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Audizione del Vice Ministro Dassù sulla Politica Estera di Sicurezza Comune

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


· Alla Politica Estera di Sicurezza Comune è dedicato l’intero Titolo V del Trattato sull’Unione Europea, che si apre affermando: “l’Azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e solidarietà e rispetto dei principi della carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale”.


· Più precisamente, ai sensi dell’art. 24 del TUE, la PESC comprende tutti i settori della politica estera e tutte le questioni relative alla sicurezza dell’UE, inclusa la definizione progressiva di una politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC).


· Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, si è tentato di rispondere all’esigenza di un ripensamento generale dell’impianto istituzionale dell’azione esterna dell’UE, nell’obiettivo di renderla più coerente e tempestiva per garantire un’azione europea coesa sulla scena internazionale.


· Le principali novità introdotte dal Trattato di Lisbona sono di natura istituzionale. Ha infatti previsto:


1) L’istituzione della figura dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che è anche Vice Presidente della Commissione. L’AR guida la PESC e la PESD, contribuendo alla formazione di dette politiche e presiedendo quale mandatario la loro attuazione. L’attuazione della PESC avviene sotto la sua responsabilità. È una figura chiave nel nuovo sistema.


2) Nell’esecuzione delle sue funzioni, l’Alto Rappresentante si avvale del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), composto da funzionari dei servizi competenti del Segretariato generale del Consiglio e della Commissione e da personale distaccato dai servizi diplomatici nazionali.


Il dato complessivo della presenza nel SEAE è di circa 100 funzionari (di cui 13 provenienti dalla carriera diplomatica, 3 da altre Amministrazioni ed i restanti dalle Istituzioni UE). La presenza italiana è la seconda per consistenza numerica, dietro soltanto alla Francia. Restringendo tuttavia l’ottica ai soli funzionari diplomatici, la nostra presenza si colloca su livelli inferiori a quelli di Francia, Regno Unito, e Germania.


Per quanto riguarda la rete estera del SEAE, al termine della rotazione 2012, sono italiani 14 Capi Delegazione (di cui tre provenienti dalla carriera diplomatica: l’Amb. Sequi a Tirana, l’Amb. Zappia a Ginevra – Organizzazioni internazionali, l’Amb. Fabrizi a Canberra).


Per quanto riguarda la sede centrale del SEAE, sono italiani il Direttore Generale per la Risposta alle Crisi e il Coordinamento delle Operazioni (Agostino Miozzo), 2 Direttori (il Direttore per l’Europa occidentale, i Balcani e la Turchia, Min. Plen. Fernando Gentilini ed il Direttore per l’Asia Meridionale ed il Sud-Est Asiatico, Min. Plen. Ugo Astuto).


· Gli ultimi anni hanno visto sforzi organizzativi consistenti per dare vita a una singola rete diplomatica che dia peso reale e visibilità alle posizioni comuni nel mondo. Come era prevedibile, questo processo non è rapido perché si tratta di superare differenze burocratiche e perfino culturali, nonostante la lunga abitudine a collaborare sul piano diplomatico.


· Proprio a luglio l’Alto Rappresentante ha presentato un Rapporto di valutazione sui primi anni di operatività del SEAE con proposte di revisione (review) del Servizio che potranno essere attuate a partire dal 2014. Le principali proposte di riforme delineate nel Rapporto riguardano la struttura del Servizio (in particolare l’organigramma) e il suo funzionamento (in particolare le relazioni con le altre Istituzioni e specialmente con la Commissione).


· Sul piano più generale, secondo i Trattati, la politica estera e di sicurezza è “comune” (con decisioni prese all’unanimità dal Consiglio) e non “unica”: dunque, deve essere anzitutto compatibile con quelle nazionali che restano come una sorta di filone parallelo – quantomeno parallelo e anzi auspicabilmente complementare.

PESC e PSDC sono state mantenute saldamente nella sfera intergovernativa: gli Stati membri rimangono in pieno controllo delle decisioni dell’Unione e possono condizionarne gli sviluppi. Detto ciò, non è corretto portare questa interpretazione alle sue più estreme conseguenze, facendo di queste politiche solo l’espressione di un “minimo comune denominatore” che accontenti tutti senza soddisfare nessuno.

