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Bonino: «Si può ancora trattare e Assad prima o poi crollerà» (Il Messaggero)

Il tempo per negoziare ancora c`è, Emma Bonino ne è convinta. Gli Stati Uniti si prenderanno un po` di giorni prima di lanciare i loro missili sulla Siria. Nel frattempo si può tentare di far tornare in gioco la politica, tanto più che l`Europa sembra aver finalmente trovato una posizione comune (o almeno qualcosa che ci somiglia) e può provare a esercitare un suo ruolo. Per arrivare a questa posizione comune si è dovuto sottoscrivere, tra l`altro, un documento di pesante condanna ad Assad, fortemente voluto dagli Stati Uniti. Alla fine lo ha firmato anche la Germania, dopo un ripensamento al quale ha contribuito l`opera di convincimento compiuta dal nostro ministro degli Esteri sul suo collega tedesco Westervelle.


Ministro Bonino, ma questo documento non smentisce di fatto la linea italiana?


«La posizione italiana non è cambiata. Il presidente Letta, io e il ministro Mauro abbiamo in più occasioni riaffermato la più ferma condanna dell`uso di armi chimiche. La solidarietà transatlantica non è mai stata messa in discussione e la nostra firma al documento è la prova di quanto saldo sia il legame con Washington e della comprensione delle ragioni politiche che muovono gli Usa. Ma abbiamo ribadito agli amici americani la nostra contrarietà a un`azione militare decisa al di fuori del contesto dell`Onu e prima che gli ispettori presentino le loro conclusioni sull`odioso attacco con le armi chimiche».


Se potessimo tornare indietro di due anni lei sarebbe ancora favorevole a un intervento internazionale in Libia?


«Libia e Siria sono due realtà molto diverse. In Libia vi è un sistema tribale ancora ben radicato con milizie di diversa appartenenza che mantengono un ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza nell`area di propria influenza. Nel caso siriano esisteva un vero e proprio Stato governato con il pugno di ferro dalla minoranza alawita mantenendo alleanze importanti con settori sunniti e con le minoranze religiose. L`equilibrio è saltato. Assad ha scelto la repressione generalizzata e cruenta contro il proprio popolo e, come Gheddafi, si troverà prima o poi a pagare un prezzo. Ma non è attraverso un intervento militare esterno che si può stabilizzare il Paese quando anche all`interno dell`opposizione c`è lotta aperta e sul terreno non vedo una fazione che possa prevalere».


Quale può essere la “soluzione politica” che l`Italia invoca per la crisi siriana?


«La situazione che si è determinata dopo il G20 e la riunione informale dei ministri degli Esteri europei a Vilnius probabilmente ci lascia un lasso di tempo prima dell`eventuale azione militare durante il quale dobbiamo cercare con forza proposte alternative in grado di coagulare il massimo consenso possibile. Dopo la presentazione del rapporto degli ispettori è auspicabile che si possa mettere sul tavolo una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite accettabile per tutti. La soluzione politica che l`Italia ha sostenuto è stata già tracciata da Ginevra 1 e prevede una serie di passi come il cessate il fuoco, la formazione di un governo provvisorio, il rientro dei profughi…».


Prima della strage del 21 agosto molti erano convinti che l`Occidente, visti i risultati delle rivoluzioni in Egitto e in Libia, avesse deciso di lasciare Assad al suo posto. È ancora così?


«Assad prima o poi sarà costretto a lasciare il suo posto. La Storia e il suo popolo lo hanno condannato per sempre e non è questione se Assad rimarrà, ma quando sarà costretto ad andarsene. Nemmeno alcuni dei suoi alleati, come i russi, ritengono che rappresenti il futuro della Siria».


Possiamo credere ancora in una democrazia nei paesi arabi?


«Certamente. Il risveglio arabo con le sue convulsioni ancora in atto ha segnato l`inizio di un processo voluto con forza da diversi popoli arabi per arrivare a società in cui tutte le componenti sociali possano esprimersi liberamente ed esercitare i propri diritti fondamentali. Forse non vi è ancora piena contezza che accanto a essi vi sono anche doveri. Restano molti passi da fare per arrivare a democrazie compiute. Ma anche noi in Occidente, in Italia in particolare, non possiamo dare troppe lezioni quando siamo oggetto a nostra volta di critiche di organismi internazionali per il nostro sistema della giustizia, il trattamento dei carcerati…».


Come è stata presa a Washington la posizione italiana? È vero che gli Stati Uniti sono irritati con noi?


«Parlano i fatti. Non vi è stata irritazione degli Stati Uniti che hanno chiarito che lo scopo della loro azione diplomatica è acquisire il sostegno politico alla loro linea e non necessariamente la partecipazione a un`eventuale iniziativa militare. Un sostegno che l`Italia non ha mai fatto mancare».

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