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Di Maio: «Fermiamo gli sbarchi, è un problema di sicurezza nazionale» (Corriere della Sera)

Ministro Luigi Di Maio, mentre l’Europa affronta una delle battaglie più dure di sempre contro il Covid, si riaffaccia il terrorismo dalla Francia all’Austria. Ritiene che la scelta temporale non sia casuale?

«Probabilmente non lo è. Non sarebbe la prima volta, spesso il terrorismo ha colpito nei momenti più difficili dell’Europa. Vogliono destabilizzarti incutendo terrore e paura tra la popolazione in una fase delicatissima ma come quella che stiamo attraversando. Bisogna ricompattarsi, essere più incisivi e fermi».

Gli attacchi in Francia e ora a Vienna dimostrano ancora una volta che siamo indifesi contro il terrorismo, si può fare di più a livello di Unione europea?

«Guardiamo cosa è successo a Nizza e a Vienna, ma anche a Lione ad esempio. Non è più possibile ragionare come se tutto ciò accadesse lontano chilometri da noi, così non è. Chiunque può entrare in uno Stato membro e attraversare l’Europa. Il rischio è troppo alto, l’area di vulnerabilità europea troppo estesa. Non solo, i nostri popoli ormai si sentono figli dello stesso popolo europeo, quando colpiscono un Paese estero non possiamo escludere che ad essere coinvolti possano essere anche degli italiani. Penso a Megalizzi a Strasburgo, a Fabrizia Di Lorenzo nel 2016 a Berlino, avevano circa 30 anni entrambi, con tutta la vita davanti».

Serve un coordinamento maggiore fra i Paesi dell’Unione, nel controllo dei confini, nello scambio di informazioni?

«Assolutamente sì, bisogna far funzionare le banche dati europee comuni che abbiamo e che usiamo ancora troppo poco, dotarsi di un sistema europeo che punti a prevenire gli attacchi, interloquendo anche con quegli Stati che gli analisti considerano ad alto potenziale jihadista. Ecco, a misure come queste mi riferisco quando parlo di Patrioct Act europeo, che in America ha subito varie modifiche, proposto da Bush e prorogato da Obama. Bisogna rafforzare il potere dei nostri corpi di polizia in tutta Europa. Serve un fronte europeo contro il terrorismo».

L’Italia è sempre stata risparmiata dal terrorismo islamico, c’è una ragione specifica?

 «I nostri apparati di intelligence sono tra i migliori al mondo, gli anni 70 hanno contribuito a formare una classe di dirigenti preparati e qualificati a ogni evenienza. Quindi questo è un dato, sì, ma a questo si aggiungono variabili geopolitiche, interessi specifici anche di profilo economico, la necessità di cellule terroristiche organizzate o di lupi solitari di mostrarsi al mondo e autopromuoversi con l’obiettivo di raccogliere consenso tra le comunità più fragili».

Si ripropone il problema degli sbarchi. Quello che è successo con l’attacco a Nizza, con un clandestino transitato dall’Italia, si poteva evitare?

«Il punto non è questo. È un problema che ci trasciniamo da sempre, che esisteva anche con i decreti sicurezza, perché gran parte degli sbarchi sono fantasma, di piccole imbarcazioni, difficili da intercettare. Quindi strumentalizzare il tema è inutile. Piuttosto, bisogna sottolineare che la Tunisia non è uno Stato in guerra e come tale deve essere immediatamente rimpatriato. Non possiamo più sostenere questi flussi, è un tema di sicurezza nazionale».

Ma il nostro sistema di controlli dell’immigrazione clandestina funziona a dovere? O ci sono delle falle?

«Il problema qui è un altro, ovvero il messaggio che mandiamo alla comunità internazionale. L’ho detto in più occasioni: si è diffusa l’idea che sia facile sbarcare in Italia e questo messaggio va contrastato con una risposta europea, altrimenti rischiamo di implodere nella situazione di emergenza in cui già ci troviamo. E’ sbagliato accostare il richiedente asilo al terrorista. Vanno separati i diritti dalla minaccia. Ma che un rischio ci sia lo dimostrano i fatti. E anche i Comuni stanno andando in sofferenza, vanno supportati e ascoltati. L’Italia è stata aiutata troppo poco nell’emergenza sbarchi, Lampedusa è la frontiera di tutti e 27 gli Stati membri».

Appunto, da anni si discute di adottare una politica veramente europea sui migranti, ma non sono stati fatti grandi passi in avanti.

«Ha ragione. Troppe buone intenzioni e pochi fatti. Abbiamo sostenuto la commissione Von der Leyen anche per un progetto ambizioso sulle migrazioni, ma dobbiamo dirci che per adesso la proposta della Commissione è incompleta, bisogna rivedere il principio del chi prima accoglie poi gestisce. Se si dichiara di voler superare Dublino senza rivedere quel principio si sta parlando del nulla. Lo dirò ai miei omologhi Ue».

I rimpatri dovrebbero essere coordinati da Bruxelles?

«Non solo dovrebbero essere coordinati dall’Ue, ma gli stessi rimpatri vanno fatti a spese dell’Unione europea. Bisogna abbattere il muro dei viaggi illegali. Chi vuole entrare in Europa deve poterlo fare solo legalmente».

Riprendono in modo massiccio gli sbarchi a Lampedusa, è preoccupato?

«Certo che lo sono. Nelle ultime 48 ore sono sbarcati 1.700 migranti. Già siamo in forte sofferenza per la pandemia, non possiamo permettercene un’altra. Ogni Stato democratico si fonda sulla difesa dei propri confini e qui siamo arrivati al paradosso che parlarne suscita polemiche di natura politica. E’ assurdo. Ma come si può riuscire a gestire l’arrivo di quasi 1.700 migranti in 48 ore con il Covid sulla testa? E chiaro che bisogna cambiare postura».

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