Sulla scrivania tiene le foto dei sei italiani rapiti da gruppi armati, «tra loro il mio amico padre Paolo Dall’Oglio». Mario Giro, 57 anni, è il nuovo vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione Internazionale. Negli ultimi due anni alla Farnesina, dopo una vita nella Comunità di Sant’Egidio come mediatore di conflitti, Giro si è occupato di cultura italiana e America Latina. Questa è la sua prima intervista ad ampio raggio come responsabile della Cooperazione, che lui vede come «proiezione dell’Italia nel mondo».
Quali sono i Paesi chiave verso i quali proiettarci?
«Nel Mediterraneo, Tunisia e Libano. Aspettando di poter aiutare in Libia. E in Siria. Un’altra priorità è l’Africa Occidentale, incluso il Sahel, la nuova frontiera dell’Italia. Poiché in Libia non esiste ancora uno Stato vero e proprio, oggi noi siamo di fatto frontalieri con quei Paesi: Niger, Mali, Senegal. Poi il Corno D’Africa. Il Mozambico…».
Fuori dall’Africa?
«L’America Centrale. Cuba. I Balcani. La Birmania. In questi Paesi possiamo fare la differenza».
I soldi?
«La nostra cooperazione viene da anni di decadenza. La prima inversione c’è stata con il governo Monti, quando il ministro Riccardi alzò il budget di 100 milioni. Renzi ne ha aggiunti 125 quest’anno, per un totale di 447 milioni. Nel 2017 se ne aggiungeranno 240, e nel 2018 altri 360. Ci siamo impegnati a non essere più ultimi tra i Paesi G7 per i fondi alla cooperazione».
Gli errori da non ripetere?
«Troppa frammentazione negli interventi».
La cooperazione in tre parole?
«Pensiero, persone, pace. È come se avessimo davanti a noi l’atlante delle crisi nel mondo. Per navigarci serve un pensiero sul nostro ruolo, sapendo che l’ltalia non è soltanto dentro i suoi confini ma anche fuori».
Persone?
«Guardare in faccia le persone con cui costruire qualcosa. Per esempio i ragazzi che rischiano la vita in mare, quelle donne nelle campagne africane che vogliono avere una possibilità, i giovani che chiedono democrazia. Avendo la pace come obiettivo, come sviluppo, come tutto».
L’Africa è la nuova frontiera anche dell’Isis. Attira combattenti persino dal tranquillo Senegal…
«Proprio in Senegal la cooperazione italiana può rivelarsi cruciale contro l’integralismo. Supportiamo progetti di micro-imprese nel settore agroalimentare. Aiutando anche senegalesi che dopo essere stati in Italia sono tornati a casa. Una risposta alla crisi dei migranti da sostenere nel tempo».
Intanto in Libia l’Isis cresce…
«Intanto in Libia l’Italia è riuscita a fare quello che la comunità internazionale non ha voluto, non ha saputo fare finora in Siria. Contenere il conflitto, convincere i Paesi terzi coinvolti a non far affluire armi pesanti. Le città sono in piedi. C’è luce, acqua corrente, si può vivere. Certo non bene come quando c’è la pace. Ma è un risultato non da poco».
Gli Usa bombardano l’Isis in Libia. E noi?
«L’ Italia è contraria a iniziative dirette finché non c’è un governo che dice quello che vuole. A quel punto prenderemo in considerazione ogni possibilità».
Il prossimo viaggio?
«Alle nostre frontiere: con il presidente Mattarella in Etiopia e Camerun, Paesi chiave dell’Africa, in particolare il Camerun mai visitato da leader italiani. E poi vorrei andare in Sud Sudan: non possiamo voltare lo sguardo mentre la guerra consuma la sua gente».