Mario Giro, vice-ministro degli Esteri e responsabile della Cooperazione è a Parigi dove il governo Hollande, sull’esempio dell’Italia, ha appena decretato l’apertura dei corridoi umanitari per i profughi siriani.
Nell’intervista rilasciata al Fatto Bashar al-Assad critica l’Europa per la presenza dei jihadisti in Siria e anche per la situazione dei profughi. Critiche, pur provenienti da un dittatore, in qualche modo condivisibili?
Dico subito che nel conflitto siriano l’Italia non si è schierata al contrario di altri partner europei. Si è astenuta dall’accondiscendere a un conflitto che compie 6 anni con centinaia di migliaia di vittime, milioni di profughi, anche ricordando l’errore commesso da altri nel recente passato, e penso alla Libia. Era chiaro sin da subito che in questa guerra non c’erano buoni. Posso apprezzare la chiamata al dialogo annunciata da Assad, anche se mi viene da dire: era ora… Spero possa essere in grado di riunire davvero tutti i paesi interessati, dall’Arabia Saudita agli Usa e che conferma proprio quanto sia stato saggio non schierarsi.
L’Italia ha avuto posizioni meno critiche di altri in Europa nei confronti di russi e iraniani molto influenti con il regime siriano. Siamo in grado di poter svolgere ancora un ruolo di mediazione?
Quando Assad dice che non c’è più equilibrio all’Onu da quando non c’è più l’Unione Sovietica sottolinea una questione che a molti può sembrare non rilevante ma della quale va tenuto conto: per tanti Stati se le Nazioni Unite hanno perso reputazione vuoi dire che non le riconoscono più influenza e dunque capacità di mediazione. Purtroppo con Mosca e Teheran s’è persa l’occasione di coinvolgerli politicamente prima che si auto-coinvolgessero militarmente; siamo ancora disponibili a usare le nostre capacità di mediazione. Certo, 6 anni dopo è molto più difficile riuscire a tornare a una situazione accettabile, dopo che intere città- come Aleppo – non ci sono praticamente più. Tornare al prima è complicato e c’è l’amarezza di aver lasciato andare la guerra.
Tempo è stato perso anche per l’ordine sparso in cui si è mossa l’Europa, come sulla questione dei rifugiati?
Ordine sparsissimo purtroppo. Ma abbiamo un altro fronte sul quale cercare di non ripetere l’errore: la Libia. Siamo impegnati in un faticoso lentissimo lavoro di dialogo tra le fazioni; abbiamo ottenuto l’embargo delle armi pesanti, che può apparire di poco conto, ma ha permesso che le città restassero in piedi, evitare la completa discesa all’inferno come in Siria. E i libici vivono ancora tutti nel loro paese, non come i siriani.
Anche in Libia bisogna avere a che fare con la Russia.
Se i russi possono aiutare a trovare una soluzione, ben vengano. I tempi di ricomposizione di un Paese frantumato sono sempre molto lunghi: guardiamo a cosa è accaduto in Siria, ma anche in Yemen, e ancor prima in Iraq. Non ci sono soluzioni miracolistiche, ma qualcosa è stato fatto e se i libici cominciassero a scappare non potrebbero che venire da noi. Perciò a strumenti come i corridoi umanitari che dimostrano di funzionare, al contrario delle relocation, ne vanno aggiunti altri, come il migration compact, ancora in discussione all’Europarlamento. A ostacolare la ricerca di soluzioni efficaci c’è anche il “fronte interno” tanto più ora che c’è odore di elezioni: l’ascesa di populismi contagiosi, mentre da noi manca ancora la legge sull’integrazione che dovrebbe essere argomento bipartisan. Sui migranti prevale una narrazione “cattivista”, che contrappone italiani in difficoltà – i poveri di casa nostra – e chi manipola la loro rabbia, contro l’immigrato usurpatore. Così si prolunga solo l’esistenza di ghetti come quello di Rignano Garganico.