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Di Maio: “L’Europa ha risposto alla crisi. Ora tocca al governo essere all’altezza” (La Stampa)

L’ Europa ha risposto con forza alla crisi e io ho fiducia nell’operato di Ursula Von der Leyen. Ora tocca al governo italiano dimostrare di essere all’altezza della sfida». A 33 anni Luigi Di Maio ha vissuto molte vite. In quest’ultima da ministro degli esteri ha scoperto che la crudele Unione europea qualche pregio ce l’ha. Non riesce a dire apertamente sì al Mes, a quei 37 miliardi che servirebbero a risistemare il nostro sofferente sistema sanitario e che Nicola Zingaretti brama con tutto sé stesso. Ma non lo boccia. Ne parla diffusamente, eludendo però il peso di una risposta che lascia volentieri a Giuseppe Conte. «Il presidente del consiglio ritiene che sarà sufficiente il Recovery Fund e io non dubito delle sue parole». Lo dice con indifferenza, come una perfida nota a piè di pagina. «No, si figuri, è meglio che io non intervenga direttamente sul tema. Per non indebolire le trattative». In questa intervista a La Stampa il ministro degli esteri parla di molte cose — di politica interna e internazionale – ma soprattutto dell’urgenza di intervenire su un sistema economico travolto dal torrente irreparabile dei giorni. E chiede una riforma fiscale che parta dalla rimodulazione dell’Irpef.

Ministro Di Maio, nell’ intervista a La Stampa, Angela Merkel ha detto: l’Europa sta mettendo a disposizione dei Paesi in difficoltà strumenti mai visti, ma ci aspettiamo che vengano utilizzati. Perché continuate a dire no al Mes?

«Guardi, le dico sinceramente quello che penso, ovvero che in questa crisi l’Europa ha risposto. La stessa Bce ci ha dato un grande sostegno acquistando i nostri titoli di Stato. Gli strumenti ora ci sono e dobbiamo riconoscerlo. Quindi basta piagnistei, tocca al governo dimostrare di essere all’altezza della sfida. Il presidente Conte continua a dire che sarà sufficiente il Recovery Fund e noi abbiamo fiducia nelle sue parole».

Anche Zingaretti, suo alleato di governo, dice di avere fiducia in Conte. Ma quei soldi li vuole subito. Lo ha spiegato in una lettera al Corriere della Sera.

«Dividerei il tema Mes dal tema sanità. Con Zingaretti condivido l’idea di un ammodernamento di un sistema sanitario che deve essere pubblico e accessibile a tutti. Ma sul Mes ripeto che non ho motivo di esprimermi».

Con quali soldi si rimette a posto il sistema sanitario?

«Gli strumenti europei sono essenziali, ma lo sono anche i tempi. Se ho bisogno oggi di un aiuto e me lo dai fra un anno non serve. Il sistema sanitario va sostenuto adesso e andava sostenuto anche prima. Negli anni dell’austerity chi chiedeva tagli alla sanità era la Ue. Sbagliò, bisogna dirlo. Come ora non ho problemi a dire che verso l’operato della Von Der Leyen da parte nostra c’è piena fiducia. Ho incontrato anche il mio omologo olandese e mi è sembrato ragionevole».

Non ho ancora capito su quale denaro conta.

«Recovery Fund a parte, abbiamo molti soldi che vanno sbloccati immediatamente. E’ come se ci fossero dei silos pieni ma inutilizzati. Bene, usiamoli».

I finlandesi vanno in pensione dopo 46 anni di lavoro, gli austriaci dopo 38, la media europea è di 36, quella italiana 32. Perché i Paesi Frugali dovrebbero darci soldi gratis?

«Nessuno chiede soldi gratis e ogni paese ha le sue caratteristiche economiche. Se mi sta chiedendo di fare a meno di quota 100 le dico di no. E’ giusto essere leali e rispettosi degli altri stati, ma è giusto anche considerare che gli italiani hanno sofferto e che questa crisi non è colpa di nessuno. Dobbiamo chiederci se vogliamo che l’Europa abbia un futuro».

Qual è il nesso tra quota 100 e la pandemia?

«C’è una questione che serpeggia nell’aria e che mi piace poco. Qualcuno comincia a dire che bisogna lavorare di più e togliere diritti ai lavoratori. Io penso il contrario. L’austerity ha creato danni e ha dato vita a un forte sentimento antieuropeo. Ora le cose stanno cambiando. E io so, per l’esperienza fatta con il decreto dignità, che quando aumentano i diritti aumenta anche il lavoro. Su questo non torno indietro. E mi fa molto piacere che Von der Leyen stia facendo uno sforzo sincero per affrontare la crisi con politiche espansive. Ma voglio essere chiaro: staremo attentissimi a come saranno usati i soldi europei. Non sprecheremo un centesimo. Su questo si gioca la nostra credibilità».

Avete dato (o promesso) soldi a pioggia. Non sarebbe stato più utile investire sulla riduzione del costo del lavoro e su una profonda riforma fiscale che partisse dal taglio dell’Irpef, come dice il governatore Visco?