· I critici della PESC affermano che la più efficace linea di politica estera europea sia stata legata al processo di allargamento dell’UE. La prospettiva stessa della membership produce incentivi positivi che rendono efficace il meccanismo della condizionalità – non solo nel senso più pressante del do ut des, ma anche di una vera moral suasion. Lo dimostrano i passi avanti compiuti nel processo di dialogo tra Belgrado e Pristina.


· La Ue è un attore assai più credibile quando offre l’accesso al suo mercato unico, alla cittadinanza, alle garanzie politiche della piena appartenenza. E’ bene non dimenticarlo anche nella fase di obiettiva difficoltà, economiche ma anche di autostima, che la UE sta attraversando. Soprattutto in considerazione dei paesi attualmente con status di candidati, che rappresentano casi particolarmente delicati per ovvie ragioni anche storiche: dopo la Croazia nel luglio scorso, Macedonia, Montenegro, Serbia e naturalmente Turchia (più con lo status di candidati potenziali Albania, Bosnia e Kosovo).


· Laddove l’Unione Europea non promette l’allargamento, la PESC funziona meno. Una politica estera europea per essere effettivamente “comune” dovrebbe rispondere a priorità dell’Unione in quanto tale, mentre è invece ancora il risultato finale di un “tiro alla fune” tra gli Stati Membri, ognuno dei quali impegnato ad usare la UE e la PESC come un mero moltiplicatore della proiezione nazionale.


· Allo stato attuale sul cammino della PESC esistono ancora molti ostacoli che non riguardano solo il “tiro alla fune” fra i paesi membri.


· Un primo limite è senz’altro la mancanza di una Strategia aggiornata. L’ultima, la Strategia di Sicurezza Europea, varata sotto la guida di Javier Solana nel 2003: “Un’Europa più sicura in un Mondo Migliore”, si basava sul mantra che “la visione del mondo è globale, ma gli interessi prioritari sono inevitabilmente anzitutto regionali e si concentrano nel grande vicinato europeo”.


· Con l’eccezione dell’area dei Balcani occidentali, le cosiddette politiche di vicinato soffrono però di una cattiva reputazione o quantomeno di una difficile eredità: nel caso del Mediterraneo c’è stato il tentativo decisamente deficitario dell’Unione per il Mediterraneo, che poi è stata travolta dagli eventi dal 2011 ad oggi; nel caso dell’Est ci sono grandi questioni strategiche di tipo strutturale, che come tali non si prestano a interventi risolutivi in tempi rapidi, come Russia e Ucraina (ma anche tutti i rapporti tra la Russia stessa e i paesi del Caucaso).


· Sul versante orientale, la Eastern Partnership sembra dover competere con il tentativo russo di dar vita a un blocco alternativo, e i rapporti con Mosca sono quindi destinati a restare misti, di cooperazione selettiva e parziale competizione politica.


· Nel Mediterraneo, è ancora oggettivamente arduo consolidare i rapporti con le nuove leadership emergenti in paesi come Egitto, Tunisia e Libia, nel contesto della profonda instabilità che interessa le società arabe: a maggior ragione, conta soprattutto la capacità europea di ragionare su obiettivi complessivi di progressiva apertura e interdipendenza economica, oltre che di gestione comunque dei flussi migratori. Tale sfida dell’UE è resa ancora più difficile dalla presenza di nuovi e più ricchi attori, capaci di esercitare un’influenza e una forza attrattiva maggiore nelle situazioni di crisi (v. Arabia Saudita in Egitto).


· Un secondo limite sono le risorse. Non solo gli Stati membri subiscono progressivamente tagli ai budget nazionali destinati alla proiezione esterna e alla difesa, ma non possiamo ignorare una simile tendenza anche a livello aggregato UE. Nell’ambito del Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020 sono stati allocati 58,7 miliardi di euro per le relazioni esterne dell’UE (ben 1,9 miliardi in meno rispetto all’attuale esercizio finanziario 2007-2013).


