CONFERENZA DI MONACO SULLA SICUREZZA
INTERVENTO DELL’ON. MINISTRO LUIGI DI MAIO AL PANEL
“EUROVISION CONTEST: A EUROPE THAT PROJECTS”
(Monaco, 16 febbraio 2020)
Cari colleghi e amici,
Sono molto lieto e onorato di introdurre la discussione oggi, in questa occasione così prestigiosa e davanti ad un pubblico così attento e addentro alle questioni internazionali di sicurezza.
Capisco che gli organizzatori hanno inteso sviluppare il tema dell’Europa oggi sotto due aspetti:
– quello della protezione, quindi del desiderio di preservare il nostro modo di vivere e il nostro sistema di valori dalle insidie di un mondo sempre più complesso;
– e quello della proiezione, cui è dedicato questo panel, intesa come lo sforzo di modellare il nostro contesto esterno, per renderlo più facilmente controllabile e – in ultima analisi – continuare a fruire delle opportunità minimizzando i rischi.
Protezione e proiezione sono quindi, entrambe, il risultato di una strategia di preservazione – e possibilmente di crescita – con mezzi diversi e tra loro complementari.
Come si legge nel Rapporto di introduzione della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di quest’anno, la discussione sul ruolo dell’Europa sulla scena globale ha ripreso quota in questi ultimi mesi, anche in coincidenza con l’avvio del nuovo ciclo istituzionale della UE.
La Presidente Von der Leyen ha lanciato la definizione di “Commissione Geopolitica”: la leggiamo come una presa di consapevolezza che nella realtà che viviamo oggi una strategia meramente difensiva non è più sufficiente. Senza rinunciare ai nostri valori fondativi – democrazia, stato di diritto, libertà fondamentali, fiducia in un sistema di relazioni internazionali basato sulle istituzioni multilaterali e regole condivise – dobbiamo essere equipaggiati ad interagire con il contesto esterno in maniera più strategica ed efficace, utilizzando al meglio le leve di cui disponiamo, come Unione e come singoli Stati Membri. Del resto, queste necessità sono già state individuate da alcuni anni, e sono alla base della Strategia Globale dell’Unione del 2016, che proprio la nostra moderatrice di oggi, Nathalie Tocci, ha contribuito a redigere.
Stiamo dunque continuando un percorso di cambiamento dei meccanismi e di tentativo di superamento dei fattori, istituzionali e politici, che limitano l’efficacia della nostra azione.
L’obiettivo è di giungere ad un’Europa più forte, più determinata nell’influire su quanto accade al suo esterno, senza d’altra parte perdere l’ispirazione valoriale che è nel suo codice genetico, e che la spinge a cercare modalità collaborative e inclusive nel suo approccio alle questioni internazionali. Questo vale anche come bussola rispetto alla competizione geopolitica globale, in particolare tra Stati Uniti e Cina. Qui il potenziale della UE va impiegato al servizio di obiettivi strategici, il più importante dei quali è la ricerca di stabilità e sicurezza – esigenza fortemente sentita dai nostri cittadini – adoperandoci nei formati multilaterali di cui siamo parte. Allargare il più possibile gli spazi di collaborazione è senz’altro la strada migliore per contenere a livelli accettabili il livello di confronto tra le grandi potenze globali.
Non possiamo dimenticare che una componente essenziale del patrimonio genetico dell’Unione Europea è la relazione con gli Stati Uniti. La sua fondamentale validità non può per noi essere messa in discussione. Né possiamo mettere in dubbio la nostra azione nel quadro della NATO e delle relazioni transatlantiche in generale.
È chiara la necessità di avere un’Europa più forte. Per questo, dobbiamo operare su tre livelli:
- la capacità di agire strategicamente;
- la volontà di farlo, ovvero di essere davvero un attore internazionale rilevante, parlando con una sola voce;
- un assetto istituzionale dell’Unione Europea efficace.
Questi tre fattori vanno visti in rapporto allo scenario esterno, quello della competizione globale come quello delle difficilissime crisi regionali che ci circondano.
La complessità dell’attuale assetto istituzionale dell’Unione Europea è spesso nemica dell’efficacia strategica, direi anche in termini di comunicazione – che comunque è parte rilevante di ogni strategia. La buona notizia è che per questa via l’Unione nel suo insieme dispone di molti e rilevanti strumenti, in misura di gran lunga superiore a quella della sommatoria dei suoi Stati Membri. Basti pensare alle politiche commerciali: non c’è confronto possibile tra come riusciamo a difendere i nostri interessi insieme e come riusciremmo a farlo come singoli Stati Membri. O anche, su un altro versante, al potenziale di trasformazione positiva che hanno le politiche di allargamento. E questo ci spinge a chiedere di dare segnali concreti ai Paesi della Regione balcanica che vogliono accedere all’Unione, innanzitutto aprendo nei prossimi mesi i negoziati con Albania e Nord Macedonia.
