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Di Maio: Chiuderemo le porte a chi tiene fuori gli italiani (Corsera)

«Crediamo nello spirito europeo, ma siamo pronti a chiudere le frontiere a chi non ci rispetta». Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio risponde così alle chiusure dei flussi turistici annunciate da alcuni Paesi.

Lei ha detto che se qualcuno ci tratta «come un lazzaretto» non rimarremo immobili. Cosa voleva dire?

«La partita si aprirà il 3 giugno, perché andare a trattare con uno Stato estero mentre noi abbiamo ancora delle regole restrittive è complicato».

Si, ma cosa farà il governo? Chiuderà le frontiere a chi non d fa entrare?

«Crediamo nella collaborazione ma anche nella reciprocità. E lo spirito che porterò nei miei viaggi in Germania, Slovenia e Grecia. L’Italia si è distinta per la trasparenza e i nostri dati sono molto confortanti. Non vogliamo sollevare polemiche, ma se qualcuno pensa di chiuderci la porta in faccia solo per i propri interessi, allora risponderemo. Davanti ai personalismi la porta la chiuderemo anche noi. Ma c’è un dialogo costruttivo da parte di molti Stati. Con il collega tedesco Mass i rapporti sono ottimi, il 5 andrò a Berlino per discutere di Libia e flussi turistici. Di fronte alle nostre preoccupazioni su presunti corridoi sulla base di accordi bilaterali, la Germania ci ha rassicurato».

Come giudica il comportamento della Grecia che impone la quarantena a quattro regioni italiane?

«Sentirò oggi stesso il mio omologo. Inoltre il 9 sarò ad Atene per mostrare, dati alla mano, la situazione reale in tutte le nostre regioni».

Diversi governatori del Sud non condividono l’apertura.

«Comprendo le preoccupazioni di chi amministra i territori, ma le scelte del governo sono dettate da un confronto con il comitato scientifico».

Sala ha detto che si ricorderà dell’atteggiamento di Sardegna e Sicilia quando deciderà dove fare le vacanze. Condivide l’irritazione del sindaco di Milano?

«Credo che il punto sia un altro e riguardi il criterio di omogeneità delle misure adottate tra Regioni. Se ognuno assume scelte individuali risulta difficile comunicare all’estero il reale stato di salute del Paese. In questo momento serve unità».

Zingaretti chiede «un clima di concordia nazionale». Dopo una breve pausa, sembra invece tornata l’ansia elettorale di differenziarsi.

«Lo chiedo da settimane. Sono d’accordo, non è questo il momento delle polemiche. Il Paese non merita un clima perenne da campagna elettorale».

Nei giorni scorsi lei ha detto che con i soldi del «Recovery fund» vorrebbe tagliare le tasse, ma è stato bloccato perché quei fondi non si potrebbero usare a quello scopo.

«Ho detto che non possiamo perdere l’occasione per avviare una grande modernizzazione del Paese, per portare avanti la fiscalità di vantaggio. Ma è evidente che con l’arrivo di nuove risorse europee se ne libereranno altre interne per una riforma del fisco. Ho scorto un velo di pregiudizio da parte di qualcuno e mi dispiace. Ma sono certo che il governo saprà trovare un accordo».

Nell’attesa del «Recovery fund», sarà necessario fare altro debito? Come? C’è ancora l’ipotesi Mes?

«I tempi sono fondamentali. Ora ci sarà la fase del negoziato e sarà cruciale mostrarci compatti. Il Mes non è una opzione, lo ha detto anche il presidente Conte e il M5S ha molta fiducia nelle sue parole».

Nei giorni scorsi Franceschini ha rilanciato l’idea di un patto permanente tra Pd e 5 Stelle. Che includa, dunque, le alleanze locali per le prossime amministrative. E d’accordo?

«Col ministro Franceschini andiamo molto d’accordo e l’esecutivo sta lavorando bene. Ovviamente ogni caso è a sé. Ora è importante concentrarsi sul presente».

Cosa voleva dire quando in un’intervista ha spiegato che in caso di crisi «non esistono automatismi»? Che c’è spazio per altri governi, magari di unità nazionale?

«Nella mia risposta ho detto anche che sarebbe folle già solo pensare di far cadere il governo in questa emergenza. Come spesso accade, le mie parole poi sono state strumentalizzate».

La reazione di Trump all’omicidio di Minneapolis è stata dura. La condivide?

«L’uccisione di George Floyd è un atto da condannare ed è quel che ha fatto l’amministrazione di Washington arrestando il poliziotto che lo ha ucciso. Detto questo, non credo che incendiare una città gli darà giustizia. Non si protesta dando fuoco a un commissariato di polizia».

La vostra prima reazione alla repressione cinese a Hong Kong è sembrata debole, poi lei ha corretto il tiro. In passato l’hanno descritta come filocinese e criticata per questo.

«Veramente siamo tra i pochi Paesi ad esserci esposti direttamente. Abbiamo espresso preoccupazione anche all’ultimo Consiglio degli Affari esteri e contribuito alla dichiarazione comune. Condivido la posizione di Borrell, le sanzioni non sono una soluzione, ma è importante riaffermare il diritto dei cittadini di Hong Kong di manifestare pacificamente. Quanto a me, io tifo Italia, un Paese che ha chiare le proprie alleanze, come la Nato, ma che è libero di fare accordi commerciali con chi ritiene. In Ue la Germania è il primo partner commerciale di Pechino eppure nessuno taccia la cancelliera Merkel di essere filocinese. Questo le dà la dimensione di quanto l’Italia debba ancora crescere. Viviamo in un mondo globalizzato, non dimentichiamocelo».

L’incontro con la sindaca Raggi è parso una benedizione perla ricandidatura. E così?

«Non vedevo Virginia da un po’. Il nostro era un incontro già in programma. Non abbiamo parlato né di secondo mandato né di altro, ma del lavoro che con determinazione sta facendo a Roma. Le ho fatto i complimenti. Se li merita».

L’impressione è che il capo del Movimento sia ancora lei. È pronto a ricandidarsi agli Stati Generali?

«Io ora voglio solo svolgere al meglio il mio lavoro al ministero».

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