· Un terzo limite è la mancanza di hard power a sostegno del soft power dell’UE. Quanto sta avvenendo ai nostri confini meridionali sta infatti mostrando come la UE non possa esercitare il proprio indubbio soft power a favore della pace e sicurezza internazionale se non ha alle spalle la forza di un hard power su cui poter fare affidamento in caso di esplosione di una crisi internazionale. Si pensi ad esempio al rifiuto da parte delle autorità egiziane della mediazione dell’Alto Rappresentante Ashton, durante la crisi di luglio. In quel caso, come ha detto anche il Ministro Bonino, la UE era presente e parlava con una sola voce, ma la mancanza di strumenti “forti” ha reso questa voce flebile.


· Per attivare concretamente quel comprehensive approach, ovvero quell’approccio globale dell’azione esterna dell’Unione, che consiste nell’utilizzo coordinato ed integrato di tutti gli strumenti UE per potenziarne gli effetti, non può mancare anche la componente “sicurezza e difesa”, a norma di Trattato parte integrante della PESC, e, de facto, il suo logico sostegno.


· In questo contesto la PSDC (ex PESD) sta già conoscendo da dieci anni un importante sviluppo, con più di 30 missioni in giro per il mondo. Attualmente sono 16 le missioni PSDC dispiegate principalmente in Africa e nei Balcani, di cui 4 sono militari (in Mali, Bosnia, Somalia e Atalanta nell’Oceano Indiano). Nell’ambito di queste missioni si realizza già in maniera piuttosto evoluta quell’integrazione civile-militare che permette di unire attività di consulenza e mentoring delle istituzioni locali a quelle di mantenimento della sicurezza e di lotta al terrorismo.


· Come si vede, per la maggior parte si tratta di strumenti di soft power ( di aiuto per lo sviluppo, per lo stato di diritto, per la stabilità del vicinato) con cui l’UE cerca di esportare il proprio modello di equità, pace ed integrazione regionale, che ha garantito sessant’anni di pace nel nostro continente. Esportare cioè un modello di valori di cui l’Europa deve andar fiera, ma che a volte ha impedito un approccio più pragmatico e meno basato su questioni filosofiche e/o identitarie: un errore che sta rischiando, per esempio, di mettere in crisi i rapporti fra UE e Russia.


· L’Europa ha potuto trincerarsi finora dietro al suo sistema di valori facendo a meno di una difesa europea grazie all’ombrello americano, ma di fronte alle crisi più recenti ha dovuto confrontarsi con le conseguenze di un graduale disimpegno americano, evidente soprattutto in alcune aree. In questi casi, le carenze dei sistemi di difesa europei si sono manifestate con grande chiarezza.


· Anche per queste ragioni, da più di un anno è stato riavviato il dibattito sulla Difesa europea, che ha portato all’elaborazione di un Rapporto da parte dell’Alto Rappresentante Ashton, in discussione al Consiglio Europeo di Dicembre dedicato alla Difesa europea.


· Il Consiglio Europeo prenderà decisioni su tre filoni di approfondimento: 1) aumento dell’efficacia, visibilità e impatto della Politica di Sicurezza e Difesa Comune; 2) sviluppo delle capacità di difesa europee; 3) rafforzamento dell’industria europea della difesa.


· Riprendere l’integrazione proprio da un settore tanto legato alle sensibilità nazionali può sembrare a prima vista un controsenso. In realtà sta emergendo che, diversamente dalla stessa PESC, nel settore della difesa si può applicare molto più facilmente un approccio pragmatico fondato su necessità e progetti concreti.


· È un cambio di passo delicato ma possibile, se sapremo trarre lezioni dalla crisi finanziaria e sviluppare, anche grazie ad essa, una visione strategica che ci permetta di contenere i bilanci in modo coerente e coordinato, grazie ad una maggiore integrazione europea nel settore (citazioni utili: “it’s the economy, stupid”, “never waste a crisis”, ma anche “non abbiamo più soldi: dobbiamo iniziare a pensare”, attribuita a Churchill).


· Non esistendo una politica di difesa UE, gli Stati membri stanno continuando a finanziare duplicazioni delle stesse capacità operative, mentre i tagli ai bilanci stanno provocando la perdita di capacità tecnologiche e industriali a duplice uso/duali. Non ci sono alternative: le duplicazioni devono finire. Anche quelle per cui esistono tornaconti nazionali.


· L’Unione Europea deve mettere a sistema le proprie potenzialità di spesa (che anche se ridotte continuano a fare dell’UE il secondo mercato mondiale per la Difesa, superiore a Cina, Russia e Giappone sommati assieme), moltiplicandone l’efficacia e minimizzando l’impatto negativo dei tagli.


· Riguardo il Rapporto presentato dall’Alto Rappresentante Ashton al Presidente Van Rompuy siamo piuttosto soddisfatti, per una serie di ragioni.


· È stata enfatizzata la necessità di collaborare con la NATO e trovare sinergie con l’ONU e l’Unione Africana nella gestione delle crisi, nonché quella di favorire la partecipazione di Paesi terzi alle missioni PSDC (Alleati Nato non-UE come la Turchia, Paesi del Partenariato Orientale, ecc.).


· Ambiti per noi essenziali, quali la sicurezza cibernetica, marittima e dei confini hanno ciascuno una propria autonoma rilevanza, proprio come auspicato dall’Italia. Esiste anche un paragrafo specifico sulla sicurezza e gestione delle frontiere di paesi terzi. In quest’ultimo aspetto, parte integrante della sicurezza europea, trova spazio anche l’immigrazione clandestina ed il crimine organizzato, come fortemente desiderato dall’Italia.


· Di particolare interesse, per favorire una capacità di intervento rapido dell’UE, è poi la proposta di utilizzare l’art.44 del Trattato UE, ovvero la disposizione che prelude a una sorta di Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) in forma alleggerita e meno strutturata (una “PESCO light”). Con l’art. 44 ci troviamo di fronte ad un’ipotesi di Europa della difesa asimmetrica (così come asimmetrici rispetto alla composizione dell’UE sono lo spazio Schengen e l’eurozona), ma non permanente né strutturata, dato che la collaborazione sarebbe limitata agli Stati Membri che vogliono impegnarsi in una missione specifica. Una coalition of the willing con imprimatur UE.


· Relativamente al dispiegamento rapido delle missioni civili UE, particolare rilievo assume anche la revisione delle procedure per la gestione delle crisi, su cui l’Italia si è molto spesa e che potrebbe vedere importanti seguiti durante il nostro Semestre di Presidenza.


· Un tema interessante è quello dei raggruppamenti tattici multinazionali detti “Battlegroups”, che potrebbero diventare una forza europea di intervento/reazione rapida; un tema anch’esso fortemente sostenuto da parte italiana.


· Viene, poi, articolato il concetto di una Defence roadmap strategica: anche se purtroppo difficilmente potrà trasformarsi in un vero Libro Bianco della Difesa Europea, potrà esserne una sorta di embrione.


· Si fa molta attenzione alla necessità di incentivi anche fiscali, innovativi per la cooperazione nel settore della difesa e si menziona esplicitamente la proposta di un’esenzione IVA (una proposta francese che l’Italia sostiene, anche se di difficile applicazione e potenzialmente non accettabile per Berlino e Londra).


· Molto importante anche l’enfasi su progetti europei originali e credibili in settori ad alta tecnologia (aerei senza pilota, spazio reale e cyberspazio) e/o in cui le capacità europee sono scarse (per esempio il trasporto strategico o il rifornimento in volo), nonché il fondamentale inserimento della necessità di sostenere il ruolo delle PMI nelle filiere dell’industria della difesa europea.


· Desidero, infine, attirare l’attenzione su due possibili seguiti operativi del Consiglio Europeo di dicembre, che potrebbero essere curati durante il nostro semestre di Presidenza della UE. Il primo riguarda l’elaborazione di una Strategia di Sicurezza Marittima UE e del relativo Piano di Azione. Si tratta di un tema di nostro diretto interesse, soprattutto alla luce degli ultimi eventi nel Mediterraneo, e per il quale penso l’Italia dovrebbe essere in prima fila fra gli Stati membri.


· In secondo luogo, se -come noi auspichiamo- il Consiglio Europeo prenderà a dicembre decisioni di sostanza per sviluppare la base industriale e tecnologica della Difesa europea, potremmo organizzare sotto nostra Presidenza quale seguito concreto un apposito evento di alto livello sull’industria della difesa.

