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Gentiloni: “L’Italia non può chiudere le porte alla Russia” (La Stampa)

“L’Italia non può chiudere le porte alla Russia”

Il ministro degli Esteri Gentiloni: paghiamo un prezzo alto per le sanzioni, ma abbiamo sempre fatto la nostra parte

di Antonella Rampino

Ministro Gentiloni, le frontiere a Est dell’Unione europea non sono ancora tranquille: a Kiev c’è appena stato un summit della Ue, e lei sarà in visita martedì prossimo. Tra i molti capi di Stato attesi all’Expo arriverà anche Vladimir Putin. A che punto è la questione ucraina?

«La situazione in Ucraina è molto fragile, l’accordo a suo tempo raggiunto da Merkel e Hollande tiene, sul piano del cessate il fuoco, ma solo due settimane fa si è trovato un punto d’accordo sulla definizione di cosa sia un’arma pesante, in modo che se ne potesse completare il ritiro».

Lei cosa dirà a Poroshenko?

«Che l’Italia sostiene Kiev, e Kiev deve fare le necessarie, dolorose riforme economiche e costituzionali, compresa l’autonomia del Donbass. E’ importante anche perché una certa narrativa mediatica anglosassone ci dipinge come perplessi, quando invece abbiamo sempre fatto fino in fondo la nostra parte. L’Italia ha guidato i pattugliamenti Nato sui cieli del Baltico e ha applicato correttamente le sanzioni alla Russia, pagando un prezzo pesante. La nostra specificità è che riteniamo occorra non chiudere le porte alla Russia».

E siamo a Putin che arriva all’Expo. Vedrà Renzi?

«La data non è ancora stata fissata, ma certamente l’incontro ci sarà. Senza illudersi di poter tornare d’incanto alla situazione pre-crisi Ucraina, occorre mantenere aperti i canali con Mosca. Non sfugge il ruolo che la Russia già ha nella scacchiera della gestione delle crisi internazionali, dall’accordo sul nucleare iraniano fino alla crisi più drammatica, quella in Siria. E potrebbe essere utile anche in Libia».

Diversamente, rischiamo di lasciare Mosca nelle braccia di Pechino, dove Putin corse non appena varate le sanzioni? La preoccupa che il ministro della Difesa cinese abbia annunciato esercitazioni militari congiunte con i russi nel Mediterraneo?

«No, non mi preoccupa. Va valutato per quello che è: un messaggio. L’annuncio coincide con la visita del premier giapponese Shinzo Abe a Washington che ha portato una cooperazione rafforzata, anche militare, nippo-americana. In più c’è la volontà cinese di mostrare che la loro marina sa andar lontano: sposteranno verso il Mediterraneo due fregate e una nave d’appoggio. Ma che ne nasca un’alleanza strategica anti-Occidente tra Cina e Russia mi pare improbabile».

Dopo Kiev, lei va a Varsavia. Per ricordare a un importante Paese del Nord che oltre al Baltico c’è anche il Mediterraneo, mare di morte per i migranti?

«Questo i polacchi lo sanno bene, ma certo c’è anche il rischio che i 28 vedano ciascuno solo la crisi nel proprio giardino e tendano a occuparsi di quella».

A questo proposito, non è stato un errore strategico per l’Italia aver accettato di sostituire Mare Nostrum con la sottodimensionata Triton, per poi chiedere alla Ue maggiore impegno e fondi?

«Questa mi pare una diatriba al di sotto della serietà del problema. Tra l’una e l’altra missione non è cambiato niente se non il raggio teorico delle operazioni. Il 90 per cento dei migranti continua ad esser salvato in mare, dai mezzi italiani, guardia costiera e Marina ben oltre il raggio teorico di entrambe le missioni. I disperati che fuggono da guerre e miseria non possono certo valutare le differenze tra Frontex e le altre missioni. Il punto è che quasi tutto grava sulle nostre spalle. L’Europa deve condividere questa responsabilità, e dal vertice promosso da Renzi è venuta una prima risposta».

Non basterà a fermare i barconi che partono dalla Libia, contro i quali avete invocato un’operazione di polizia. L’Onu darà il via libera?

«Aspettiamo la risposta da New York, la bozza di risoluzione proposta dall’Italia verrà discussa nei prossimi 10 giorni. Come tutte le vicende che arrivano in Consiglio di Sicurezza, non sarà facile. Ne ho parlato da poco, a Pechino, con il ministro degli Esteri cinese e ho registrato un’apertura. Noi non riteniamo che quella sia “la” soluzione, ma è uno dei tasselli per poter arrivare a colpire i trafficanti di migranti. Un altro punto, anche questo molto complesso, è la stabilizzazione della Libia. Martedì l’inviato dell’Onu Bernardino Leon terrà a Roma gli incontri con noi e i principali governi occidentali per fare il punto sul negoziato. Il senso comune è che occorra chiudere l’accordo entro l’inizio del Ramadan, a metà giugno».

Anche in Europa le cose non sono meno complesse. Giovedì ci sono le elezioni nel Regno Unito e si profila lo spettro «Brexit»: se vincesse Cameron, c’è il rischio – come riconosce anche l’Economist – di una iattura per la Ue e la stessa Gran Bretagna: l’uscita dalla Ue…

«Condivido. Una Ue senza Gran Bretagna è impensabile, e sarebbe un disastro per il Regno Unito: la City è tale perché l’economia inglese è integrata in quella europea, impossibile uscire dalla Ue e mantenerne la straordinaria forza di attrazione. Io, come dirigente del Pd, tifo Miliband. Ma come ministro degli Esteri considero che Cameron o Miliband, chiunque riesca a fare un governo sia consapevole che l’uscita dalla Ue non è un’opzione».

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