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Il rappresentante dell’Italia presso l’Ue: «La Commissione ascolti di più gli Stati» Ambasciatore Maurizio Massari (Il Corriere.it)

Si apre domani alla Farnesina la Conferenza degli ambasciatori e delle ambasciatrici d’Italia nel mondo. Durerà fino a venerdì. Sarà la tredicesima. La prima, data la scarsità di diplomatiche alla testa di nostre ambasciate, aveva una denominazione che comprendeva solo gli ambasciatori e si riunì nel 1998. L’euro non era ancora in circolazione. La Serbia veniva sottoposta a sanzioni contro le persecuzioni della minoranza albanese in Kosovo volute da Slobodan Milosevic. Si sarebbero anche usate le armi, in seguito, ma l’Italia era inserita in un contesto internazionale più definito. Per mettere a fuoco alcune delle prossime strettoie che comporteranno decisioni all’interno dell’Unione Europea, il Corriere della Sera ha ascoltato il rappresentante permanente del nostro Paese presso l’Ue, ambasciatore Maurizio Massari.

La futura presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha detto che in cambio dei voti per la propria elezione non sono stati promessi ai governi di Polonia, Ungheria e Italia posti particolari di commissario né vantaggi nel prossimo bilancio comunitario. «Sono stati formulati auspici, però non può essere fatta alcuna promessa auspici, però non può essere fatta alcuna promessa fino a quando l’intero quadro non sarà completato», ha dichiarato a Spiegel on line la popolare tedesca votata il 16 luglio dall’Assemblea di Strasburgo. Ambasciatore, al di là di speranze e desideri quali sono le possibilità effettive che l’Italia ottenga la carica di commissario alla Concorrenza come ci si aspetta nel governo italiano?

«Il nostro Paese ha chiesto un portafoglio di peso in campo economico e ha indicato di preferire quello alla Concorrenza. Non entro nel merito delle valutazioni della presidente, mi limito a osservare che sarà lei a prendere le sue decisioni dopo negoziati ad alto livello quando ci sarà stata la designazione di tutti i commissari da parte degli Stati membri».

È il caso di spiegare ai lettori quali saranno le prossime tappe. Il primo consiste nelle designazioni dei componenti della Commissione.

«Per le indicazioni dei commissari c’è tempo fino al 26 agosto, dopodiché comincia il processo di attribuzione dei portafogli. La fase successiva sarà quella delle audizioni dei commissari davanti alle commissioni competenti del Parlamento europeo».

Esami delicati, non scontati. In passato non sono mancate candidature respinte.

«Le audizioni si svolgeranno tra il 30 settembre e la prima settimana di ottobre. Alla fine di ottobre si arriverà al voto del Parlamento europeo sull’intera Commissione. Poi tra novembre e dicembre ci saranno gli avvicendamenti tra il presidente del Consiglio europeo uscente Donald Tusk e il suo successore Charles Michel, tra il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi e Christine Lagarde, tra l’attuale Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini e Josep Borrell».

Il nuovo presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha affermato che questa sarà una «legislatura politica e pragmatica». La presidente della Commissione ha annunciato: «Sfrutterò pienamente la flessibilità consentita dal Patto di stabilità e crescita, che ci aiuterà ad adottare nella zona euro un orientamento di bilancio più favorevole alla crescita preservando nel contempo la responsabilità di bilancio». Secondo lei in che cosa può tradursi per l’Italia questa petizione di principio?

«Come tutti gli Stati membri, il nostro Paese deve presentare il proprio progetto di legge di bilancio nazionale entro il 15 ottobre. I trattati contengono clausole di flessibilità. Gli esiti si vedranno, numeri alla mano, al momento opportuno. La presidente ha fatto alcune aperture su aspetti dell’agenda economica indicati dall’Italia. Per esempio, sullo schema europeo di riassicurazione delle indennità di disoccupazione in caso di “choc asimmetrici”».

Ossia quando l’economica va male. Ursula von der Leyen si è schierata anche a favore di investimenti per mille miliardi di euro nel prossimo decennio affinché l’Ue sia «energeticamente sostenibile». Vorrebbe che il continente diventasse entro il 2050 «a impatto climatico zero», dunque che «smettesse, gradualmente, di inquinare» e che dal punto di vista energetico fosse alimentato in modi tali da non determinare ripercussioni sui cambiamenti climatici. A quali di quegli investimenti potrebbe puntare l’Italia?

«Il clima è uno degli aspetti chiave dell’agenda europea dei prossimi anni. Naturalmente si tratta di affrontare in tutti i Paesi europei i costi della transizione. Se noi, come altri, avremo necessità di contributi e compensazioni per quest’ultima, alcuni dei fondi spetteranno anche a noi. Occorre trovare il modo di riconciliare le ambizioni climatiche con la esigenze di competitività dell’industria europea sui mercati globali».

Nell’intervento pronunciato prima della sua elezione, Ursula von der Leyen ha sostenuto che il bilancio europeo a lungo termine 2021-2027 «dovrebbe essere approvato il più rapidamente possibile».

«L’orientamento e l’auspicio sono di chiudere entro dicembre, anche se in teoria c’è tempo fino a metà 2020. La nostra ambizione è sempre stata più attenta alla qualità dell’accordo finale che alla tempistica. Siamo per evitare tagli ai finanziamenti dedicati alle politiche tradizionali, quelle per coesione e agricoltura, e anche per finanziare le nuove politiche: su sicurezza, controllo delle frontiere esterne, digitalizzazione».

Attingendo soldi da dove?

«Per conciliare le due esigenze, considerato che se la Gran Bretagna uscirà dall’Ue mancherà il contributo britannico, è bene far disporre l’Unione di risorse proprie. Entrate che non derivano dai bilanci nazionali bensì da tasse europee sulle multinazionali che agiscono sul mercato unico, da imposte sulle transizioni finanziarie e su emissioni di CO2. Non, quindi, da tasse pagate dai cittadini contribuenti».

Questo incremento delle risorse proprie richiede però l’unanimità degli Stati membri dell’Unione.

«Alcuni Paesi tendono a sfruttare le maglie della mancata armonizzazione fiscale per fare il cosiddetto dumping fiscale. E’ un problema da affrontare. Dopo il non facile negoziato che ha portato all’investitura di Ursula von der Leyen è essenziale che il rapporto tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo sia il più possibile un rapporto di dialogo e non una concorrenza a somma zero. E’ importante ristabilire una fiducia reciproca».

Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Mialnesi ha proposto di assegnare al Parlamento europeo nuovi poteri di iniziativa legislativa, ma in verità se ne parla poco. Almeno in Italia.

«È bene dotare il parlamento di quei poteri e lo si può fare senza bisogno di cambiare i trattati vigenti. Importante è poi il rapporto tra Commissione e Consiglio: si è accumulata in questi anni una buona dose di sfiducia. Credo che la nuova Commissione debba coinvolgere di più gli Stati membri nella elaborazione delle proposte legislative».

Come ritiene che dovrebbe farlo?

«Meglio avere meno proposte della Commissione con più appoggi che più proposte senza appoggi degli Stati membri. E la Commissione non deve essere percepita come partigiana». Per la verità da anni si assiste a un rafforzamento del potere intergovernativo a scapito di quello comunitario. Contano sempre più gli Stati che la Commissione. «Ma i due aspetti devono andare di pari passo. La Commissione ha bisogno del consenso più ampio possibile tra gli Stati. E di costruirlo».