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Dettaglio intervento

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)


Signor Presidente del Burkina Faso,
Signor Presidente del Consiglio,
Commissario Piebalgs,
Ministro Riccardi,
Signor Sindaco di Milano,
Dottor Scaroni,
Signore e Signori,


Voglio esprimere innanzi tutto al collega Riccardi l’apprezzamento per aver fortemente voluto un Forum sulla cooperazione, un tema che rimane centrale nella nostra attività internazionale.


Il suo discorso appassionato ha toccato tutti i temi fondamentali con grande precisione e con estrema efficacia. Il Ministero degli Esteri ha sostenuto con convinzione l’ideazione e l’organizzazione di questa fondamentale iniziativa.


Vale la pena interrogarsi sulle ragioni stesse del fare cooperazione. Il Presidente della Repubblica le ha enunciate autorevolmente nel suo messaggio. Il Presidente del Consiglio Monti ha fornito un quadro dell’azione di Governo nel suo insieme.
Alla Farnesina lo facciamo proprio perché sottoposti agli stimoli di un mondo che cambia velocemente.


Ritengo essenziale un ampio, informato dibattito sul futuro della nostra cooperazione allo sviluppo.
Le sfide con le quali l’Italia si confronta nella realtà internazionale; i sintomi di instabilità regionale; i nostri stessi obiettivi di crescita; le aspettative per un più incisivo ruolo del nostro Paese nel rispondere alle proprie responsabilità globali rendono ineludibile il ripensamento e la riorganizzazione degli strumenti operativi della nostra politica estera.
Tra questi, la cooperazione allo sviluppo deve rispondere appieno ad un profilo di eccellenza.


La rapida trasformazione che abbiamo vissuto negli ultimi decenni, con accelerazione verso nuovi equilibri geopolitici e processi di integrazione regionale, pongono oggi l’equazione “politica estera-cooperazione” in termini nuovi, densi di problematicità e al tempo stesso di straordinarie prospettive.
Tra queste ultime vorrei sottolinearne una in particolare: l’evoluzione dalla logica di assistenza e di aiuto, ad una di “partenariato”. In molte mie visite all’estero e contatti degli ultimi mesi, soprattutto con esponenti di Paesi africani, latino americani e asiatici, ho registrato una significativa insistenza su questo nuovo approccio: un’impostazione che è già parte integrante della nostra strategia di cooperazione, ma che deve entrare ancor più – a mio avviso – nella mentalità di tutti coloro che si occupano di queste tematiche.


La centralità della cooperazione, la sua intima appartenenza alla politica estera di ogni Paese – o ancor meglio la coincidenza piena tra cooperazione e politica estera- risiedono in imperativi etici, nel dovere – avvertito da Stati, Organizzazioni Internazionali, società civile – di impegnarsi per un mondo migliore e solidale. Un mondo in cui si combatta la povertà e la fame; si riduca il divario nord-sud; si dia una risposta credibile alle sfide globali; si tutelino e si promuovano i diritti fondamentali, inclusa la libertà religiosa; si riaffermi la necessità di porre l’accento sull’uomo e sul suo pieno diritto a migliorare la propria esistenza.


È in base a queste considerazioni che – con la legge 49 del 1987 – il legislatore qualificò con lungimiranza la cooperazione come “parte integrante della politica estera dell’Italia”. Dopo un quarto di secolo si avverte la necessità di aggiornare questo strumento. Tutti i progetti di riforma in discussione, compreso quello oggi all’esame parlamentare, hanno tuttavia ben ribadito – rafforzandolo – il nesso inscindibile tra cooperazione e politica estera.


° ° °


Superfluo soffermarsi sulle dinamiche impresse dalla globalizzazione. Rispetto agli anni ottanta, si è accresciuta l’interdipendenza tra sicurezza, stabilità e sviluppo; nell’agenda globale, la cooperazione non è più un mero strumento; assurge a vero e proprio investimento strategico a vantaggio – permettetemi la vecchia terminologia – sia dei Paesi “donatori” sia dei Paesi “beneficiari”. Proprio in ragione di questi cambiamenti – che riguardano in maniera diretta il nostro Paese più di altri – politica estera e cooperazione coincidono. Non vi è politica estera senza cooperazione, così come non vi può essere cooperazione senza politica estera.


Se un adattamento va fatto alla legge vigente, esso deve sanzionare il passaggio definitivo della cooperazione da strumento di politica estera a parte integrante e qualificante della stessa. Sono altrettanto convinto che sia fondamentale riconoscere – tanto più di fronte a tutti voi – quanto è stato possibile fare, in questi anni, grazie alla Legge 49, nonostante il fatto che – malgrado le successive modifiche che le sono state apportate – essa dimostri il segno del tempo.


Proprio nel solco tracciato da quella Legge abbiamo infatti operato a livello globale, con le difficoltà che questo stesso Forum sicuramente evidenzierà. Sono soprattutto le finalità che abbiamo perseguito con la nostra azione – ben declinate nella 49 – che ci hanno permesso di ottenere, negli ultimi decenni, significativi riconoscimenti da parte dell’intera comunità internazionale.


