, ad aprire un “dialogo critico”. Come dire, da parte iraniana si è prevenuta l’obiezione prima che arrivasse. Su un piano informale, pur senza eccedere nella previsione sui tempi e sui modi, voglio dire che è lecito aspettarsi alcuni gesti simbolici importanti da Teheran, sui quali l’Occidente è molto attento. Insomma, credo che siamo davanti a un sistema politico complesso ma raffinato, che sa dunque di dover imbastire una melodia nuova, suonando molti tasti diversi, E noi dobbiamo essere all’altezza di questo rapporto nuovo».


In questa ricerca di un rapporto nuovo con Teheran, l’Italia può svolgere il ruolo di apripista per l’Europa?


«Credo che la visita che ho appena compiuto ne sia la più emblematica testimonianza. Siamo chiari: non si tratta di fare fughe in avanti solitarie, ma di spendere quel capitale di relazioni politiche, culturali, perfino personali, per far avanzare i rapporti tra la comunità internazionale e l’Iran. E questo a vantaggio di tutti, non solo a vantaggio nostro. Ovviamente, se l’operazione riesce è chiaro che l’Italia avrà la sua legittima parte di dividendi».