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Gentiloni: una regione autonoma nell’Est sul modello del nostro Sud Tirolo (La Stampa)

“Una regione autonoma nell’Est sul modello del nostro Sud Tirolo”

Gentiloni: l’opzione militare alla fine favorirebbe Putin, più efficaci le sanzioni

di Paolo Mastrolilli, inviato a New York

“Non riteniamo che la fornitura di armi all’Ucraina sia una buona idea. Speriamo nel successo del negoziato, per l’assetto delle regioni orientali potrebbe tornare utile il nostro modello del Sud Tirolo”. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è a New York, e parla alla vigilia di una giornata cruciale su tre fronti: la crisi fra Mosca e Kiev, la Grecia e la Libia.

Se l’incontro di oggi a Minsk fallisse, il presidente Obama è pronto ad armare gli ucraini. Perché non è una buona idea?

«Rispettiamo le idee e le eventuali decisioni degli Stati Uniti, che sono il nostro alleato maggiore, ma l’escalation delle armi è quella che metterebbe meno in difficoltà Putin».

Quali sono gli scogli da superare nel negoziato?

«A Monaco ho incontrato vari colleghi dei Paesi coinvolti nel negoziato, tra cui il ministro russo Lavrov. In discussione sono in particolare il cessate il fuoco, il ritiro delle parti, la sorveglianza dei confini, lo status dell’Ucraina orientale, e l’amnistia. Da quando è stato firmato il primo accordo di Minsk la situazione è cambiata, perché i ribelli sono avanzati. Bisogna trovare un punto di equilibrio che non rifletta le conquiste fatte con la forza».

L’Italia cosa propone al negoziato?

«Il contesto è diverso, ma io ho parlato del nostro modello in Sud Tirolo. È possibile trovare una soluzione che rispetti la sovranità dell’Ucraina, preservi i suoi confini e rispetti i diritti delle minoranze, se Mosca ha la volontà politica di accettarla. Tutto ora dipende dalle decisioni della Russia».

Se non saranno positive scatteranno nuove sanzioni?

«Non lo voglio dire per scaramanzia, e anche per gli interessi dell’Italia, ma il terreno economico è quello più efficace per fare pressioni sulla Russia».

Sareste favorevoli all’ingresso dell’Ucraina nella Nato?

«Credo che sarebbe un errore. L’Italia partecipa alle operazioni di protezione dei Paesi baltici, ma per l’Ucraina l’obiettivo è avere una relazione in cui la Russia non rappresenti una minaccia per Kiev, e quindi l’adesione alla Nato non sia necessaria».

Obama vuole dal Congresso la nuova autorizzazione per combattere l’Isis: l’Italia è pronta ad un intervento militare più diretto?

«Siamo determinati a fare ciò che la coalizione vuole, e il Parlamento autorizza. La situazione può cambiare in base alle necessità, ma al momento il nostro contributo non prevede la partecipazione agli strike, e questa resta la nostra posizione».

Un italiano è stato arrestato a Mosul, voleva unirsi all’Isis: esiste una minaccia terroristica diretta contro il nostro Paese?

«Esiste, e si alimenta con contenuti simbolici e ideologici contro il cristianesimo: la bandiera nera di Daesh (Isis) sull’obelisco di piazza san Pietro, la conquista di Roma e Gerusalemme, le immagini più lugubri del terrorismo. I combattenti stranieri italiani sono meno di quelli di altri Paesi, ma la minaccia non è quantitativa, e il problema del reclutamento non riguarda solo Iraq, Siria e Libia, ma anche i Balcani. Seguiamo la vicenda dell’italiano e teniamo alta la guardia».

Siete disposti a negoziare con Assad per una soluzione?

«La strategia ha tre punti centrali: quello militare, che ha bloccato l’avanzata di Daesh, in attesa della eventuale campagna per riprendere Mosul; quello culturale, dove all’interno della comunità islamica è cominciata una battaglia a viso aperto contro il terrorismo, per esempio attraverso le posizioni prese dal re di Giordania e dal presidente egiziano; e quello politico. Su questo punto, in Iraq è necessario continuare il lavoro per un governo più inclusivo verso i sunniti e i curdi. In Siria appoggiamo l’iniziativa dell’Onu per congelare i combattimenti in zone come Aleppo, ma poi serve un negoziato con la struttura del regime, per un processo di transizione che elimini Assad e altre figure più cruciali, ma senza azzerare tutto».

L’Isis avanza anche in Libia: come si può fermare?

«Oggi l’inviato dell’Onu Leon dovrebbe tenere il primo incontro in Libia di quasi tutte le parti coinvolte nel conflitto, cioè oltre alla componente di Tobruk, in parte legittimata dalle elezioni, anche i misuratini e alcuni tripolini. Se questo processo di riconciliazione funzionerà, l’Italia è disponibile a partecipare al monitoraggio o al peacekeeping. Se fallirà, la minaccia terroristica, che finora è stata contenuta a Derna e alcune zone del sud, diventerà molto più grave, e dovremo preoccuparcene seriamente perché sarà a 3 o 4 ore di navigazione da noi».

Teme l’uscita della Grecia dall’euro?

«L’Europa non rischia il collasso, e penso che con la flessibilità di entrambe le parti si possa anche evitare la “Grexit”».

Per la vicenda dei marò abbiamo rinunciato all’arbitrato?

«La Corte Suprema indiana ha accolto le ultime richieste dell’Italia, e ora c’è un dialogo politico per trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti».