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Giro: «Così le religioni possono cambiare il mondo» (Avvenire)

Mario Giro, oggi sottosegretario agli Esteri, è stato per molto tempo il responsabile degli affari internazionali della Comunità di Sant’Egidio. Porterà all’Incontro la sua esperienza di governo, in veste nuova.


L’Incontro comincia a Roma mentre nel mondo c’è tanta violenza. La guerra è più forte della pace?


Le religioni che si incontrano per dialogare e discutere di pace danno un segnale in controtendenza. É una presa di responsabilità. Si assumono il compito di discutere di questi problemi, sono vicine ai loro popoli, e sono coinvolte. Roma ha proprio lo scopo di mettere insieme le religioni per trovare risposte di pace e non essere strumentalizzati dalla guerra.


Ma la religione è spesso pretesto per la violenza…


I motivi per uccidersi si possono trovare in tanti modi, e i responsabili delle religioni sono coscienti che spesso c’è chi utilizza il nome di Dio per uccidere, ma la guerra non è mai santa. Soltanto la pace è santa.


Questa è la 27a edizione. Quali i frutti?


Questo appuntamento ha contribuito a cambiare il mondo. Ma il cambiamento non si può avvertire con uno sguardo superficiale. Le religioni incontrandosi sono cambiate, si sono confrontate, e in questo lungo pellegrinaggio molte cose sono state scoperte. Ne abbiamo un segnale quando vediamo che cristiani e musulmani trovano lo spazio per il dialogo anche in momenti difficili. In Pakistan, ad esempio, dove ci sono stati questi tremendi fatti, molti imam si sono avvicinati ai cristiani e hanno evitato condanne a morte. Certo, ci sono vittime e la violenza arriva più facilmente alle orecchie di tutti, ma in realtà c’è un lavorio talvolta silenzioso, talvolta più evidente, di amicizia e di contatto in cui le religioni confrontandosi si purificano da ogni spirito di vendetta e di violenza. Senza il dialogo il mondo sarebbe peggiore.


I religiosi faranno anche il punto sul Medio Oriente. L’Italia che ruolo gioca per la riappacificazione in questa terra.


In Siria, in particolare, la posizione dell’Italia è stata di grande ragionevolezza senza farsi illusioni perché è una situazione molto delicata. Il governo ha detto subito che aggiungere guerra alla guerra non è la soluzione. Le cose si sono evolute. Non possiamo ancora dire con certezza che abbiamo trovato una soluzione, però lo spirito è cambiato. Davanti alla tragedia siriana, che è una tragedia epocale, dobbiamo riuscire a fermare la violenza. La proposta russa, gli incontri a New York lasciano sperare. Ci avviamo verso un Ginevra 2: che sia una conferenza veramente risolutiva.


Quale può essere l’apporto italiano?


L’Italia sta facendo un lavoro enorme, molto importante, con la Russia, con l’Iran, con gli Usa e partner europei come la Francia. Ha assunto questa posizione di non aggiungere altra violenza che adesso tutti stanno condividendo.


A Roma si farà anche il punto sulla sorte dei cristiani massacrati in Paesi dove non esiste libertà di religione. L’Italia cosa può fare?


Il nostro Paese ha fatto molto in Paesi come l’Iraq con i governi che si sono succeduti, chiedendo l’attenzione anche dei suoi partner europei su queste persecuzioni. Qualcosa è possibile, come l’aiuto alle comunità cristiane, e questo è stato fatto con progetti concreti. Il governo si è attivato, ma occorre fare in modo che questo sia un tema dell’Unione Europea.


Un altro argomento romano è la migrazione, con l’accoglienza e l’integrazione. L’Italia fa abbastanza?


Negli ultimi anni il discorso dell’immigrazione aveva acceso molte passioni politiche. Con il governo Monti e poi con l’esecutivo Letta il tema è affrontato in maniera molto più ragionevole e serena. Adesso, con la nuova ondata, prima dalla Libia poi dalla Siria, è evidente che è necessaria una politica europea che non esiste ancora. Soprattutto è importante che la società italiana non si divida di fronte alle necessità di accogliere e di trovare soluzioni per chi scappa dalla guerra e dalla violenza.

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