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Di Maio: “Ora spingiamo Sarraj e Haftar a incontrarsi” (Il Fatto Quotidiano)

Il suo viaggio in Libia con la missione dell’Unione europea per ora è un annuncio sepolto dalle bombe. Ma dalla Farnesina il ministro degli Esteri Luigi Di Maio rilancia: “La missione della Ue può incontrare Al Sarraj e Haftar anche in un’altra sede, e ora parla con la voce dell’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell”. E ieri proprio Borrell ha cenato con Di Maio a Roma.

“Un’escalation della violenza attorno a “Tripoli potrebbe essere imminente”, dice Borrell. E Haftar avrebbe preso Sirte. Pare già troppo tardi per missioni e conferenze.

In Libia è in corso una guerra, con interferenze esterne. L’obiettivo dell’Italia è ricondurre tutti gli attori che hanno influenza su questo scenario, dalla Turchia alla Russia fino all’Egitto e agli Stati Uniti.

Però la missione non è potuta andare in Libia: non vi volevano.

La situazione sul piano della sicurezza è difficile. Ma la missione è in corso e lavora a un incontro con le due parti. Se non sarà possibile in Libia lo terremo altrove.

Anche in Italia?

Ne discuteremo. Di certo è stato scellerato bombardare la Libia nel 2011. Ora ci ritroviamo con una nuova Siria. Ma ci sono altre responsabilità.

Cioè?

L’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini avocò totalmente a sé il dossier libico, puntando solo sull’immigrazione per farne un tema da campagna elettorale. Una scelta del tutto sbagliata.

Il dossier glielo avete lasciato lei e il premier Conte.

Il presidente del Consiglio ha lavorato sulla Libia, per esempio con la conferenza di Palermo.

Senza risultati, però.

Salvini non può dare lezioni sulla Libia, perché la sua unica preoccupazione era non far partire migranti. Ma qui se la guerra continua i rischi saranno ben altri, con la proliferazione di cellule terroristiche a pochi chilometri dalle nostre coste.

Significa che l’Italia corre il serio rischio di attentati?

Non ci sono minacce dirette per il nostro Paese, la nostra intelligence e le nostre forze dell’ordine monitorano tutto. Ma queste cellule di terroristi stanno proliferando.

Salvini punta sull’arrivo in massa di profughi dalla Libia per vedervi in crisi?

La guerra c’è da aprile. Noi lavoriamo per tutelare i nostri interessi geo-strategici ma anche per scongiurare il rischio dell’arrivo in massa di migranti. Da due settimane sentiamo tutte le diplomazie europee.

Si dice che domenica abbia cercato Al Sarraj, senza riuscire a parlargli.

Gli ho parlato stamattina (ieri, ndr), e in questi giorni ho avuto continui contatti con lui e con il suo ministro degli Esteri. Lavoriamo su tutti i fronti: ho invitato il ministro degli Esteri turco in Italia e mercoledì sarò a un vertice in Egitto sulla situazione libica, poi andrò in Algeria e Tunisia. E c’è il processo di pace di Berlino.

Ma la conferenza di pace a Berlino serve a qualcosa?

Dobbiamo credere a oltranza nella soluzione diplomatica. La guerra porta guerra, e l’unica soluzione è il cessate il fuoco. Ma per far riuscire il tavolo di Berlino dobbiamo includere Paesi come Algeria, Tunisia e Marocco. Dopodiché mi faccia dire che la politica internazionale non si fa con i post e con i tweet. È necessario un profilo basso.

Serve anche la presenza. Lei è stato molto criticato per essere rientrato la sera del 3 gennaio da Madrid.

Sono tornato la mattina con un volo di linea, senza prendere aerei di Stato. E dalle otto, appena scoppiata l’emergenza, lavoravo al telefono.

L’Italia ha sbagliato a puntare su Al Sarraj e ora cerca di recuperare con Haftar, il “cavallo” della Francia?

Il suo governo è quello riconosciuto dall’Onu. Il vero punto è che un conflitto si aggrava quando arrivano le interferenze esterne, e dobbiamo lavorare innanzitutto su questo. Ma noi parliamo anche con Haftar. Dopodiché perché si sblocchi la situazione è fondamentale che si parlino Stati Uniti e Russia.

Gli Usa si disinteressano della Libia e poi uccidono Soleimani. Grave, no?

Gli Stati Uniti vengono colpevolizzati perché non si interessano della Libia, ma anche perché intervengono in Iraq.

Sono situazioni completamente diverse.

Certamente. Ma io ho sentito il Segretario di Stato americano Pompeo la settimana scorsa, e mi ha confermato il sostegno al processo di pace. Invece l’escalation in Iraq chiaramente ci preoccupa. Noi siamo sempre per la pace: se al governo ci fosse la Lega ci porterebbe in guerra. E poi l’Italia ha soldati in quel Paese: le dichiarazioni aggressive di certi politici li mettono in pericolo.

I nostri militari devono rimanere li?

Una rimodulazione dei nostri contingenti all’estero andrà pensata, ma sempre di comune accordo con gli alleati. Abbiamo già chiuso la missione a Mosul e ridotto il contingente in Afghanistan.

Il suo sottosegretario agli Esteri Di Stefano ha criticato Borrell per aver “deplorato” la scelta dall’Iran di uscire dall’accordo nucleare.

Lavoriamo con l’Iran per ripristinare il dialogo, ma l’annuncio di voler uscire dall’accordo non aiuta. Però dal ministro degli Esteri non ci si possono attendere certe dichiarazioni. Non è così che si risolvono i problemi.

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