Audizione del Vice Ministro Dassù sulla Politica Estera di Sicurezza Comune

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


· Alla Politica Estera di Sicurezza Comune è dedicato l’intero Titolo V del Trattato sull’Unione Europea, che si apre affermando: “l’Azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e solidarietà e rispetto dei principi della carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale”.


· Più precisamente, ai sensi dell’art. 24 del TUE, la PESC comprende tutti i settori della politica estera e tutte le questioni relative alla sicurezza dell’UE, inclusa la definizione progressiva di una politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC).


· Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, si è tentato di rispondere all’esigenza di un ripensamento generale dell’impianto istituzionale dell’azione esterna dell’UE, nell’obiettivo di renderla più coerente e tempestiva per garantire un’azione europea coesa sulla scena internazionale.


· Le principali novità introdotte dal Trattato di Lisbona sono di natura istituzionale. Ha infatti previsto:


1) L’istituzione della figura dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che è anche Vice Presidente della Commissione. L’AR guida la PESC e la PESD, contribuendo alla formazione di dette politiche e presiedendo quale mandatario la loro attuazione. L’attuazione della PESC avviene sotto la sua responsabilità. È una figura chiave nel nuovo sistema.


2) Nell’esecuzione delle sue funzioni, l’Alto Rappresentante si avvale del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), composto da funzionari dei servizi competenti del Segretariato generale del Consiglio e della Commissione e da personale distaccato dai servizi diplomatici nazionali.


Il dato complessivo della presenza nel SEAE è di circa 100 funzionari (di cui 13 provenienti dalla carriera diplomatica, 3 da altre Amministrazioni ed i restanti dalle Istituzioni UE). La presenza italiana è la seconda per consistenza numerica, dietro soltanto alla Francia. Restringendo tuttavia l’ottica ai soli funzionari diplomatici, la nostra presenza si colloca su livelli inferiori a quelli di Francia, Regno Unito, e Germania.


Per quanto riguarda la rete estera del SEAE, al termine della rotazione 2012, sono italiani 14 Capi Delegazione (di cui tre provenienti dalla carriera diplomatica: l’Amb. Sequi a Tirana, l’Amb. Zappia a Ginevra – Organizzazioni internazionali, l’Amb. Fabrizi a Canberra).


Per quanto riguarda la sede centrale del SEAE, sono italiani il Direttore Generale per la Risposta alle Crisi e il Coordinamento delle Operazioni (Agostino Miozzo), 2 Direttori (il Direttore per l’Europa occidentale, i Balcani e la Turchia, Min. Plen. Fernando Gentilini ed il Direttore per l’Asia Meridionale ed il Sud-Est Asiatico, Min. Plen. Ugo Astuto).


· Gli ultimi anni hanno visto sforzi organizzativi consistenti per dare vita a una singola rete diplomatica che dia peso reale e visibilità alle posizioni comuni nel mondo. Come era prevedibile, questo processo non è rapido perché si tratta di superare differenze burocratiche e perfino culturali, nonostante la lunga abitudine a collaborare sul piano diplomatico.


· Proprio a luglio l’Alto Rappresentante ha presentato un Rapporto di valutazione sui primi anni di operatività del SEAE con proposte di revisione (review) del Servizio che potranno essere attuate a partire dal 2014. Le principali proposte di riforme delineate nel Rapporto riguardano la struttura del Servizio (in particolare l’organigramma) e il suo funzionamento (in particolare le relazioni con le altre Istituzioni e specialmente con la Commissione).


· Sul piano più generale, secondo i Trattati, la politica estera e di sicurezza è “comune” (con decisioni prese all’unanimità dal Consiglio) e non “unica”: dunque, deve essere anzitutto compatibile con quelle nazionali che restano come una sorta di filone parallelo – quantomeno parallelo e anzi auspicabilmente complementare.

PESC e PSDC sono state mantenute saldamente nella sfera intergovernativa: gli Stati membri rimangono in pieno controllo delle decisioni dell’Unione e possono condizionarne gli sviluppi. Detto ciò, non è corretto portare questa interpretazione alle sue più estreme conseguenze, facendo di queste politiche solo l’espressione di un “minimo comune denominatore” che accontenti tutti senza soddisfare nessuno.

