I Balcani non possono più attendere. Il rilancio dell’azione italiana nella regione, che il nostro Governo ha avviato con la Conferenza di Trieste lo scorso 24 gennaio, ha trovato una ulteriore importante tappa nella riunione ministeriale di Roma di ieri, lunedì 3 aprile. Assieme ai ministri degli Esteri di Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia, nonché alla Presidenza di turno svedese del Consiglio della Ue e al Commissario all’Allargamento e la politica di vicinato, abbiamo discusso su come rendere più concreto il processo di integrazione europea di questa regione.
Abbiamo ascoltato con attenzione la forte domanda di Europa e di Italia che viene da questi Paesi, la loro aspirazione a far parte del progetto europeo a cui si sentono intimamente legati dalla storia, dalla cultura, dall’economia, e alla cui costruzione desiderano contribuire con l’energia della propria società civile e l’entusiasmo dei loro giovani. Dalla discussione è emersa chiaramente l’esigenza di lavorare assieme per un’integrazione nei meccanismi e nella vita istituzionale della Ue fin dalle battute iniziali del processo negoziale, in particolare in settori chiave quali la transizione energetica e digitale, le infrastrutture, l’istruzione, la ricerca.
Quello che questi Paesi chiedono non è uno sconto sulle riforme che l’Unione Europea chiede loro di adottare per entrare, ma certezza sul processo, sulla tempistica e soprattutto sul risultato finale. Ho potuto, infatti, toccare con mano la loro frustrazione per un processo di integrazione che negli ultimi anni è diventato sempre più erratico, anche a causa di una frequente interpretazione burocratica delle dinamiche negoziali da parte dell’Unione Europea. Così facendo, si dimentica lo straordinario valore trasformativo che il processo di integrazione ha sulle istituzioni e sulla società civile di questi Paesi. Il sogno europeo rischia di diventare per tutti loro una chimera.
La crescente disillusione da parte dei cittadini dei Balcani Occidentali sulla prospettiva europea della regione, è un campanello d’allarme che deve scuotere la Ue e i suoi Stati membri. Sia chiaro: l’Unione Europea non può permettersi di perdere i Balcani Occidentali. La sicurezza europea – e l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina ci ricorda ogni giorno quanto essa sia oggi minacciata – verrebbe seriamente compromessa da questa prospettiva. L’Italia è tra i Paesi maggiormente esposti ai rischi che deriverebbero da un tale scenario, anche sul fronte migratorio.
L’Italia sente la responsabilità di farsi portavoce delle speranze e delle aspettative di chi vive dall’altra parte dell’Adriatico e che vede il proprio destino nell’Europa unita. Per questo motivo, il Governo italiano si è battuto e ha lavorato per la concessione dello status di “Candidato Ue” per la Bosnia-Erzegovina, simbolo della complessità ma anche della straordinaria potenzialità di questa regione. Con la stessa determinazione continueremo a lavorare affinché ci sia sempre più Europa e più Italia nei Balcani.
L’Italia vuole essere protagonista di pace, costruttore di integrazione e prosperità. Abbiamo tutte le carte in regola per farlo. Lo testimoniamo la sincera riconoscenza per il contributo alla stabilità regionale che assicurano le nostre donne e i nostri uomini in divisa; l’ammirazione per il nostro modo di fare impresa testimoniata da un interscambio in crescita (+50% di interscambio nel primo semestre del 2022 per un valore totale di circa 17 miliardi di euro) e dal successo di iniziative come il primo “Business and Science Forum Italia-Serbia” cui hanno partecipato oltre 400 aziende.
Il Governo italiano c’è e farà la sua parte fino in fondo, come ha ricordato il Presidente del Consiglio in apertura della riunione ministeriale di Roma. Il nostro impegno nei Balcani Occidentali proseguirà con rinnovato slancio e convinzione. I Balcani non possono attendere ancora.