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Del Re: “Il Libano di fronte al suo destino” (Limes)

Il Libano distrutto dalla spaventosa esplosione nell’Hangar 12 del porto di Beirut. Ma non sono solo le tristissime cifre della tragedia – centosessanta morti, oltre seimila feriti, oltre trecentomila sfollati – nonché la distruzione delle infrastrutture portuali e del patrimonio abitativo della città ad addolorare il mondo.

È la situazione nel suo complesso che preoccupa, soprattutto per quanto riguarda le fragilità del paese, considerato un esempio di democrazia e libertà nella regione, ora in ginocchio.

A me il Libano è sempre sembrato una fucina di idee, di progettualità, di prospettive, con una gioventù effervescente, un brulicare di attività internazionali, uno dei centri del mondo, quello nell’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa). Sapere che ora sulla carta geografica potrebbe invece diventare una sagoma vuota è veramente inconcepibile, doloroso.

Doveva accadere un simile incidente per riportare all’attenzione della comunità internazionale e dell’opinione pubblica il Libano con tutte le sue contraddizioni e contrasti? Le situazioni irrisolte? Le istanze dei giovani che a viva voce in questi anni e soprattutto nell’ultimo periodo chiedevano di potersi riappropriare del futuro?

È un paese allo stremo, il Libano, con una crisi economica che lo attanaglia e lo pone sul baratro del fallimento. Manca l’energia elettrica, mancano carburante e pezzi di ricambio per i generatori, ora ci sono zone dove è difficile persino reperire il cibo. Un paese che importa quasi tutto. È la struttura stessa del paese che rischia di crollare sotto il colpo dell’esplosione, perché depositi bancari, stipendi, pensioni stanno di fatto evaporando.

Il dramma dell’esplosione dello scorso 4 agosto ha esacerbato ulteriormente gli animi. Si è riaccesa la protesta per l’indignazione suscitata dall’inerzia delle istituzioni, che peraltro già nello scorso autunno era emersa durante la crisi del governo di Saad Hariri. Proteste, quelle di sabato pomeriggio, cui è seguito lunedì l’annuncio delle dimissioni del primo ministro Hassan Diab. Sono segnali importanti che potrebbero portare a una svolta nella politica libanese, se accompagnati da una riscrittura delle regole del gioco condivise da tutti i principali attori.

Concordo con il primo ministro italiano Giuseppe Conte, il quale ha affermato che l’evento che ha scosso Beirut potrebbe costituire un’”opportunità storica” per ricostruire l’unità del paese e convergere verso l’obiettivo non più procrastinabile di articolate riforme, per rispondere alle legittime aspirazioni del popolo libanese. Il post-disastro è già in corso e può portare a un vero processo di trasformazione dello Stato libanese. Tuttavia, pur essendovi un generale consenso sulla necessità di un nuovo “patto sociale e politico” per il paese dei cedri, sono molte le idee su come lo Stato dovrebbe essere rifondato.

La visita del presidente francese Emmanuel Macron sui luoghi della tragedia a Beirut ha suscitato clamore così come il suo annuncio di voler formulare una proposta per superare lo stallo politico ed economico che paralizza il Libano. Ma noi crediamo fortemente che siano i libanesi a dover costruire il loro futuro, soprattutto in questo momento in cui sentirsi protagonisti della propria storia è fondamentale. È giunto il momento di promuovere un concetto nuovo di ‘cittadinanza’ al di là delle appartenenze confessionali. È un processo a cui si sta lavorando da anni. Io stessa ho seguito da vicino le vicende dei conflitti settari in particolare a Tripoli nel Libano, i libanesi mi hanno sempre detto che desiderano sentirsi ‘cittadini’. Quale risultato possiamo trarre dall’equazione che emerge dai simboli che caratterizzano il disegno donatomi da un bambino delle zone di Bab al-Tabbaneh e Jabal Mohsen in cui descrive la sua vita quotidiana: un carrarmato su cui vola una colomba con sullo sfondo la bandiera del Libano? Non possono essere altri a dire ai libanesi ora quali soluzioni adottare per risolvere i loro problemi. Devono individuare forme e modi in tempi speriamo rapidi. Noi possiamo accompagnare il processo.