«Non abbiamo promesso soldi a pioggia e farlo sarebbe un errore. Abbiamo tolto l’Irap nel mese di giugno, l’Imu per gli immobili turistici e poi la Tosap. Non mi sembrano soldi a pioggia. Certo, è arrivato il momento di attivare strumenti di decontribuzione per le imprese. Vanno incentivati gli imprenditori. Il patto per l’export firmato alla Farnesina ha questo scopo. Bisogna ascoltare il mondo che produce perché è quello che dà lavoro».

Come?

«Per esempio spingendo sulla semplificazione del codice degli appalti. Ci sono moltissimi imprenditori pronti ad assumere e a riaprire i cantieri. Li aiuteremo».

L’Irpef?

«Le parole di Visco mi trovano d’accordo. Si, serve una profonda riforma fiscale che parta proprio dall’Irpef».

Cito ancora Angela Merkel: la disoccupazione può diventare dinamite politica e quindi un rischio per la democrazia. E’ una paura che condivide?

«Il rischio di tensioni sociali c’è, soprattutto se si continuano a usare certi toni, se c’è chi aizza le piazze in modo violento. Bisogna richiamarsi al proprio senso di responsabilità. Rappresentiamo le istituzioni, non siamo al bar. Dobbiamo ascoltare i cittadini, non fare i pagliacci».

Ce l’ha con Salvini?

«Parlo in generale. Perché quando incontro i miei colleghi ministri degli esteri noto le stesse dinamiche. Qualcuno cavalca questa tigre che rischia di divorare tutti. Non siamo nel 2008. Qui abbiamo bloccato le attività produttive per salvare la vita ai nostri concittadini».

Perché ai 5 Stelle fanno paura i migranti?

«Qui c’è un enorme equivoco di fondo.Il M5S ha sempre difeso i migranti, lo abbiamo fatto contro il business e lo abbiamo fatto anche di fronte alla spettacolarizzazione che ne hanno fatto alcuni. Se accogli qualcuno devi dargli la possibilità di integrarsi, di avere un lavoro. Se le condizioni del Paese non te lo permettono finisci solo per alimentare conflitti sociali. Tra l’altro io nei giorni scorsi in Libia ho ottenuto una apertura dalle autorità di Tripoli sulla revisione del Memorandum del 2017. L’Italia è e sarà sempre dalla parte dei diritti dell’essere umano».

Ministro, Conte piace più a Grillo che a lei?

«Giuseppe è stato proposto a palazzo Chigi da me due volte, abbiamo un ottimo rapporto e lavoriamo benissimo».

Un tempo eravate il Movimento di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, oggi che cosa siete?

«Oggi stiamo camminando sulle nostre gambe, in un momento di estrema difficoltà per il Paese. Il MSS è forte e unito può puntare a governare per i prossimi 20 anni».

Uniti non sembrate. Tanto meno al Senato.

«Nel Movimento certe dinamiche ci sono sempre state. Quando ero il capo politico e anche adesso, a dimostrazione che il problema non ero io. Ma la maggioranza è solida».

Ministro, le piace il presidente venezuelano Maduro?

«Di mio ho valori precisi, credo nella democrazia, nel dibattito e nel confronto aperto. L’Italia è un Paese dell’alleanza Atlantica. Non so dove vuole portarmi con questa domanda, ma le dico che sul falso scoop del quotidiano spagnolo già ho risposto. Le dico anche che il popolo venezuelano merita libere elezioni quanto prima».

E del presidente egiziano al Sisi che cosa pensa?

«L’Egitto è un interlocutore di cui l’Italia non può fare a meno per i propri interessi strategici, ma il mio primo pensiero resta Regeni. Ci aspettiamo un cambio di passo dopo l’incontro tra le procure».

Non sarebbe più onesto dire: pur continuando a chiedere la verità su Regeni non romperemo le relazioni con l’Egitto e continueremo a vendere armi al Cairo?

«Allora sarebbe più onesto dire che è riduttivo parlare solo dell’Egitto».

Teme un intervento militare egiziano in Libia?

«In Libia le interferenze esterne devono cessare e bisogna dare impulso al processo delle Nazioni Unite. C’è stata una Conferenza a Berlino dove questi attori hanno preso un impegno, ci aspettiamo che lo rispettino. L’operazione Irini servirà a far rispettare l’embargo sull’ingresso delle armi».

E’ ipotizzabile una “sirianizzazione” della Libia e una spartizione tra turchi e russi?

«E’ un timore di tanti osservatori, però la Libia non è la Siria. Per ragioni geografiche è necessariamente un nostro interlocutore strategico e noi lo siamo per loro come lo è l’Unione europea. Sicuramente ci sono paesi che aumenteranno la propria influenza, io però spero e lavoro per la sovranità del popolo libico e per l’unità della Libia».

Lei oggi è ministro degli Esteri ed è stato ministro del lavoro, dello sviluppo economico e vice presidente della Camera. Detto che è diventato impossibile mettere in discussione il suo curriculum, è diventato casta?

«Diventi casta quando ai vertici dell’amministrazione pubblica pensi ai tuoi interessi. Io ho pensato sempre a quelli del Paese, tagliandomi pure lo stipendio e la scorta».

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