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Giro: «La Russia nel mirino di jihadisti di ritorno l`Italia può favorire il dialogo internazionale» (Il Mattino)

Erano un po’ di anni che non succedeva. In Russia la stagione del terrorismo – legata soprattutto al lungo e sanguinoso conflitto in Cecenia – sembrava tramontata. E invece no. Sono tornate bombe e stragi. Perché ora? Perché la Russia? Per colpire chi e che cosa? E quali potranno essere le conseguenze? Ne parliamo con Mario Giro, viceministro agli Affari Esteri nel governo Renzi e ora con Gentiloni. Per anni impegnato per il dialogo interreligioso, in particolare col mondo musulmano, Mario Giro ha lavorato anche in Africa con la Comunità di Sant’Egidio. Si è occupato di America Latina, delle crisi balcaniche, di Albania e Kosovo.

Dunque, la Russia nel mirino del terrorismo. Certo, non sappiamo chi è stato. Tuttavia è forse possibile avanzare qualche sospetto…

«Per ora non esistono elementi per poter fare ipotesi precise. Siamo in una fase di inchiesta e l’ambasciata italiana è allertata soprattutto per capire se ci sono italiani coinvolti. In ogni caso, credo che sia probabile che ci troviamo di fronte alla solita questione: quella dei foreign fighters, i militanti jihadisti, soprattutto ceceni, che sono partiti per combattere con l’Isis in Siria e che ora stanno tornando. È un fenomeno che riguarda l’Europa e riguarda la Russia».

La Russia ha assunto un ruolo decisivo in Siria e lo sta assumendo in tutto il Medio Oriente. Questo come modifica i rapporti di forza e gli equilibri a livello internazionale?

«Quello della Russia di Putin è un ritorno geopolitico. La Russia è rimasta lontana dal Medio Oriente per almeno due decenni. Vorrei sottolineare che l’Italia fu l’unico paese, fin dal primo anno della guerra siriana, quando ministro degli Esteri era Emma Bonino, che comprese la necessità di coinvolgere la Russia, a livello diplomatico. L’Italia aveva visto giusto. Fu un grave errore escludere la Russia. Poi la Russia, nel conflitto siriano, ci entrata a modo suo».

E il Cremlino ha così portato avanti in Siria una sua agenda.

«Il fatto è che in Siria tutti sono andati con una propria agenda. E schierarsi è stato un errore. È stato un errore porre la cacciata di Assad come precondizione per l’avvio di trattative. Ora, non possiamo che essere soddisfatti per la tregua che è stata raggiunta in Siria con il negoziato di Astana, voluto dalla Russia. Ma mi lasci dire che è stato uno scandalo non lavorare prima per la pace. Bisognava farlo già 4 o 5anni fa: si sarebbe evitato l’assedio di Aleppo. Mentre oggi tutte le città siriane, tranne in parte Damasco, sono distrutte. Quando c’è una guerra bisogna operare per tenerla bassa. Ripeto, questo non è stato fatto. Per errori e responsabilità di tutti».

Al Cremlino c’è Putin. E alla Casa Bianca ora c’è Trump. Due leader populisti. Entrambi, ognuno a suo modo, insofferenti a certe regole democratiche. Ma c’è una vera intesa tra i due? E se c’è, durerà?

«L’Italia sta operando perché il dialogo tra Stati Uniti e Russia ci sia. Un’assenza di dialogo sulla Siria sarebbe nefasta. Così come è necessario un dialogo sulla Libia. Il ministro Alfano è stato a Mosca e poi a Washington, dove ha incontrato Tillerson, proprio nel segno di favorire dialogo e confronto».

Ma gli interessi di Usa e Russia potrebbero pure confliggere. I dazi, la «guerra commerciale» evocata da Trump, colpirebbero Europa e Cina, ma anche la Russia.

 «Vale per tutti. Certo, gli americani sono gli unici che possono permettersi almeno temporaneamente – di raffreddare il commercio internazionale. Questo grazie al loro immenso mercato interno. Ma di una situazione di raffreddamento ne soffrirebbero tutti: Germania, Francia, Italia. E anche la Russia, certamente. Questo potrebbe favorire gli Stati Uniti, ma solo per un certo periodo».

E dunque? Trump gioca comunque a fare il protezionista, in campagna elettorale si è presentato come isolazionista o almeno non-interventista…

«Non-interventista è stato anche Obama, anche se con stile totalmente diverso. In ogni caso Trump dovrà trovare il modo di dialogare con la Russia e con il resto del mondo, proprio su una questione come quella della lotta al terrorismo».

Per la Russia resta aperto il capitolo del conflitto in Ucraina. L’Italia che farà, continuerà a sostenere, magari a malavoglia, le sanzioni?

«Sull’ Ucraina c’è una posizione europea, alla quale aderisce l’Italia. Noi comunque non amiamo le sanzioni, una pratica che finisce sempre per scaricarsi sulla popolazione civile e dunque speriamo che presto vengano tolte. Ma vanno rispettati gli accordi di Minsk. In Ucraina c’è una situazione molto delicata e bisogna lavorare perché non si incancrenisca. È stato giusto fermare l’escalation, ma rimane una situazione di “guerra congelata”, che va chiusa. La guerra in Europa, in qualunque forma, non può essere tollerata».

Conflitti, guerre, terrorismo. Quale ruolo per l’Italia, anche alla luce dell’attacco a San Pietroburgo?

«L’Italia ha un ruolo importante per la libera circolazione nel Mediterraneo centrale, per far abbassare le tensioni nell’ area. Ed è in prima fila nella gestione dei flussi migratori, per la difesa delle minoranze e per il dialogo tra culture e religioni».

Un compito che diventa più arduo con Trump alla Casa Bianca e con le sue politiche di chiusura?

«L’Europa ha dato finora risposte unanimi e chiare alle posizioni americane sull’immigrazione. D’altra parte, non si può fare a meno dell’incontro e del dialogo. Ne ha bisogno il mondo intero».

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