Il Libano, uscito dalla guerra civile, è stato a lungo considerato un modello capace di garantire rappresentatività a tutte le confessioni religiose, celebrato anche da papa Giovanni Paolo II nel lontano 1997, in un Medio Oriente in cui queste caratteristiche non sono presenti ovunque. Tuttavia, molti sono stati esclusi dal sistema confessionale o non ne hanno beneficiato in termini clientelari. Sono questi ultimi che sono scesi in piazza lo scorso autunno non sentendosi più rappresentati dalla classe politica, accusata di corruzione e di preservare le proprie rendite di posizione. L’eccessiva frammentazione decisionale, così come la ricerca del consenso a qualsiasi livello e su qualsiasi dossier da parte di tutti i gruppi politici, ha paralizzato il sistema non potendo affrontare i nodi che da vent’anni immobilizzano il paese. Una situazione che si è manifestata da ultimo in campo energetico, nella gestione dei rifiuti e nella scarsa attenzione alla tutela ambientale.

Carenze strutturali in un paese in cui peraltro la ricchezza è stata sempre concentrata nelle mani di una piccola minoranza. A tutto questo dal 2011 si sono aggiunte le conseguenze della guerra in Siria, che ha avuto un impatto sulla stabilità libanese sia sotto il profilo umanitario, con più di due milioni di profughi ospitati con enorme generosità, sia sotto il profilo politico, in quanto ci si è divisi sul ruolo che il paese avrebbe dovuto assumere, o non assumere, rispetto alla crisi in Siria.

Oggi ci troviamo di fronte alla sfida della ricostruzione e dell’emergenza umanitaria: danni alle infrastrutture portuali pari a circa dieci miliardi di dollari, un porto da ricostruire, aiuti umanitari a una popolazione stremata. Aiuti che stanno assumendo i contorni di un’opportunità e di una vera e propria competizione tra potenze. Vi sono attori come Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti, Iran, Russia. Poi c’è l’Unione Europea con i suoi membri, tra cui noi. Nel dipanarsi degli interessi di ciascuno, la capacità di azione dei paesi dell’Unione Europea sarà determinante, così come il contributo dell’Onu, attraverso l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite (OCHA) saprà dare in termini di risposte.

In linea con il nostro collaudato e apprezzatissimo modo di agire nell’emergenza, come Italia abbiamo messo subito in campo una fornitura di 8,5 tonnellate di aiuti sanitari, allocando ulteriori 9 milioni di euro di assistenza umanitaria in aggiunta ai 14,5 milioni già allocati nel bilancio 2020 della nostra Cooperazione. Siamo ben consapevoli della necessità di agire in modo sempre più sinergico con la Francia e più in generale come Europa, in quelle aree di crisi del Mediterraneo allargato così fondamentali per noi, quali Sahel, Libia e Libano. Una maggiore sinergia che è oggi sempre più necessaria anche alla luce della Brexit e del parziale disimpegno Usa nel Mediterraneo. Non è più il tempo delle fughe in avanti di un solo paese. Bisogna agire in un’ottica sempre più euro-atlantica per garantire la sicurezza e il benessere di un’area geopolitica vasta, quella del Mediterraneo centrale vitale per la nostra stessa stabilità e per quella europea.

Sul piano della collaborazione con la Francia, in Libano non siamo all’anno zero. Nell’ambito dell’International Support Group for Lebanon (di cui facciamo parte assieme a un ristretto novero di paesi) e in pieno coordinamento con Parigi, abbiamo organizzato due conferenze internazionali per il sostegno alle forze di sicurezza libanesi (l’ultima nel 2018). Il Gruppo, nato per assicurare un efficace sostegno alla stabilità del Libano, si è riunito per la prima volta nel settembre 2013 a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e ha visto la partecipazione dei P5 (Usa, Russia, Regno Unito, Francia, Cina), UE, Onu e Lega Araba, cui si sono poi aggiunti Italia, Germania e Banca Mondiale. Su richiesta del governo libanese, sostenuta dall’Onu e dalla Francia, il governo italiano ha organizzato il 15 marzo 2018 la seconda conferenza ministeriale a sostegno delle forze di sicurezza libanesi, con la partecipazione del segretario generale dell’Onu Guterres e dell’allora primo ministro Hariri. La conferenza ha dato impulso al rafforzamento delle istituzioni securitarie libanesi (inclusa la polizia), sollecitando un maggiore impegno dei partiti libanesi ad assicurare una tangibile dissociazione dalle crisi regionali. Il governo italiano ha poi sostenuto la conferenza CEDRE, il 6 aprile 2019, organizzata dalla Francia per il rilancio degli investimenti e sul miglioramento delle infrastrutture e la promozione dello sviluppo economico del paese.