· I critici della PESC affermano che la più efficace linea di politica estera europea sia stata legata al processo di allargamento dell’UE. La prospettiva stessa della membership produce incentivi positivi che rendono efficace il meccanismo della condizionalità – non solo nel senso più pressante del do ut des, ma anche di una vera moral suasion. Lo dimostrano i passi avanti compiuti nel processo di dialogo tra Belgrado e Pristina.


· La Ue è un attore assai più credibile quando offre l’accesso al suo mercato unico, alla cittadinanza, alle garanzie politiche della piena appartenenza. E’ bene non dimenticarlo anche nella fase di obiettiva difficoltà, economiche ma anche di autostima, che la UE sta attraversando. Soprattutto in considerazione dei paesi attualmente con status di candidati, che rappresentano casi particolarmente delicati per ovvie ragioni anche storiche: dopo la Croazia nel luglio scorso, Macedonia, Montenegro, Serbia e naturalmente Turchia (più con lo status di candidati potenziali Albania, Bosnia e Kosovo).


· Laddove l’Unione Europea non promette l’allargamento, la PESC funziona meno. Una politica estera europea per essere effettivamente “comune” dovrebbe rispondere a priorità dell’Unione in quanto tale, mentre è invece ancora il risultato finale di un “tiro alla fune” tra gli Stati Membri, ognuno dei quali impegnato ad usare la UE e la PESC come un mero moltiplicatore della proiezione nazionale.


· Allo stato attuale sul cammino della PESC esistono ancora molti ostacoli che non riguardano solo il “tiro alla fune” fra i paesi membri.


· Un primo limite è senz’altro la mancanza di una Strategia aggiornata. L’ultima, la Strategia di Sicurezza Europea, varata sotto la guida di Javier Solana nel 2003: “Un’Europa più sicura in un Mondo Migliore”, si basava sul mantra che “la visione del mondo è globale, ma gli interessi prioritari sono inevitabilmente anzitutto regionali e si concentrano nel grande vicinato europeo”.


· Con l’eccezione dell’area dei Balcani occidentali, le cosiddette politiche di vicinato soffrono però di una cattiva reputazione o quantomeno di una difficile eredità: nel caso del Mediterraneo c’è stato il tentativo decisamente deficitario dell’Unione per il Mediterraneo, che poi è stata travolta dagli eventi dal 2011 ad oggi; nel caso dell’Est ci sono grandi questioni strategiche di tipo strutturale, che come tali non si prestano a interventi risolutivi in tempi rapidi, come Russia e Ucraina (ma anche tutti i rapporti tra la Russia stessa e i paesi del Caucaso).


· Sul versante orientale, la Eastern Partnership sembra dover competere con il tentativo russo di dar vita a un blocco alternativo, e i rapporti con Mosca sono quindi destinati a restare misti, di cooperazione selettiva e parziale competizione politica.


· Nel Mediterraneo, è ancora oggettivamente arduo consolidare i rapporti con le nuove leadership emergenti in paesi come Egitto, Tunisia e Libia, nel contesto della profonda instabilità che interessa le società arabe: a maggior ragione, conta soprattutto la capacità europea di ragionare su obiettivi complessivi di progressiva apertura e interdipendenza economica, oltre che di gestione comunque dei flussi migratori. Tale sfida dell’UE è resa ancora più difficile dalla presenza di nuovi e più ricchi attori, capaci di esercitare un’influenza e una forza attrattiva maggiore nelle situazioni di crisi (v. Arabia Saudita in Egitto).


· Un secondo limite sono le risorse. Non solo gli Stati membri subiscono progressivamente tagli ai budget nazionali destinati alla proiezione esterna e alla difesa, ma non possiamo ignorare una simile tendenza anche a livello aggregato UE. Nell’ambito del Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020 sono stati allocati 58,7 miliardi di euro per le relazioni esterne dell’UE (ben 1,9 miliardi in meno rispetto all’attuale esercizio finanziario 2007-2013).


