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«Dialogo con Mosca senza cedere» La via italiana per evitare la guerra. II Segretario generale della Farnesina Ettore Sequi: c’è spazio per trattare, fermezza ma anche porte aperte

«Sull’Ucraina serve fermezza sui principi ma apertura e disponibilità al dialogo con Mosca». Cosi l’ambasciatore Ettore Sequi, Segretario Generale della Farnesina.

Ambasciatore, sull’Ucraina siamo di fronte ad una prova di forza più o meno sceneggiata o a una minaccia reale?

«Certamente non lo si può chiamare semplicemente uno show off. Ovviamente c’è grande preoccupazione. Situazioni di questo tipo sono sempre delicate perché c’è il rischio di escalation, di incidenti. Dal nostro punto di vista riteniamo che ci sia spazio per la diplomazia. La posizione comune è di rimanere fermi sui principi dell’integrità territoriale dell’Ucraina e del suo diritto di determinare il proprio destino in termini anche di alleanze, ma allo stesso tempo vogliamo mantenere la porta aperta al dialogo con la Russia. Dialogo e fermezza dei principi: questo è quanto ha detto giovedì il Ministro Di Maio all’omologo russo Lavrov».

In un’intervista al nostro giornale l’ambasciatore Sergio Romano ha detto che per uscire dalla crisi bisogna arrivare alla neutralità dell’Ucraina, offrendo però a Kiev l’ingresso nell’Ue. Può essere per percorso credibile?

«Ho letto l’intervista. Sergio Romano è sempre molto interessante. Questa proposta non è nuova, alla fine del 2014 ne parlò anche Kissinger. Ma su un punto bisogna essere chiari, non è che certe soluzioni possono essere costruite a tavolino, non possono essere imposte. Ogni Paese sovrano ha il diritto di poter decidere il proprio destino. La Svezia non è parte della Nato perché lo ha scelto. Lo stesso deve poter fare Kiev. E la Nato deve poter decidere sul proprio allargamento, senza imposizioni da fuori. II poter scegliere la propria politica estera è una conquista degli ultimi 30 anni e va difesa».

Lei è stato 6 anni ambasciatore a Kabul, conosce a fondo quel Paese. In Afghanistan è finita con una sconfitta bruciante dell’Occidente. È stato tutto inutile?

«Non credo che si possa parlare di bruciante sconfitta, anche se i modi del ritiro hanno colpito le opinioni pubbliche. L’intervento va valutato nella sua globalità e credo che il periodo di assistenza all’Afghanistan abbia visto uno sforzo che certamente non è andato perduto. Nel settore della salute, dell’educazione, delle infrastrutture i parametri sono migliorati in maniera enorme. Ciò che è germogliato nella società resterà, come dimostrano le manifestazioni delle donne afghane per difendere i propri diritti. Sono risultati che difficilmente i talebani disperderanno. Il tema è ora salvaguardare i risultati ottenuti, in particolare quelli dell’inclusione e della condizione femminile. E ci dobbiamo porre anche il tema dell’assistenza umanitaria. L’Afghanistan si trova ad affrontare una gravissima emergenza umanitaria. L’anno scorso serviva 1 miliardo di dollari. Quest’anno si calcola che serva almeno il triplo. Su questo dobbiamo concentrarci».

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