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Del Re: «Crisi sociale e politica: il Libano è in ginocchio ma può contare su di noi» (Il Dubbio)

Le immagini dell’esplosione avvenuta il 4 agosto nei pressi del porto di Beirut sono ancora impresse nella mente. Una duplice deflagrazione, causata dallo scoppio di nitrato d’ammonio, ha messo in ginocchio il paese dei cedri, già dilaniato non solo dalla pandemia da coronavirus non ancora circoscritta ma anche da una profonda crisi economica e dalle continue tensioni politiche.
Di fronte a questa emergenza l’UE si è prontamente attivata e l’Italia di certo non è rimasta a guardare, anzi. Soltanto pochi giorni fa la Vice Ministra agli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, Emanuela Del Re, è volata in Libano per organizzare più accuratamente il coordinamento degli aiuti italiani.

Vice Ministra, Lei è andata a Beirut per coordinare gli aiuti italiani che si trovano sul posto, giunti lì per cercare di portare soccorso dopo l’esplosione del 4 agosto. Ha incontrato le organizzazioni della società civile (OSC). Quali sono i tipi d’intervento che nell’immediato si stanno portando avanti e qual è il ruolo dell’Italia su questo fronte?

Il Libano sta vivendo una crisi estremamente delicata. L’esplosione è una catastrofe che si aggiunge a situazioni pregresse già molto complesse. Sono andata per organizzare il coordinamento degli aiuti italiani. C’è da dire che l’Italia è presente sul territorio da decenni. Il nostro non è un aiuto circoscritto all’emergenza dovuta alla tragedia causata dall’esplosione avvenuta i primi di agosto vicino al porto di Beirut, ma è la continuazione di una strategia portata avanti da tempo. Il Libano peraltro è uno dei Paesi più importanti del Mediterraneo. A livello regionale è stato un faro di democrazia e di stabilità e naturalmente noi l’abbiamo sempre sostenuto, anche con la presenza militare UNIFIL, ma soprattutto abbiamo portato avanti progetti in diversi ambiti: culturale di cooperazione allo sviluppo, umanitario. Per questo motivo il mio intervento è stato incentrato su come proseguire un percorso già iniziato, così da permettere a questa azione di soccorso di essere efficacemente concertata, strutturata ed integrata. Nel mese di agosto ho subito istituito un tavolo di coordinamento a cui partecipano tutti gli attori, dal Ministero della difesa, al Ministero degli esteri, la protezione civile, la società civile, il settore privato. Durante questa visita ho avuto modo di incontrare sia le OSC italiane sia quelle libanesi. Ho ascoltato le loro istanze e testimonianze per comprendere meglio le circostanze specifiche socio-economiche e politiche attuali e la loro opinione per essere in grado, poi, di elaborare una strategia protesa alle richieste della popolazione.

Il clima che si respira all’interno della popolazione lo si può definire di malcontento?

Bisogna considerare che il malcontento ha origini lontane, non è conseguenza dell’esplosione. Ho lavorato negli anni passati in Libano, conosco gli effetti devastanti del settarismo su alcune aree come ad esempio Bab al-Tabanneh e Jabal Mohsen a Tripoli, e i segni di quelle divisioni e di quei conflitti interni sono cicatrici ancora non del tutto rimarginate. Quello che accade oggi – rappresentato simbolicamente dalla grande nube scura nube sprigionata dall’esplosione – reca i segni tangibili di una grande depressione all’interno del Paese che incide fortemente anche sulla vita quotidiana, basti pensare alla mancanza di elettricità. Mancano i beni essenziali e c’è difficoltà ad accedere ai servizi. Sono quattro gli ospedali distrutti. Tutto è reso più complicato per la popolazione che fatica ad elaborare una visione prospettica per la ripartenza. Le esigenze essenziali veramente urgenti sono le riforme e individuare basi solide per un futuro sostenibile.

Come si può, a livello prospettico, pensare ad una ricostruzione del Paese?

Il mondo è unito rispetto alla necessità di guardare al Libano. Questa consapevolezza porta ad erogare fondi. L’Italia, ad esempio, ha già dato aiuti sostanziali e sta continuando a darli. Inoltre il nostro Paese continuerà a sostenere le operazioni già in corso. Quello che serve è denaro da poter investire e una ricomposizione dell’assetto politico che risponda alle attuali urgenze e all’evoluzione di quello che è accaduto. La strategia di ricostruzione – nel senso più ampio del termine – dovrebbe essere in grado di intervenire e mettere in ordine gli elementi fondamentali della società, nel quadro del concetto di cittadinanza.

Una ricostruzione che dovrebbe avvenire anche sul piano delle infrastrutture finanziarie?

Certamente. Il mondo delle finanze libanesi è in ginocchio. Se il sistema bancario non è solido, è difficile fare investimenti, è difficile stare nelle dinamiche internazionali: i Paesi donatori devono avere un interlocutore solido per attuare i progetti di ripartenza. A mio avviso bisogna intervenire su alcuni elementi chiave per il futuro del Libano e noi già ci stiamo pensando. Il momento è veramente delicato e complesso per il Paese, ma questa grande, terribile scossa che ha ricevuto, potrebbe anche essere un’occasione.

Vice Ministra, Lei che idea si è fatta della vicenda del 4 agosto, anche se tutto è al vaglio dell’autorità giudiziaria libanese?

Su questo non sono in grado di rispondere. C’è un’inchiesta dell’autorità giudiziaria libanese in corso. L’Italia ha dato un contributo importante inviando una squadra di esperti in eventi CBRN (Chimici Biologici Radiologici e Nucleari) che hanno fatto una disamina delle conseguenze del disastro chimico causato dall’esplosione, facendo una valutazione della qualità dell’aria e analizzando i materiali che si sono depositati sul terreno. Un contributo che non va assolutamente sottovalutato, come le altre nostre azioni, tra cui l’ospedale da campo allestito in tempo record dalle nostre forze armate.

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