(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)
Presidente, Segretario Generale, Colleghi, vorrei innanzitutto ringraziare la Presidenza austriaca per l’eccellente lavoro svolto e augurare alla prossima Presidenza azera un’attività proficua. Vorrei anche ringraziare il Segretario Generale Jagland per il suo ottimo rapporto sullo stato della democrazia, dei diritti umani e dello Stato di diritto in Europa.
Per la prima volta in più di venti anni, stiamo assistendo ad una preoccupante involuzione in questi ambiti nello spazio comune. I tre pilastri (diritti umani, rule of law e democrazia)sui quali è basata la missione del Consiglio d’Europa hanno bisogno di urgenti lavori di consolidamento nei nostri paesi.
Tutti noi accusiamo delle lacune nelle 10 aree più critiche identificate nel rapporto del Segretario Generale.
Se vogliamo mantenere un livello di credibilità che ci consenta d’intervenire con autorevolezza nei fori multilaterali sui diritti umani, dobbiamo progredire nei settori problematici che il Segretario Generale ha individuato.
L’Italia è pronta a dare seguito alle raccomandazioni formulate nel rapporto. A questo proposito vorrei evidenziare due punti specifici: 1) l’impegno per la prevenzione e il contrasto alla violenza domestica e sulle donne. L’Italia è stata tra i primi paesi a ratificare la convenzione di Istanbul, e ad accoglierla con grande soddisfazione, 2) le carenze riscontrate nella protezione dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo
L’approccio italiano nei confronti dell’immigrazione non regolare è cambiato radicalmente, passando da un’enfasi largamente incentrata sulla protezione delle frontiere ad un obiettivo più ampio, che ha nella salvaguardia delle vite umane il suo principale pilastro.
Dall’inizio dell’operazione “Mare Nostrum”, seguita alla tragedia di Lampedusa, sono state soccorse in mare più di 23.000 persone. Senza uno nostro intervento molte di queste avrebbero perso la vita. Si tratta di uno sforzo che l’Italia conduce con determinazione ma per il quale, dati i numeri crescenti di flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo centrale*, diventa sempre più importante la condivisione e il sostegno dei partner europei.
Occorre lavorare per salvare vite umane e per creare condizioni di democrazia e stabilità nei paesi del nostro vicinato meridionale e orientale.
Per quanto riguarda il secondo punto in agenda mi limiterò ad alcune osservazoni relative al ruolo del Consiglio d’Europa nella gestione della crisi ucraina. Fin dall’inizio della crisi, il Consiglio d’Europa è stato attivamente coinvolto negli sforzi congiunti della comunità internazionale per una soluzione di compromesso sostenibile e in linea con le aspettative e le aspirazioni di tutti gli ucraini.
Riteniamo che le potenzialità di organismi come il Consiglio d’Europa, o l’Ocse, per la gestione siano enormi e vadano utilizzate in pieno.
E’ auspicabile il ricorso a tutti gli strumenti dei quali il Consiglio d’Europa può avvalersi – inclusa la Commissione di Venezia – per sostenere il cammino di rinnovamento istituzionale e di riforma costituzionale, che deve essere portato avanti senza ritardi, privilegiando inclusione, condivisione e trasparenza.
Il processo di riforma istituzionale non può, né deve accumulare ritardi, e deve mantenere il carattere di inclusività che anche da parte UE abbiamo con forza chiesto e sostenuto. Proprio per favorire tale processo, che consideriamo parallelo al processo elettorale parte integrante di una soluzione politica sostenibile, è necessario che il Consiglio d’Europa resti un punto di riferimento e una risorsa da mettere a disposizione del percorso di riforme.
Esso può anche giocare, attraverso un’attività di assistenza tecnica, in particolare alla magistratura ucraina, un ruolo centrale nelle operazioni di accertamento della responsabilità personali di coloro che, durante le manifestazioni di piazza, hanno tenuto condotte lesive di diritti umani e libertà fondamentali.
Il Consiglio, infine, può offrire un contributo in termini di monitoraggio sulla rule of law e diritti umani anche nell’attuazione delle intese raggiunte a Ginevra il 17 aprile scorso. Il seme del dialogo che in quell’occasione è stato piantato va protetto e coltivato con cura. Ginevra non può rimanere un episodio isolato, ma deve costituire l’inizio di un processo, che preveda meccanismi di monitoraggio chiari per obiettivi determinati da raggiungere in tempi stabiliti. Non c’è alternativa al dialogo, dobbiamo farlo funzionare. Ciascuna organizzazione internazionale è chiamata, in un quadro di multilateralismo specializzato, a contribuire per la parte di propria competenza. Sul piano del rispetto dei diritti umani e della tutela delle minoranze il Consigliod’Europa ha pieno titolo ad intervenire con l’autorevolezza che ne ha sempre contraddistinto l’azione. Penso al ruolo fondamentale che l’Ocse può giocare sul terreno per prevenire ulteriori tensioni e accompagnare il dialogo nazionale.