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Gentiloni: «Il terrore si batte solo se uniti» (Il Messaggero)

Gentiloni: «Il terrore si batte solo se uniti»

di Marco Ventura

«Il terrorismo si combatte uniti. Anche tra le forze politiche e lavorando con chi rappresenta oltre 1 milione e 200 mila musulmani italiani che hanno tutto l’interesse a isolare e sconfiggere le esigue minoranze fondamentaliste fiancheggiatrici del terrorismo». Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, analizza l’offensiva globale del terrore dalla Tunisia alla Somalia, dal Kuwait alla Francia, mentre si prepara a partire per Gerusalemme. Gli incontri domani con i palestinesi e martedì con gli israeliani «permetteranno – dice – di valutare le possibilità di ripresa d’un processo di pace. Se qualcuno considera oggi meno centrale il conflitto israelo-palestinese, commette un errore. Basti pensare al rischio che la mancanza di ripresa del negoziato consenta al fondamentalismo islamico d’impadronirsi della causa palestinese. Sarebbe un disastro».

Gli attentati in Francia mostrano lacune nell’antiterrorismo. Gli attentatori avevano precedenti ma non sono stati controllati. In Italia siamo più bravi, più fortunati, o non siamo un target?

«Il rischio riguarda tutti, non solo la Francia. Più che farci illusioni o fare i primi della classe, conviene moltiplicare gli sforzi per la sicurezza, confidando nella professionalità delle nostre forze dell’ordine e di intelligence.»

C’è il rischio di infiltrazioni terroristiche sui barconi di migranti?

«Non può essere escluso in teoria, anche se per ora non abbiamo avuto segnalazioni specifiche. Il numero degli arrivi è molto alto, non superiore però a quello del 2014. Il flusso migratorio non scomparirà, va gestito e regolato. Il gioco dell’allarmismo non fa bene al Paese.»

L’Europa non ci sta aiutando. Le quote sono naufragate. Che fare?

«Ci aspettiamo che l’Europa dia un contributo all’altezza della sua civiltà. Il balletto di aggettivi sulla ricollocazione dei migranti fra obbligatorio, volontario, vincolante e consensuale, non mi pare adeguato ai tempi. La decisione di condividere in 18 mesi l’accoglienza di 40mila richiedenti asilo arrivati in Italia e Grecia sarebbe un passo limitato, ma ad alto valore politico. Non fare neppure questo significherebbe negare qualsiasi ruolo all’Europa. L’Italia si sta battendo per evitarlo.»

Nel frattempo l’Isis attacca. In un giorno, attentati in 4 Paesi e un centinaio di morti…

«Non credo alla tesi di un comando unificato delle operazioni terroristiche, una centrale operativa che abbia ordinato un attacco coordinato. La nostra risposta dev’essere comunque all’altezza di una sfida globale».

Rafforzare sul terreno la coalizione anti-Isis?

«La coalizione può essere rafforzata. Non sono mancati i risultati: l’attacco di Daesh (Isis, ndr) a Kobane non è riuscito. Mi auguro che nelle prossime settimane sia possibile la ripresa di Ramadi, in Iraq. Nell’insieme, Daesh controlla meno territorio dello scorso autunno. L’Italia sta aiutando chi combatte sul terreno. Siamo la nazione leader nell’addestramento dei curdi a Erbil, in Iraq. Possiamo aiutare i curdi anche in Siria, a partire dal piano umanitario. Se vediamo la sfida nella sua globalità, non meno decisivi sono altri due fattori. Primo: scongiurare il sovrapporsi di due conflitti e due parallele minacce terroristiche, quella intra-sunnita di Daesh contro i governi e la stragrande maggioranza delle comunità sunnite, e quella tra sciiti e sunniti. Da questo punto di vista, è molto pericolosa la strage nella moschea di Kuwait City».

Il secondo fattore?

