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Dettaglio intervento

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


Ringrazio molto il Dottor Roberto Da Rin per aver accettato di moderare questo incontro. Ringrazio anche tutti i relatori e la Compagnia Assemblea Teatro per la collaborazione.


E’ con una certa emozione che intervengo a questo convegno, che ho voluto ospitare al Ministero degli Esteri. In queste occasioni, quando si ricorda un periodo storico si tende a celebrarne i successi, evitando di rievocare il dolore delle tragedie. E’ umano. Perché il ricordo dei trionfi è piacevole, mentre quello delle tragedie non è mai indifferenza: suscita sempre coinvolgimento emotivo, rievoca sofferenze mai sopite.


Promovendo l’organizzazione di questo “colloquio”, sapevo invece che avremmo utilizzato il linguaggio del cuore, quello delle emozioni. Tanto più che, dal punto di vista storico, è passato in realtà solo un attimo, da quei tragici eventi in Argentina. I ricordi sono ancora “dell’altro ieri”, come evoca in modo eloquente il titolo del convegno. Mentre le atrocità della dittatura furono mostruose, chiamando alla responsabilità storica e penale chi le commise, e a quella morale chi fu indifferente per tornaconto o semplice vigliaccheria. Perché – come ha detto il Premio Nobel per la Pace, Elie Wiesel – “la neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima, e il silenzio incoraggia sempre il torturatore, non il torturato”.


Coloro che restarono in silenzio o indifferenti furono “complici del silenzio”- come sottolinea il titolo di un bel film di Stefano Incerti. Un silenzio che talvolta finì per ritorcersi contro gli stessi complici. Non so se sia stata effettivamente pronunciata la dichiarazione attribuita al Generale Videla, ma certamente essa coglie il senso e la prospettiva di quei tragici giorni: “Inizialmente elimineremo i rivoluzionari, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, successivamente quelli che resteranno indifferenti ed infine gli indecisi”.


Mentre molti in tutto il mondo tacevano o minimizzavano, 30.000 civili – e tra loro almeno 1.600 cittadini italiani – venivano torturati, trucidati, a volte gettati vivi dagli aerei nell’oceano, fatti sparire. Alle madri si chiedeva quanto di più disumano: dimenticare i propri figli desaparecidos. Ma tante madri coraggiose non si rassegnarono, scesero in Plaza de Mayo e con i fazzoletti bianchi annodati sulla testa fecero conoscere al mondo l’atrocità del regime. Una di loro, la Signora Tati Almeida, ci onora oggi con la sua presenza. A lei e a tutte le altre madri coraggiose rivolgo la mia ammirazione e solidarietà. Hanno toccato tutti noi le parole della Signora Almeida. E ci ha colpito per la sua drammaticità il brano di Massimo Carlotto sul coraggioso e tragico esempio delle madri di Plaza de Mayo. Ma potremmo stare ore ad ascoltare altre storie agghiaccianti, come quelle di dipendenti di multinazionali trucidati dopo essere stati denunciati ai militari dalle compagnie per le quali lavoravano.


La crudeltà di queste storie ci fa sentire ancor più forte e profondo il desiderio di verità e giustizia. La giustizia deve fare il proprio corso non certo per perseguire rancorose vendette, ma per restaurare la verità, punire i colpevoli di crimini contro l’umanità, tener vivo il ricordo delle vittime e facilitare così il processo di riconciliazione. Questo è lo spirito che anima l’impegno del governo italiano e mio personale. Un impegno rafforzato dalla decisione del governo italiano di costituirsi parte civile nei processi avviati in Italia contro i militari argentini.


Alcuni di questi processi sono terminati, altri sono in fase avanzata. Vorrei ricordare il procedimento penale che vede imputati per omicidio volontario, aggravato dall’uso di sevizie e abuso di potere, il dittatore Jorge Videla e altri. Un altro processo, quello contro i generali Suarez Mason e Santiago Omar Riveros, si è concluso con la sentenza di condanna all’ergastolo della Corte di Assise di Roma. E ancora un altro processo, per crimini commessi presso la Scuola Meccanica della Marina (ESMA) da diversi carnefici, fra i quali il famigerato Alfredo Ignacio Astiz, ha portato alla condanna all’ergastolo di cinque imputati. Proprio nei locali dell’ESMA tra pochi giorni gli amici della Compagnia Assemblea Teatro organizzeranno un emozionante spettacolo dall’alto valore simbolico.


La coerenza dell’impegno del Governo italiano è confermata dalla piena cooperazione con le autorità argentine, tradottasi l’anno scorso in un’importante intesa. L’accordo tra i due Governi consente la trasmissione alle autorità argentine di copia delle documentazioni presenti negli archivi diplomatico-consolari italiani in Argentina e relative a cittadini italiani, doppi cittadini e cittadini di origine italiana vittime del regime militare argentino. Per facilitare il lavoro è stata anche istituita una Commissione tecnica italo-argentina. La mole di materiali è ingente: sono più di 5.000 i documenti consolari contenuti in centinaia di fascicoli personali. Ma sono sicuro che la decisione di aprire i nostri archivi in assoluta trasparenza contribuirà alla ricerca della verità – senza riserve – su quegli anni terribili.


C’è anche un altro motivo per cui avverto una certa emozione intervenendo a questo convegno. I tragici eventi della crisi argentina coincisero con i miei primi anni nella carriera diplomatica. A quel tempo, più di una volta mi chiesi la ragione per la quale l’Italia tenesse una posizione defilata nella crisi argentina, mentre svolgeva un ruolo di primo piano nella condanna di numerosi casi di violazioni di diritti umani: dal golpe cileno all’apartheid alle limitazioni alla libertà dei regimi di oltre cortina.


Ero fermamente convinto, e lo sono tuttora, che nessuna ragion di Stato possa mai giustificare un atteggiamento di passivo distacco dalla repressione violenta dei diritti umani. La difesa delle libertà fondamentali di ogni essere umano, e in primis dei nostri connazionali, deve costituire una priorità assoluta e irrinunciabile della politica estera italiana. Nelle funzioni che ho l’onore di ricoprire, avverto fortemente questa responsabilità di proteggere i più vulnerabili.


I documenti diplomatici del tempo dimostrano che ci furono alcuni eccessi di prudenza di istituzioni italiane. Ma anche coraggio, generosità, grande spirito di umanità di alcuni diplomatici italiani. Funzionari che si prodigarono personalmente per far comprendere a Roma la sanguinaria situazione nel Paese e per assistere i tanti perseguitati. Voglio oggi manifestare la mia gratitudine a questi colleghi straordinari, alcuni dei quali sono in sala oggi, seduti qui tra noi. Grazie a loro molte vite furono salvate e tante vittime non si sentirono abbandonate in un mare di assurda violenza e di atroce indifferenza.

Il loro esempio rafforza l’impegno della Farnesina e mio personale perché la memoria di quel tragico periodo non sia perduta; perché le regole della geopolitica non siano mai applicate a danno della legalità e dei principi universali di convivenza; e perché la coscienza collettiva e personale di quegli anni serva ai ragazzi della vostra età come monito e incoraggiamento alla difesa della dignità umana, ovunque essa sia ferita o minacciata. I valori di libertà e democrazia, che fondano la nostra Costituzione, sono i cardini della politica estera italiana e ci spingono a operare perché tragedie del genere non si ripetano mai più.

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