Il nostro costante impegno di solidarietà, nella salute globale, nell’educazione, in agricoltura e nella sicurezza alimentare, nella tutela dei diritti dell’uomo e della libertà di religione, delle questioni di genere e dei diritti dei più vulnerabili ci ha valso innumerevoli attestazioni di stima e amicizia, che molto hanno giovato al ruolo e al prestigio del nostro Paese in tutto il mondo. Credo che sia bene ricordarlo, e lo dico con cognizione di causa, in base alle mie passate esperienze di diplomatico, ed ancor più oggi per gli attestati di gratitudine e riconoscenza che raccolgo in occasione dei miei incontri e delle mie missioni internazionali; da ultimo, la settimana scorsa durante il segmento ministeriale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.


Dato conto dei risultati conseguiti negli anni, mi sembra doveroso cogliere l’importante evoluzione impressa dal Ministero degli Esteri a questo settore, anche negli ultimi mesi. Lo abbiamo fatto in linea con l’azione dei nostri partners nella comunità dei donatori. Lo Stato non detiene certamente, né dovrà mai avere, il monopolio della cooperazione: ad essa e ai suoi valori sono da sempre – e sempre più – associati altri attori, qui autorevolmente rappresentati. Ci siamo impegnati per unire i nostri sforzi a quelli di altri protagonisti, gettando le fondamenta di un “sistema”, certamente perfettibile, ma che funziona e si è rafforzato ormai da anni.


Sono convinto che – in un contesto di risorse limitate – coordinamento, coerenza degli interventi, e ricerca di sinergie siano imprescindibili; che arricchiscano cioè quel patrimonio di condivisione e di co-partecipazione alle scelte, che è tradizionale nel modus operandi italiano, e di cui non è sfuggito il valore ai nostri partners e interlocutori.
Mi riferisco agli utilissimi tavoli di concertazione esistenti da tempo alla Farnesina, con la società civile, con gli Enti Locali, con le Università, le Fondazioni e le imprese. E penso soprattutto al Tavolo Interistituzionale, promosso dal Ministero degli Esteri nel 2009 a livello inizialmente tecnico con il MEF, che ha visto la partecipazione attiva di molti di voi.


Certo, il capitale che insieme abbiamo creato rischia di essere disperso. Non è facile agire in un quadro che molti giudicano, e non senza fondamento, di disattenzione verso il mondo della cooperazione. La presenza stessa del Presidente del Consiglio e di due Ministri al Forum di oggi è prova evidente di una volontà del Governo di invertire la tendenza.


Non ricapitolerò le ben note ragioni che hanno portato, nostro malgrado, a ridimensionare gli stanziamenti di bilancio per la cooperazione. Può essere utile qualche elemento. L’impegno, anzitutto, che questo Governo ha posto per arrestare il recente trend discendente nelle dotazioni finanziarie. E poi, la concreta volontà di discutere, insieme, delle scelte da compiere in un settore vitale per il Paese e delle migliori modalità per attuarle.


Ritengo si debba molto meglio capitalizzare l’intensa azione che l’Italia ha promosso e sostenuto a livello internazionale su priorità particolarmente qualificanti delle politiche di sviluppo. Nel 2009, ad esempio, in occasione della Presidenza italiana del G8, siamo stati tra i più convinti promotori di un approccio – ormai comunemente definito olistico – che guarda all’insieme degli attori, degli strumenti e delle risorse della cooperazione internazionale allo sviluppo, per ottimizzarne l’impatto. Siamo stati, in quell’occasione, all’origine di un modo nuovo di intendere l’azione di cooperazione, recepito poi da molti altri.


Grazie al contributo propositivo sulle policies, l’Italia ha saputo inserirsi intelligentemente nel dibattito globale di oggi: penso per esempio al fondamentale dibattito sull’efficacia dell’aiuto allo sviluppo, che ha trovato nel Foro di Busan il suo più importante momento fondativo.


La necessaria attenzione alla qualità ed all’efficacia degli aiuti e l’attiva partecipazione ai negoziati su metodologie e fonti di finanziamento non fanno certamente venir meno la centralità della questione concernente il volume dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Certamente, l’APS svolge un ruolo di catalizzatore rispetto ad altre fonti di finanziamento: ma è altrettanto assodato che, per essere leva di sviluppo, il volume dell’APS deve essere adeguato alla dimensione e al ruolo internazionale del nostro Paese.