«La partita interna al mondo islamico tra Daesh e i governi arabi e i regimi islamici. Decisiva è la tenuta di un Paese in prima linea come la Tunisia. Dobbiamo avere gli occhi puntati sul Mediterraneo, uno sguardo che vuol dire aiutare i paesi in maggiore difficoltà, evitando che alle quattro aree di crisi in Iraq, Siria, Libia e Yemen se ne aggiungano altre. Il Mediterraneo per l’Italia non è solo storia e cultura, ma con Europa e Stati Uniti è una delle tre aree di scambio economico principali per noi. Noi siamo il quarto partner commerciale dei Paesi mediterranei dopo Stati Uniti, Germania e Cina, con un interscambio che si avvicina ai 50 miliardi ed è largamente in attivo».

La strage di Sousse è un colpo mortale per il turismo?

«l turismo tunisino nell’immediato subirà un colpo inevitabile. A maggior ragione deve valere il nostro sostegno, politico ed economico. La Tunisia è l’unico Paese che col suo pluralismo politico ha mantenuto le promesse della primavera araba, e il più bersagliato dalla minaccia fondamentalista. Minaccia a cui ha sempre reagito con decisione, prima con la messa fuori legge di Ansar al Sharia Tunisia, ora con la decisione senza precedenti del presidente Essebsi di chiudere alcune moschee ritenute luoghi di propaganda del terrorismo. Non tocca certo a noi giudicare le decisioni di Tunisi, ma dico forte e chiaro che l’Italia è al fianco della coraggiosa determinazione del presidente Essebsi contro il fondamentalismo. E non solo a parole.»

E come, in concreto?

«Dopo l’attentato al museo del Bardo, l’Italia ha deciso una parziale cancellazione del debito e avviato in tandem con la Francia progetti di cooperazione con le regioni tunisine, specie dell’interno. L’impegno va accelerato, e vanno conclusi alcuni grandi progetti come il cavo di collegamento tra Tunisia e Sicilia progettato da Terna e dalla società elettrica tunisina. E non solo. Dobbiamo aiutare altri Paesi esposti, come Giordania e Libano: il primo, oggetto di un attacco feroce da parte di Daesh quando fu bruciato vivo uno dei piloti della coalizione, entrambi poi soggetti a una pressione migratoria enorme in conseguenza della crisi siriana.»

Altro buco nero è la Libia. A che punto siamo con la risoluzione delle Nazioni Unite che dovrebbe autorizzare azioni mirate nei porti libici contro gli scafisti?

«C’è un atteggiamento positivo dei Paesi Europei e degli Stati Uniti, e uno costruttivo che ho verificato personalmente con i ministri degli Esteri e gli ambasciatori all’Onu di Russia e Cina. Il passaggio necessario resta però una richiesta da parte delle autorità libiche, collegato al processo negoziale in corso in Marocco. Se si arriva a un governo unitario, sarà più facile che vi sia una richiesta. Altrimenti, lavoreremo comunque per averla.»

Italia ed Europa affrontano non solo l’Isis, ma anche il durissimo negoziato sul debito greco. L’annuncio di Tsipras del referendum significa rottura?

«Interrompere i negoziati e indire un referendum è stato un grave azzardo di Tsipras. Incomprensibile, spero non irreparabile.»

Altra spina nel fianco, la vicenda dei marò che si trascina da quasi tre anni e mezzo. L’Italia ha imboccato la strada dell’arbitrato internazionale. Si può sperare, in attesa del verdetto, che Salvatore Girone rientri in Italia?

«L’intenzione di ricorrere all’arbitrato internazionale prevede come primo passaggio significativo la richiesta di misure provvisorie che noi faremo attorno a metà luglio, tecnicamente 15 giorni dopo la notifica. A quel punto si pronuncerà il tribunale, nel giro di alcune settimane. Chiederemo la permanenza di Massimiliano Latorre in Italia, e il rientro di Girone dall’India. La decisione su questa richiesta sarà la prima scelta importante che farà il tribunale.»