· Un terzo limite è la mancanza di hard power a sostegno del soft power dell’UE. Quanto sta avvenendo ai nostri confini meridionali sta infatti mostrando come la UE non possa esercitare il proprio indubbio soft power a favore della pace e sicurezza internazionale se non ha alle spalle la forza di un hard power su cui poter fare affidamento in caso di esplosione di una crisi internazionale. Si pensi ad esempio al rifiuto da parte delle autorità egiziane della mediazione dell’Alto Rappresentante Ashton, durante la crisi di luglio. In quel caso, come ha detto anche il Ministro Bonino, la UE era presente e parlava con una sola voce, ma la mancanza di strumenti “forti” ha reso questa voce flebile.


· Per attivare concretamente quel comprehensive approach, ovvero quell’approccio globale dell’azione esterna dell’Unione, che consiste nell’utilizzo coordinato ed integrato di tutti gli strumenti UE per potenziarne gli effetti, non può mancare anche la componente “sicurezza e difesa”, a norma di Trattato parte integrante della PESC, e, de facto, il suo logico sostegno.


· In questo contesto la PSDC (ex PESD) sta già conoscendo da dieci anni un importante sviluppo, con più di 30 missioni in giro per il mondo. Attualmente sono 16 le missioni PSDC dispiegate principalmente in Africa e nei Balcani, di cui 4 sono militari (in Mali, Bosnia, Somalia e Atalanta nell’Oceano Indiano). Nell’ambito di queste missioni si realizza già in maniera piuttosto evoluta quell’integrazione civile-militare che permette di unire attività di consulenza e mentoring delle istituzioni locali a quelle di mantenimento della sicurezza e di lotta al terrorismo.


· Come si vede, per la maggior parte si tratta di strumenti di soft power ( di aiuto per lo sviluppo, per lo stato di diritto, per la stabilità del vicinato) con cui l’UE cerca di esportare il proprio modello di equità, pace ed integrazione regionale, che ha garantito sessant’anni di pace nel nostro continente. Esportare cioè un modello di valori di cui l’Europa deve andar fiera, ma che a volte ha impedito un approccio più pragmatico e meno basato su questioni filosofiche e/o identitarie: un errore che sta rischiando, per esempio, di mettere in crisi i rapporti fra UE e Russia.


· L’Europa ha potuto trincerarsi finora dietro al suo sistema di valori facendo a meno di una difesa europea grazie all’ombrello americano, ma di fronte alle crisi più recenti ha dovuto confrontarsi con le conseguenze di un graduale disimpegno americano, evidente soprattutto in alcune aree. In questi casi, le carenze dei sistemi di difesa europei si sono manifestate con grande chiarezza.


· Anche per queste ragioni, da più di un anno è stato riavviato il dibattito sulla Difesa europea, che ha portato all’elaborazione di un Rapporto da parte dell’Alto Rappresentante Ashton, in discussione al Consiglio Europeo di Dicembre dedicato alla Difesa europea.


· Il Consiglio Europeo prenderà decisioni su tre filoni di approfondimento: 1) aumento dell’efficacia, visibilità e impatto della Politica di Sicurezza e Difesa Comune; 2) sviluppo delle capacità di difesa europee; 3) rafforzamento dell’industria europea della difesa.


· Riprendere l’integrazione proprio da un settore tanto legato alle sensibilità nazionali può sembrare a prima vista un controsenso. In realtà sta emergendo che, diversamente dalla stessa PESC, nel settore della difesa si può applicare molto più facilmente un approccio pragmatico fondato su necessità e progetti concreti.


· È un cambio di passo delicato ma possibile, se sapremo trarre lezioni dalla crisi finanziaria e sviluppare, anche grazie ad essa, una visione strategica che ci permetta di contenere i bilanci in modo coerente e coordinato, grazie ad una maggiore integrazione europea nel settore (citazioni utili: “it’s the economy, stupid”, “never waste a crisis”, ma anche “non abbiamo più soldi: dobbiamo iniziare a pensare”, attribuita a Churchill).


· Non esistendo una politica di difesa UE, gli Stati membri stanno continuando a finanziare duplicazioni delle stesse capacità operative, mentre i tagli ai bilanci stanno provocando la perdita di capacità tecnologiche e industriali a duplice uso/duali. Non ci sono alternative: le duplicazioni devono finire. Anche quelle per cui esistono tornaconti nazionali.


