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Giro: «Sviluppo e diritti umani questo il nostro patto con l’ Africa» (l’Unità)

Mercoledì prossimo, per un giorno Roma sarà la capitale dell’Africa. Il giorno della Conferenza Italia-Africa. Un evento di grande importanza, come emerge dalle considerazioni di uno degli artefici: Mario Giro, vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale. «Il nostro obiettivo – anticipa Giro all’Unità- è quello di creare un grande patto euro-africano». Un patto ambizioso, capace di tenere insieme sviluppo e diritti umani. Un binomio che, sottolinea il vice ministro degli Esteri, deve essere inscindibile. Per l’Italia, inoltre, quello verso l’Africa è anche un investimento politico-diplomatico, in vista del 28 giugno, quando l’Assemblea generale Onu voterà i membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza. L’Italia ha avanzato la sua candidatura, e il sostegno dei Paesi africani può risultare decisivo. Come, lo stesso Giro ha avuto modo di rimarcare alla luce dell’impegno profuso, non solo dalla Farnesina ma dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, e dal presidente del consiglio, Matteo Renzi: «L’Africa conta una cinquantina di Stati, che sono tanti. Di sicuro, abbiamo un credito di simpatia molto grande, soprattutto in seguito alle operazioni di soccorso che l’Italia ha svolto nel Mediterraneo per salvare vite umane. Ovunque ci rechiamo, ci viene sempre ripetuto. E non solo in Africa».

Qual è il significato più forte per il nostro Paese della Conferenza Italia-Africa?

«È l’esemplificazione di una politica del Governo degli ultimi due anni, e cioè, come Matteo Renzi ha ribadito più volte, l’Africa è diventata la nostra priorità sia dal punto di vista politico sia sul piano economico. Oggi vediamo nell’Africa non solo in immenso giacimento a cielo aperto ma un continente partner dell’Europa con cui affrontare la globalizzazione».

Come s’inserisce il Migration Compact che l’Italia ha proposto all’Europa per un intervento non emergenziale sui migranti?

«Il Migration Compact parte dall’assunto che va creato un grande patto euro-africano, che coniughi insieme sviluppo e migrazione. È indispensabile una responsabilità comune euro-africana, come abbiamo detto al Consiglio europeo Sviluppo di qualche giorno fa».

Sviluppo e diritti umani: a volte, troppe, pensando all’Africa, sono ambedue negati, in altri casi i diritti umani vengono accantonati, come se fossero un optional.

«Sviluppo e diritti umani devono convivere. In ogni caso l’Africa – ma sarebbe meglio dire le Afriche – è un continente in cui la democrazia, malgrado tutto, ha fatto passi in avanti in questi ultimi vent’anni. I cinesi pensano di investire. Ed è un’ottima cosa, ma non basta. Noi pensiamo ad investire ma anche a far avanzare l’agenda dei diritti, cooperando insieme».

Cooperare anche nel contrastare la penetrazione jihadista nel Continente africano?

«Si tratta di un tema molto sensibile che però non ci deve far cambiare agenda. Non dobbiamo cedere all’intimidazione perché molti Paesi africani a maggioranza musulmana vogliono cooperare con gli altri, e con l’Europa, in uno spirito di convivenza».

Qual è il messaggio che con la Conferenza di Roma, l’Italia intende lanciare all’Europa?

 «Il messaggio è che l’Italia c’è. E c’è con i fatti, con le politiche attivate, e non solo con le parole. Aumentiamo le risorse della cooperazione, stringiamo partenariati e con la Conferenza intendiamo creare un quadro stabile di collaborazione politica sui grandi temi globali, così come l’Italia sta già facendo con l’America Latina».

Quali «Afriche» vorrebbe che venissero più alla luce dai lavori della Conferenza di Roma?

«Noi puntiamo oltre che sulle zone di nostra cooperazione tradizionale, come il Corno, anche sull’Africa occidentale e Centrale».

La Conferenza Italia-Africa ha visto l’impegno del ministero degli Esteri e della nostra diplomazia nel suo complesso. Ma ritiene che puntare sull’Africa sia già consapevolezza, patrimonio comune del sistema-Italia?

 «Può diventarlo se prendiamo esempio da altri Paesi, se accompagniamo le nostre imprese, se facciamo una buona cooperazione allo sviluppo, se condividiamo la responsabilità dei flussi migratori. E se costruiamo un vero partenariato politico. Questo è, in definitiva, l’ambizioso ma possibile obiettivo della Conferenza di Roma».

Nel recente Consiglio europeo a Bruxelles, avete presentato ai partner europei la nuova architettura della cooperazione italiana. Con quale riscontro?

«Un ottimo riscontro. La presenteremo anche a Roma con il ministro Gentiloni. C’è molta attenzione sull’Agenzia e sulla Cassa depositi e prestiti come Banca di sviluppo».