L’intervista con il Ministro degli Esteri
di Andrea Malaguti
Ministro Gentiloni, i dossier sul suo tavolo per il 2015 sono un`infinità. Partiamo dalla Russia?
«D`accordo».
Sulla questione delle sanzioni a Mosca «per le azioni illegali in Ucraina» esiste una linea più morbida dell`Europa e una più dura degli Stati Uniti. Può spiegarci come si sta muovendo l`Italia?
«In verità io ho trovato grande sintonia sia in sede Nato sia in sede Ue. Almeno nelle scelte ufficiali. Per le quali, lo ricordo, ci vuole l`unanimità. È anche vero che la sintesi è stata ottenuta partendo da punti di vista e interessi non coincidenti».
Perché Italia e Germania, che hanno i maggiori legami economici con Mosca, non si muovono assieme per rivedere le sanzioni?
«Di sicuro è necessario tornare a una situazione di dialogo. Ma dipende innanzitutto dalla Russia, che per prima cosa deve rispettare i protocolli di Minsk. Io e il collega tedesco, Steinmeier, abbiamo comunque una visione comune che si fonda su due punti. Primo: le sanzioni devono essere reversibili. Secondo: l`Europa non è un rubinetto di sanzioni. Di sicuro si deve evitare di entrare in uno schema logico da Guerra fredda».
Non ci siamo. già?
«No. La Guerra fredda era un confronto di ideologie. Qui siamo di fronte a una crisi di rapporti tra l`Unione europea e il suo vicino più importante».
Che cosa può fare l`Europa in questo contesto?
«Può fare molto anche se nessuno si nasconde che il compito di gestire una politica estera comune sia complicato».
Complicato o impossibile?
«Complicato. E solo chi ignora quanto sia centrale il rapporto con il mondo intero in termini economici e di sicurezza può considerare la scelta di Renzi su Lady Pese come un ripiego».
Forse. Ma la Mogherini per fare sentire la propria voce ha bisogno di appoggiarsi alle parole di Kerry. Le serve una spalla forte.
«Non scopriamo oggi che l`Europa è un gigante economico ma deve fare ancora molto sul versante della coesione politica. E certo non è colpa della Mogherini. Che sta partendo quasi da zero».
Zero è un po` poco visto lo scenario internazionale.
«Io sono realista. So che gli Stati Uniti d`Europa – il mio ideale sono diversi dai trattati di Lisbona. Ma bisogna muoversi anche a piccoli passi. E dobbiamo essere consapevoli che il nuovo equilibrio multipolare prevede la ricerca di una integrazione europea sempre più forte combinata con una difesa chiara degli interessi nazionali. Economici, diplomatici e militari».
Nel frattempo non sembriamo tanto bravi a farci carico del destino dei marò.
«I contatti politici con la nuova amministrazione indiana stanno andando avanti. Ma di sicuro i frutti di questi contatti sono deludenti. Servono risultati tangibili. in tempi stretti».
Perché, ancora una volta, non coinvolgere l`Europa?
«L`Europa è coinvolta. Ora vediamo se le aperture indiane si trasformeranno ín fatti».
Ministro, a proposito di politiche non riuscitissime, tre anni fa Cameron e Sarkozy furono accolti in Libia come degli eroi. Oggi il Paese è nel caos. E il generale Haftar, capo dell`esercito libico fedele al Parlamento di Tobruk, sostiene di combattere per noi contro il califfato alle porte.
«Il generale Haftar è una delle parti in causa. L`unica cosa certa è che l`Italia e la comunità internazionale non possono accettare la divisione della Libia in due. Al momento nessuno sembra in grado di prevalere sul piano militare. E l`unica conseguenza del protrarsi di azioni di guerra è che si consolidino le posizioni radicali sia in campo islamico che a Tobruk».
Rilancerebbe l`idea del peacekeeping?
«È evidente che nessuno può intervenire militarmente in Libia se non esiste una cornice di un percorso avviato dall`Onu, ma è altrettanto evidente che non appena questa cornice ci fosse, nessuno potrebbe pensare di andare avanti senza il contributo di forze di monitoraggio e/o di peacekeeping delle Nazioni Unite».
Con le coste libiche fuori controllo quanta paura le fanno le possibili infiltrazioni terroristiche?
«Penso che la preoccupazione ci debba essere. Ma non possiamo pagare a questa preoccupazione prezzi troppo elevati sul piano politico e culturale. Chi identifica la minaccia terroristica con l`Islam o con i flussi migratori commette un errore folle»
Era giusto ribaltare il regime di Gheddafi?
«Io dico che quella operazione è stata fatta in un momento di debolezza forse unico del nostro Paese. E che quindi non abbiamo avuto sufficiente voce in capitolo per porre il problema centrale, cioè cosa sarebbe successo con la caduta del regime».
Non le pare che l`Occidente abbia banalmente peccato di interventismo? C`è un guaio e lo risolvo io in funzione dei miei interessi. Non è stata questa la formula dopo l`11 settembre?
«No. Quando parliamo di politica estera siamo portati a focalizzarci sulle crisi in atto ma guardiamo anche al dopo. Spesso le missioni di pace, la cooperazione e gli interventi umanitari portano benefici enormi. Penso a quello che è successo nei Balcani occidentali. C`è stata una terribile emergenza. Ma oggi iflussi migratori sono quasi spariti. E i rapporti commerciali sono sempre più stretti. Non intervenire non risolve le crisi».
Teme anche lei le elezioni greche?
«Posso peccare di ottimismo ma credo che i rischi di eventuale contagio siano contenuti. Comunque vadano le elezioni, la Grecia farà i conti con la cornice europea».
Ministro Gentiloni, il suo nome è piuttosto gettonato per il Quirinale. Che effetto le fa?
«Ne parliamo un`altra volta, magari. Buon anno».