«L’Italia è sempre decisa ad aiutare l’Ucraina», ma sul fondo per Kiev da 40 miliardi «ci sono ancora molti interrogativi, dovremo già investire molti soldi per adeguarci ai parametri della Nato e per il piano von der Leyen e dunque va fatta una valutazione complessiva». Perché aumentare le spese per garantire la Difesa, sottolinea Antonio Tajani, «è una necessità, oltre che un dovere imposto dalla Costituzione». Per questo il ministro degli Esteri manda un messaggio chiaro agli alleati di governo leghisti e in particolare al ministro delle Finanze, Giancarlo Giorgetti: «Lui ha le sue sacrosante preoccupazioni sui conti pubblici, ma ci sono anche altre priorità di cui tener conto: qui è in gioco la sicurezza nazionale».
Oggi il Consiglio Affari Esteri Ue discuterà della proposta dell’Alto Rappresentante, Kaja Kallas: ci sarà un’intesa sul fondo per gli aiuti militari a Kiev?
«Vediamo, mi pare che ci siano ancora tanti interrogativi, da parte di molti Paesi. Si tratta di una proposta che deve essere spiegata bene nei dettagli, che vanno analizzati e approfonditi. Noi siamo sempre impegnati ad aiutare l’Ucraina, però bisogna valutare bene quali saranno i costi, perché dovremo investire anche molte risorse per adeguarci ai parametri della Nato e per il piano ReArm Europe di von der Leyen. Abbiamo varato undici pacchetti di aiuti per l’Ucraina e abbiamo dato tutto quel che potevamo dare. In questo Consiglio Affari Esteri ci sarà una discussione ancora interlocutoria, dopodiché valuteremo cosa fare, ma dopo aver fatto una valutazione complessiva insieme anche al Ministro della Difesa».
Sull’invio di truppe, invece, il “no” è netto?
«L’ho detto anche a Marco Rubio al G7: noi siamo disposti a inviare i nostri militari in Ucraina in una operazione di peacekeeping, ma soltanto nel quadro di una missione Onu. Diversamente no, non possiamo. E comunque bisogna prima arrivare alla pace e prima ancora al cessate il fuoco. Noi sosteniamo l’iniziativa americana, ma aspettiamo ancora la risposta di Putin».
Dopo la call organizzata da Starmer, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sottolineato di nuovo l’esigenza di lavorare con gli Stati Uniti: ma, continuando a inseguire Trump, non c’è il rischio di finire marginalizzati in Europa?
«Noi abbiamo sempre sostenuto le posizioni europee, ma abbiamo anche sempre ribadito che bisogna continuare a lavorare con gli Stati Uniti. Senza di loro non è possibile garantire la sicurezza dell’Europa o dell’Ucraina. L’Europa deve rimanere unita e trovare posizioni concordate, dopodiché non è che se un Paese dice che bisogna inviare i soldati, allora tutti devono farlo. Su questo abbiamo una posizione chiara. Cosi come abbiamo sempre avuto una posizione chiara relativa all’utilizzo delle armi che forniamo all’Ucraina in territorio russo».
L’Unione europea, però, è molto critica sulle ultime mosse di Trump: l’Europarlamento ha votato una risoluzione proprio per condannare il riavvicinamento a Putin. Voi di Forza Italia l’avete sostenuta, Fratelli d’Italia si è astenuto e la Lega si è schierata contro…
«Se è per questo, a sinistra c’è un partito come il Pd che si è spaccato al suo interno e non è stato nemmeno in grado di trovare una linea comune. A Strasburgo i tre partiti di maggioranza hanno votato così perché appartengono a tre gruppi diversi, ma ora vedrete che ci sarà una posizione unitaria in occasione del voto al Parlamento italiano. Noi sosteniamo il piano di von der Leyen perché, anche se il comico Maurizio Crozza mi prende in giro, le spese per la Difesa sono un qualcosa di più ampio delle armi. È in gioco la sicurezza nazionale. Lo dice anche l’articolo 52 della Costituzione: la difesa della patria è sacro dovere del cittadino. E chi parla tanto di contrasto all’immigrazione clandestina dovrebbe sapere che è anche grazie alle nostre forze armate che garantiamo la sicurezza dei confini… ».
Si riferisce alleati di governo leghisti?
«Noi abbiamo un’industria della Difesa molto importante. Come ha detto anche Christine Lagarde, il piano von der Leyen può anche rappresentare un modo per favorire la nostra industria e quindi far crescere la nostra economia. Investire nella Difesa significa far crescere il nostro sistema industriale e quindi creare lavoro. Abbiamo industrie fiorenti, come Fincantieri, Leonardo. Ci sono molte industrie che si possono convertire, penso per esempio a chi produce componentistica per l’automotive».
Eppure il ministro delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, è molto scettico sul piano Von der Leyen perché teme l’esplosione del debito pubblico. Sbaglia?
«Giorgetti ha le sue sacrosante preoccupazioni, ma ci sono anche altre priorità di cui tener conto. Io ho apprezzato la sua proposta per mobilitare maggiori investimenti privati. I conti pubblici sono importanti, ma non si può guardare alla questione solo in un’ottica settoriale. Qui è in gioco la sicurezza nazionale. E poi, visto che il partito di Giorgetti è molto filo-Trump, non dimentichiamo che sono proprio gli americani a chiederci di spendere di più per la Difesa… ».
A proposito di Stati Uniti, ha fatto bene la Commissione a rispondere con contro-dazi su 26 miliardi di prodotti americani?
«Il commercio è una competenza esclusiva della Commissione e mi pare che von der Leyen si stia muovendo molto bene, con prudenza. Noi abbiamo inviato a Washington una missione tecnica per lavorare con gli americani e con la Commissione perché bisogna trattare, confrontarci e dialogare. Le guerre commerciali non fanno bene a nessuno. Bisogna tenere i nervi saldi, senza allarmismi».
Sabato 50 mila persone sono scese in piazza a Roma con le bandiere Ue: che effetto le ha fatto, da ex presidente del Parlamento europeo?
«È stata una manifestazione di parte, organizzata da un giornale che è contro il governo (“La Repubblica”, ndr) e alla quale hanno aderito tutti quelli che sono all’opposizione. La bandiera Ue è stata usata per dire “L’Europa siamo noi”, ma non è così. Noi di Forza Italia siamo nel Partito popolare europeo, che è il primo partito europeista. Lo spirito europeo è quello di De Gasperi, Schuman e Adenauer, mentre loro hanno parlato solo di Altiero Spinelli. C’è stata una grande strumentalizzazione».