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Mogherini: unica arma il dialogo «Mai più errori come in Libia»

Ministro Federica Mogherini, alle porte dell`Europa ci sono molti focolai di crisi. Uno è l`Ucraina, oggi al voto al pari dell`Egitto. Lei ha detto che anche in questo caso bisogna investire sull`interesse comune, lavorare alla creazione di situazioni win-win, nelle quali tutti hanno un vantaggio. E’ sufficiente la volontà di dialogo per trovare soluzioni?


«Non c`è soluzione che non passi per il dialogo. Non esiste una soluzione militare alla crisi ucraina. Ne sono consapevoli gli ucraini, gli europei e credo anche i russi. Quindi l`unica strada è politica».


Ovverosia?


«Serve dialogo nell`Ucraina e tra l`Ucraina e i suoi vicini, compresa la Russia. In questo contesto possono essere necessari strumenti di pressione, come le sanzioni, ma sempre con l`obiettivo di portare le parti intorno al tavolo di trattativa. Il punto vero è concentrarci sulle elezioni presidenziali per poi creare un clima minimo di fiducia reciproca che permetta di avviare un serio percorso di riforma costituzionale, che coinvolga tutti. Non sarà facile, ma rispetto a due mesi fa mi sembra che ci siano passi in avanti».


Altro punto caldissimo, la Libia. Che fare per ridare speranza al popolo libico? «Bisogna dire ai libici che l`intera comunità internazionale è pronta a sostenere il loro processo di transizione democratica, ma che il processo di dialogo è nelle loro mani e che devono essere loro a condurlo. Pacificamente, politicamente…».




In questi giorni il dialogo si fa con i tank. Pare diffide arrivare a un confronto pacifico…


«E’ difficile ottenerlo perché la Libia non ha una tradizione di istituzioni democratiche. Ma da un lato c`è il modello tunisino; dall`altro, un`instabilità cronica. La comunità internazionale ha tutto l`interesse alla stabilità ed è pronta a dare assistenza, politica e tecnica. Ma, come per l`Ucraina, per la Libia non c`è alcuna opzione militare».


Se la Libia è uno Stato mai nato, dopotutto, è anche per responsabilità dell`Europa che è stata molto attiva nell`eliminare Gheddafi e poi l`ha lasciata a sé stessa…


«Vi è stato un errore: non leggere la complessità della situazione libica. Distratta da altri scenari, la comunità internazionale ha creduto che dopo la caduta di Gheddafi le cose potessero sistemarsi da sé. E’ mancato un sostegno solido al processo politico interno. E’ quello che dobbiamo fare ora».


Strettamente legata a questa è la questione dell`immigrazione dalla Libia. Tutti dicono che l`Europa non può scaricare sulle nostre spalle la gestione del problema. Chiederemo modifiche strutturali o ci accontenteremo di gesti simbolici?


«Dobbiamo agire su tre livelli, nessuno dei quali è simbolico. Dobbiamo guardare alle cause profonde e di lungo periodo delle migrazioni, lavorando alla prevenzione dei conflitti, alla gestione delle aree di crisi, e dobbiamo fare una più forte politica di cooperazione allo sviluppo. Nel medio periodo dobbiamo adoperarci per la stabilizzazione dei Paesi di provenienza e di transito. E poi c`è da rivedere la gestione ordinaria dei flussi».


Come?


«Dobbiamo modificare le politiche europee di asilo e integrare Mare Nostrum con Frontex che deve investire molto di più. L`Europa deve condividere il problema e di questo parleremo già al Consiglio europeo di giugno».


Sui marò lei ha voluto un cambio di passo. E’ ottimista o pessimista dopo l`esito delle elezioni a Delhi?


«Non applico le categorie ottimismo-pessimismo, ma solo quella delle razionalità e del lavoro costante. Noi abbiamo accolto l`invito del Parlamento all`internazionalizzazione del caso. Abbiamo riaffermato che non riconosciamo la giurisdizione indiana e che i marò erano in missione anti pirateria e quindi coperti da immunità funzionale. Abbiamo costituito un gruppo di nove giuristi italiani e stranieri, che ha già iniziato a lavorare, e stiamo seguendo la strada condivisa con il Parlamento e con le famiglie degli stessi fucilieri: quella del ricorso agli strumenti giuridici internazionali».

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