Il ruolo dell’Italia Libano è di primo piano. Il nostro impegno qui è considerevole e di lungo corso: siamo fortemente impegnati a sostegno della stabilità regionale, di cui il Libano è un elemento cardine; sono intensissimi anche i nostri rapporti bilaterali, consolidati a tutti i livelli. Una storia di solidarietà, cooperazione e collaborazione che ha avuto inizio nel 1983, quando i nostri due governi firmarono il primo accordo per un finanziamento italiano a favore della ricostruzione del Libano, sconvolto dalla guerra civile. Una collaborazione che vede nella Cooperazione italiana uno dei partner di riferimento più importanti per Beirut, tanto da divenire interlocutore privilegiato in molti settori, anche nelle strategie d’intervento dedicate a porre rimedio al drammatico impatto della crisi siriana. Grandissimo ed eccellente il lavoro delle OSC italiane in Libano, coordinate dall’AICS, che ormai costituiscono una presenza apprezzata nel paese da decenni. In questi anni sono state numerose le iniziative finanziate attraverso il canale bilaterale a favore del rafforzamento istituzionale nelle politiche di sviluppo sociale (tra cui supporto ai minori, alle donne e alle questioni di genere, miglioramento del servizio sanitario), della protezione ambientale, delle infrastrutture (soprattutto legate alla rete idrica e allo smaltimento dei rifiuti), dello sviluppo agricolo e rurale, della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Negli ultimi anni sono stati anche avviati studi di settore per intervenire con progetti di sviluppo finanziati a credito di aiuto in aree innovative per la Cooperazione Italiana in Libano. Un’attività propedeutica all’avvio di programmi per lo sviluppo dei distretti industriali, del turismo ecosostenibile e della gestione delle aree costiere marginali.

Spicca inoltre la responsabilità preminente che l’Italia si è assunta con la missione bilaterale MIBIL di addestramento delle Forze armate libanesi, che rappresentano un simbolo di unità nazionale al di là delle divisioni politico confessionali. Spicca soprattutto la leadership italiana della missione UNIFIL, guidata dal Gen. Stefano Del Col nella veste di Force Commander. Si tratta di un ruolo di particolare rilievo e delicatezza, tenuto conto dei rischi di un conflitto nella regione, che proprio lungo la linea blu potrebbe avere uno dei suoi epicentri. Sotto questa prospettiva, l’Italia ha saputo accumulare un capitale riconosciuto di affidabilità ed esperienza nel condurre la missione, e ha un interesse chiaro a preservare la stabilità regionale. Ne è la prova quanto dichiarato su Facebook dall’Ambasciatore israeliano in Italia Dror Eydar, secondo il quale l’offerta di aiuti israeliana al governo libanese sarebbe stata formalizzata dalle Forze armate israeliane per il tramite del Comandante di UNIFIL Stefano Del Col. Un segnale che conferma quanto la missione internazionale riesca, anche in un momento come questo, a far dialogare due paesi formalmente in guerra e in un contesto regionale molto più deteriorato del 2006. La capacità di interagire con tutti gli attori della politica e della società libanese, grazie all’impegno svolto in questi anni per sostenere tutte le comunità anche attraverso progetti di cooperazione civile-militare (CIMIC), ci consente di essere un interlocutore credibile, capace di parlare con tutti.

Siamo presenti in Libano e al fianco del Libano, una vicinanza che ci viene riconosciuta da sempre e che si esplicita con le nostre attività che si collocano al centro pulsante delle questioni fondamentali nel paese e nell’area. Siamo presenti con il nostro stile, con il nostro linguaggio, con la nostra incisività. La risposta all’equazione dei simboli del disegno del bimbo la possono dare solo i libanesi, con noi pronti ad aiutarli a creare le condizioni perché la bandiera garrisca senza carrarmati per le strade e la colomba sia simbolo di unità e cittadinanza piena.

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