· L’Unione Europea deve mettere a sistema le proprie potenzialità di spesa (che anche se ridotte continuano a fare dell’UE il secondo mercato mondiale per la Difesa, superiore a Cina, Russia e Giappone sommati assieme), moltiplicandone l’efficacia e minimizzando l’impatto negativo dei tagli.


· Riguardo il Rapporto presentato dall’Alto Rappresentante Ashton al Presidente Van Rompuy siamo piuttosto soddisfatti, per una serie di ragioni.


· È stata enfatizzata la necessità di collaborare con la NATO e trovare sinergie con l’ONU e l’Unione Africana nella gestione delle crisi, nonché quella di favorire la partecipazione di Paesi terzi alle missioni PSDC (Alleati Nato non-UE come la Turchia, Paesi del Partenariato Orientale, ecc.).


· Ambiti per noi essenziali, quali la sicurezza cibernetica, marittima e dei confini hanno ciascuno una propria autonoma rilevanza, proprio come auspicato dall’Italia. Esiste anche un paragrafo specifico sulla sicurezza e gestione delle frontiere di paesi terzi. In quest’ultimo aspetto, parte integrante della sicurezza europea, trova spazio anche l’immigrazione clandestina ed il crimine organizzato, come fortemente desiderato dall’Italia.


· Di particolare interesse, per favorire una capacità di intervento rapido dell’UE, è poi la proposta di utilizzare l’art.44 del Trattato UE, ovvero la disposizione che prelude a una sorta di Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) in forma alleggerita e meno strutturata (una “PESCO light”). Con l’art. 44 ci troviamo di fronte ad un’ipotesi di Europa della difesa asimmetrica (così come asimmetrici rispetto alla composizione dell’UE sono lo spazio Schengen e l’eurozona), ma non permanente né strutturata, dato che la collaborazione sarebbe limitata agli Stati Membri che vogliono impegnarsi in una missione specifica. Una coalition of the willing con imprimatur UE.


· Relativamente al dispiegamento rapido delle missioni civili UE, particolare rilievo assume anche la revisione delle procedure per la gestione delle crisi, su cui l’Italia si è molto spesa e che potrebbe vedere importanti seguiti durante il nostro Semestre di Presidenza.


· Un tema interessante è quello dei raggruppamenti tattici multinazionali detti “Battlegroups”, che potrebbero diventare una forza europea di intervento/reazione rapida; un tema anch’esso fortemente sostenuto da parte italiana.


· Viene, poi, articolato il concetto di una Defence roadmap strategica: anche se purtroppo difficilmente potrà trasformarsi in un vero Libro Bianco della Difesa Europea, potrà esserne una sorta di embrione.


· Si fa molta attenzione alla necessità di incentivi anche fiscali, innovativi per la cooperazione nel settore della difesa e si menziona esplicitamente la proposta di un’esenzione IVA (una proposta francese che l’Italia sostiene, anche se di difficile applicazione e potenzialmente non accettabile per Berlino e Londra).


· Molto importante anche l’enfasi su progetti europei originali e credibili in settori ad alta tecnologia (aerei senza pilota, spazio reale e cyberspazio) e/o in cui le capacità europee sono scarse (per esempio il trasporto strategico o il rifornimento in volo), nonché il fondamentale inserimento della necessità di sostenere il ruolo delle PMI nelle filiere dell’industria della difesa europea.


· Desidero, infine, attirare l’attenzione su due possibili seguiti operativi del Consiglio Europeo di dicembre, che potrebbero essere curati durante il nostro semestre di Presidenza della UE. Il primo riguarda l’elaborazione di una Strategia di Sicurezza Marittima UE e del relativo Piano di Azione. Si tratta di un tema di nostro diretto interesse, soprattutto alla luce degli ultimi eventi nel Mediterraneo, e per il quale penso l’Italia dovrebbe essere in prima fila fra gli Stati membri.


· In secondo luogo, se -come noi auspichiamo- il Consiglio Europeo prenderà a dicembre decisioni di sostanza per sviluppare la base industriale e tecnologica della Difesa europea, potremmo organizzare sotto nostra Presidenza quale seguito concreto un apposito evento di alto livello sull’industria della difesa.