Caro direttore, noi vogliamo essere i costruttori di una Europa nuova, più consapevole della sua grandezza, capace di «sentire» ogni sua parte, come i tasti di un pianoforte impegnati in una musica sola.
Le celebrazioni del Sessantesimo dei Trattati di Roma sono un avvenimento in movimento, che trascina e che emozionerà con una serie di incontri tesi a ricordare che l’Europa c’è, è nostra, è grande, ma può e deve migliorare.
Noi siamo europeisti convinti, ma altrettanto convinti che l’Europa si debba strutturare al meglio per fronteggiare le nuove sfide dei nostri tempi, che vanno dalle migrazioni, al terrorismo e alla crisi economica, fino alle radici del populismo che, in varie forme, per un tornaconto elettorale, alimenta la paura e la rabbia della gente. E proprio per questo l’Europa non può limitarsi ad ascoltare le richieste delle élite, ma deve dare risposte concrete alle domande dei cittadini.
Da quando c’è l’Europa, noi abbiamo avuto solo la pace, ma la pace e la libertà sono beni preziosi che non valgono per sempre, se non sono tutelati e difesi. E si difende solo ciò di cui si ha un fortissimo desiderio, quel desiderio che dobbiamo alimentare ogni giorno anche se, grazie ai nostri padri fondatori, le nostre generazioni non hanno conosciuto altro che la pace.
A chi mette in discussione questo percorso, a chi insinua solo dubbi sulla Unione Europea, dico di non far finta di dimenticare quale teatro ci fosse prima della sua nascita. Un campo di battaglie dove i peggiori crimini contro l’umanità sono stati commessi.
Ai sovranisti dell’ultim’ora, ai populisti entusiasti e irridenti dico di arginare la loro tracotanza e di avere rispetto e di guardarsi intorno. Per aiutarli ricordo loro una storia, la storia di una bambina ebrea di nome Anna Frank. Il diario di Anna Frank è oggi patrimonio dell’umanità. Oggi Anna Frank è una bambina in Siria, anzi migliaia di bambine e di bambini in Siria, ma anche in altre parti del mondo in cui continuano a esserci conflitti efferati, motivati dall’odio settario. Con la rabbia, la paura, l’estremismo, nessuna soluzione è mai stata trovata. Con equilibrio e determinazione, invece, noi abbiamo portato sul tavolo di una Europa forse troppo concentrata sul piano economico, sui mercati e sulla linea della austerity, le emergenze di questi nostri ultimi tempi, che chiedono con urgenza un riassetto sotto il profilo della sicurezza – con un sistema di difesa comune europeo e con lo scambio delle informazioni gelosamente custodite dai singoli Stati – e sotto il profilo delle migrazioni, per fronteggiare le quali occorre coniugare la solidarietà con la sicurezza.
C’è chi all’Europa unita contrappone i muri, che creano separazione e debolezza. Il protezionismo chiude le ambizioni economiche di un Paese competitivo ed evoluto. L’uscita dall’euro farebbe ridere se non fosse la dimostrazione di quanto siano senza scrupoli coloro che la auspicano, disinteressandosi alla sorte di milioni di risparmiatori e di proprietari di immobili che vedrebbero crollare il valore dei loro risparmi e delle loro case.
Se è chiaro che tutto quello che divide tende a isolare e a lasciare spazi che diventano campi per scorribande sconsiderate, è anche chiara ormai la necessità di un cambio di passo, se non si vuole relegare l’Europa in una cornice di graduale irrilevanza. Il processo di integrazione deve andare oltre: non possiamo più procedere con tutti i convogli alla stessa velocità lungo il percorso tracciato qualche anno fa verso le quattro «Unioni», bancaria, fiscale, economica e politica. Non tutti i Paesi possono o sono disponibili ad avanzare con lo stesso passo ed è per questo che siamo per una integrazione differenziata. Solo cosi potremo focalizzarci su tre grandi Europe: l’Europa della sicurezza, l’Europa della prosperità e l’Europa sociale, tornando a quei tasti di un pianoforte che suonano insieme per una musica sola.
L’Unione europea è il progetto istituzionale di pace e benessere più straordinario mai realizzato.