Ed eccoci al nodo delle risorse finanziarie. Dobbiamo affrontarlo con molta decisione. Tutti noi vogliamo non solo preservare ma accrescere il nostro peso specifico a livello globale. L’affievolimento delle risorse destinate alla cooperazione limita l’influenza della nostra politica estera e, quindi, tende a privare il Paese di un essenziale sostegno per la promozione dei suoi stessi obiettivi e interessi nazionali.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una drastica riduzione dei fondi assegnati alla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, pari all’inizio di quest’anno a circa 200 milioni di euro, con tagli superiori all’80% rispetto al 2007 (quando lo stanziamento sfiorava 1,3 miliardi di euro). Nonostante il lieve aumento dell’anno scorso, il dato complessivo del nostro Aiuto Pubblico allo Sviluppo resta lontano dagli impegni che abbiamo assunto a livello internazionale, attestandosi nel 2011 allo 0,19% del Prodotto Interno Lordo. L’Italia deve assolutamente invertire questa tendenza, ed allinearsi, sia pur gradualmente, agli impegni presi con la Comunità internazionale.


Ma proprio la diffusa consapevolezza di questa difficoltà ci deve indurre, da un lato, ad utilizzare meglio i fondi disponibili – in efficace coerenza – con gli obiettivi di politica estera; e, dall’altro, ad essere presenti e veramente propositivi in tutte le sedi in cui si discute di cooperazione allo sviluppo, a cominciare dall’Unione Europea e dalle IFI. Gli ineludibili vincoli di spesa pubblica devono stimolarci a massimizzare l’impatto delle risorse impiegate, promuovendo qualità degli aiuti, trasparenza e “accountability”.


In tale contesto, l’essenziale quadro di riferimento – anche per la nostra politica di cooperazione – non può che essere l’Europa. Ce lo impone la nostra linea a favore di una progressiva ma rapida integrazione della politica estera e di sicurezza comune e il suo sempre più forte raccordo con tutte le dimensioni che ne fanno parte, a cominciare dalla cooperazione. Ce lo impone la constatazione che l’UE è il primo donatore mondiale; i paesi in via di sviluppo ricevono dall’UE e dagli Stati membri oltre il 50% del loro APS; oltre la metà dell’APS italiano è veicolato attraverso Bruxelles.


A livello europeo è ormai radicato, come ho detto, il principio promosso da tempo dall’Italia che mira a sempre meglio assorbire nella politica estera e di sicurezza comune tutti gli aspetti strategici dell’azione internazionale dell’Unione, dell’energia, del commercio, e in primis della cooperazione allo sviluppo. Di tale significativa evoluzione sono prova i documenti di azione specifica adottati in ambito europeo anche su impulso italiano.


La nostra capacità di incidere sulle scelte di policy dell’UE e di orientarle in linea con le priorità italiane deve rimanere al centro della nostra azione.


Abbiamo dimostrato di saperlo fare.


A seguito della “primavera araba”, siamo riusciti ad indirizzare risorse verso i paesi del Vicinato Meridionale e a valorizzare il nesso tra migrazione e sviluppo, nel quadro di “Agenda for Change”. Migliora anche la partecipazione del sistema Italia agli interventi di cooperazione UE. Ma insieme possiamo fare meglio, anche grazie all’ormai prossimo avvio della collaborazione con la Commissione UE nell’ambito della “cooperazione delegata”, con gestione diretta di fondi europei in iniziative che rimarranno di matrice italiana.
Vorrei qui riconoscere e apprezzare pubblicamente gli sforzi che – in un contesto di così scarse risorse – la Direzione Generale della Cooperazione allo Sviluppo del mio Ministero ha fatto per “superare l’esame” della Commissione Europea.


° ° °


Abbiamo dinanzi a noi grandi opportunità e sfide estremamente complesse. L’Italia dovrà riposizionarsi con autorevolezza, quando saranno definite priorità e obiettivi politici dell’azione dopo il 2015; quando verranno cioè a scadenza gli otto obiettivi del Millennio, e quando saremo chiamati ad integrare i nuovi Obiettivi di Sviluppo del Millennio con gli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile. Dovremo fare chiarezza su che cosa si è raggiunto, sul molto che resta ancora da fare e sui principi di accountability, in base ai quali tutti verremo valutati.


Desidero quindi affermare con forza ancora una volta la necessità di investire nella cooperazione e nelle persone che scelgono di dedicarvisi, incoraggiando e incentivando – in particolare i più giovani – a porre il loro entusiasmo e le loro energie al servizio di questa causa. Una parola di ammirazione voglio riservare al mondo del volontariato, alle migliaia di donne, uomini, giovani, religiosi e laici che si prodigano, spesso con grande rischio personale, per aiutare gli altri. La loro immagine è l’immagine di cui deve più essere orgoglioso il nostro Paese, per la loro dedizione, integrità e spirito di servizio.


Ci aspettiamo molto da questo Forum. Da questi due giorni di discussione, spero che emergeranno certamente indicazioni creative. Una responsabilità importante, concerne gli orientamenti per una riforma della cooperazione che sta proseguendo il suo iter in Parlamento.
Abbiamo tutti un grande patrimonio da sostenere: di idee, di esperienze, di buone pratiche, di lezioni apprese; so che questo è stato il Leitmotif della lunga e appassionante fase preparatoria di questo Forum. E’ un patrimonio che tutti siamo chiamati a preservare per metterlo, anche nel futuro, al servizio di un mondo e di un’Italia migliore.


Vi ringrazio e vi auguro un buon lavoro.