L’estensione degli spazi di libertà e democrazia sul continente europeo è una conquista che dobbiamo preservare anche ai fini della ricostruzione di relazioni cooperative, fondate sul dialogo e sull’ascolto reciproco, nell’area euro-atlantica. Possiamo avere – e abbiamo di fatto – opinioni diverse su come interagire con la Russia, ma è innegabile che Mosca sia un attore fondamentale per la sicurezza internazionale.
La complessità della UE rende ancora più difficile la sfida del rapporto con il contesto esterno, nella gestione delle crisi internazionali, che per loro natura richiedono capacità di azione rapida – diplomatica e anche militare – e unità di intenti.
Non sorprenderò nessuno se introduco il tema del Mediterraneo allargato: sappiamo che è una realtà frammentata, in cui, oltre all’aggravarsi della crisi libica, all’endemica instabilità in Siria e ai forti rischi di escalation nel Golfo, assistiamo ad una crescente proliferazione di attori non statali (milizie, gruppi terroristici, organizzazioni criminali dedite a traffici di stupefacenti, armi ed esseri umani) che hanno gradualmente sviluppato capacità di radicamento ed espanso il loro raggio d’azione.
La stabilizzazione duratura e sostenibile della Libia è uno dei cardini della stabilità, sicurezza e prosperità dell’intera regione del Mediterraneo allargato, ma anche dell’Africa sub-sahariana. Questo obiettivo prioritario rappresenta una costante dell’azione di politica estera e sicurezza nazionale dell’Italia. È nostro dovere perseguire la stabilizzazione della Libia nell’interesse innanzitutto del popolo libico, che merita un futuro di pace, prosperità e benessere dopo nove anni di crisi. Per l’Italia, tale obiettivo non può prescindere dai principi cardine dell’unità, integrità territoriale e sovranità della Libia e dal rifiuto di qualsiasi opzione militare. La Conferenza di Berlino ha rappresentato una tappa importantissima di un percorso che sappiamo benissimo essere ancora lungo e irto di insidie ed il cui completamento, oltre al ruolo chiave di primo piano degli stessi libici, richiederà l’impegno coeso e corale dell’intera Comunità Internazionale. Una coesione d’intenti e di principio tutt’altro che scontata, che è stata suggellata prima nelle Conclusioni di Berlino – di cui condividiamo ogni singolo punto – poi nella risoluzione adottata mercoledì scorso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Si tratta ora di colmare il persistente divario tra retorica diplomatica e comportamenti e fatti sul terreno: ancora oggi, tra violazioni continue del cessate il fuoco e dell’embargo internazionale, in Libia si racconta purtroppo una storia diversa da quella scritta a Berlino e che prelude ad un possibile conflitto di ampia scala, che dobbiamo scongiurare ad ogni costo.
È necessario che l’Europa si mostri presente e coesa per riguadagnare lo spazio politico che le compete: occorre che metta in campo le sue capacità e risorse, anche sul versante della sicurezza, a sostegno del processo politico di stabilizzazione della Libia. L’Italia sta lavorando costantemente anche sulla base della Risoluzione appena approvata dal Consiglio di Sicurezza, per una missione UE che possa garantire l’attuazione dell’embargo sulle armi. L’Italia auspica che vi possa essere anche un chiaro impegno europeo per un monitoraggio efficace del cessate-il-fuoco, non appena sarà formalizzato. Auspico che soprattutto sulla questione dell’embargo il Consiglio Affari Esteri di domani possa segnare un progresso rilevante.
Resta poi sempre presente la minaccia terroristica di Daesh non solo in Siria e Iraq, ma su scala globale, attraverso una rete di organizzazioni affiliate. Per combattere con maggiore efficacia, dobbiamo anche ampliare la nostra sfera di azione (contrasto e prevenzione) al Sahel: la regione è un crocevia di traffici di esseri umani e assistiamo a un rafforzamento dei gruppi terroristici locali e al conseguente aumento di attacchi. In occasione della riunione ministeriale allargata della Coalizione Anti-Daesh che ospiteremo a Napoli il 31 marzo, abbiamo deciso di dedicare una sessione ad hoc proprio al Sahel, accanto ai Paesi “core” in cui opera la Coalizione (Siria e Iraq).
Il Sahel, ma anche il Corno d’Africa, è un’altra area di grande interesse per l’azione esterna dell’Unione, nella quale possiamo fare la differenza; ma a condizione di sapere esercitare quella combinazione di coerenza di indirizzo e disponibilità di strumenti – in altri termini, volontà, capacità ed efficienza istituzionale europea – di cui parlavo in apertura.
Quello che intendo sottolineare, in chiusura, è che su scala globale l’Unione Europea può svolgere un ruolo di contenimento dei possibili effetti deleteri della competizione geopolitica, ma è nella gestione di crisi come quella libica, siriana e yemenita, così come nella prevenzione di altre potenziali situazioni di instabilità nelle regioni più prossime che si gioca la credibilità dell’azione esterna europea, e in ultima analisi la sua legittimità agli occhi degli stessi cittadini europei.
Non abbiamo altra scelta che essere tutti all’altezza di questa sfida.