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Discorso dell’On. Ministro all’evento LUISS “Progetto Mediterraneo” sul tema “La politica estera italiana e le crisi nel Mediterraneo”

Roma, 16 maggio 2017

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)

 

Presidente Emma Marcegaglia, (Presidente della LUISS)

Chiarissimo Rettore Paola Severino, (Rettore della LUISS)

Direttore Giovanni Lo Storto, (DG della LUISS)

E’ un grande piacere essere qui per questa bellissima iniziativa della LUISS e della Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo. Saluto e ringrazio tutti i presenti e le persone che interverranno assieme a me. Saluto in particolare gli ospiti stranieri: il Presidente di Malta, Marie Louise Coleiro Preca (in collegamento Skype) e il Presidente dell’Università di Petra, Marwan El Muwalla.  

Nessun mare al mondo ha avuto una fioritura di civiltà simile a quelle del Mediterraneo, che hanno lasciato il loro segno nell’umanità.

Un’umanità che talvolta abbiamo rischiato di smarrire, posti di fronte alle grandi sfide che le onde del Mediterraneo hanno provocato.

Oggi l’onda più alta del Mediterraneo è quella della crisi migratoria.

Ma come italiani possiamo essere fieri. Perché con coraggio e solidarietà abbiamo salvato migliaia di vite umane. Abbiamo difeso l’onore dell’Europa. Queste non sono le mie parole, ma del Presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker.

Io direi di più: abbiamo messo l’Italia e l’Europa dalla parte giusta della storia; abbiamo salvato l’anima all’Europa; perché l’anima e il destino dell’Europa sono nel Mediterraneo.

Come diceva Aldo Moro: “nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa e essere nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”.

Abbiamo un destino comune nel Mediterraneo. Eppure tantissimi Europei hanno alimentato l’illusione di poter separare il loro destino da questo Mare. E l’Italia si è trovata da sola di fronte alle crisi: dal collasso della Libia all’ondata migratoria, dal massiccio arrivo di rifugiati dalla Siria all’offensiva di Daesh dalla Tunisia fino all’Iraq.

Provate ad immaginare il planisfero della Terra con i suoi grandi oceani: il Mediterraneo al confronto di altri mari sembra  un piccolo lago, ma è dentro quelle acque che si sono giocati e continuano a giocarsi i destini dell’Europa e del mondo. 

Giorgio La Pira diceva: “Il Mediterraneo è come la prosecuzione del Lago Tiberiade: un mare piccolo, un lago, dove ancora una volta giochiamo i destini del mondo, i destini di pace, di sicurezza e di libertà”.

Nessuno può negare che nel Mediterraneo si concentrano alcune delle crisi più rilevanti per la sicurezza e la stabilità.  

I primi a fare i conti con questa realtà, in Europa, sono stati partiti politici tradizionali, che si sono trovati sotto pressione simultaneamente su tre fronti: quello del terrore; quello dei flussi migratori; e quello di una fragilissima crescita economica.  Ed è bastato poco per i populisti ad appiccare il loro incendio. 

Ecco, l’instabilità nel Mediterraneo è come un “vento caldo di scirocco” che soffia sul “fuoco dei populisti e demagoghi”.

Se vogliamo evitare che l’incendio populista si diffonda e bruci i cardini della nostra democrazia, l’Europa non deve più far finta di ignorare le crisi del Mediterraneo.

Se vogliamo garantire serietà, razionalità e profondità al dibattitto europeo, dobbiamo concentrarci sempre di più sulla stabilizzazione del Nord Africa.

E’ un dibattitto che non ha solo connotati di politica estera, ma anche e soprattutto risvolti di politica interna: perché c’è in ballo la tenuta delle nostre istituzioni democratiche e due visioni profondamente diverse: fra chi crede nella via della crescita, dello sviluppo e della prosperità nel Mediterraneo e chi invece vuole costruire muri.

E’ un dibattito che non è più fra destra e sinistra ma fra chi: è pragmatico e vede nell’Europa unita la possibilità di essere protagonisti nel Mediterraneo; e chi crede che distruggendo l’Europa saremo in qualche modo più capaci, da soli e separati, a fronteggiare le crisi.

In un Mediterraneo ancora in tempesta, sulla “bussola” della diplomazia italiana ed europea ci sono tre “punti cardinali” irrinunciabili, che sono al cuore della mia azione sin dal primo giorno di lavoro alla Farnesina:

  1.   Primo: la stabilizzazione della Libia e la fine del conflitto siriano, due crisi strettamente correlate a quella migratoria ed alla minaccia del terrorismo.
  2.   Secondo: l’orientamento verso Sud della NATO e il progetto di Difesa Comune Europea, per garantire una sicurezza più al passo con i tempi e concentrata sulle minacce asimmetriche che provengono da Mediterraneo.
  3.   Terzo: una più robusta diplomazia economica nel Mediterraneo, perché non dimentichiamo che il crollo dei mercati libico e siriano è costato caro alla nostra economia: si stimano oltre 20 miliardi di euro in opportunità di commercio perse, per non parlare dei rischi alla sicurezza energetica.

 

La crisi migratoria prolifera soprattutto a causa della perdurante instabilità della Libia. Ma il fenomeno migratorio è sia il sintomo dell’instabilità in Africa, sia la causa della propagazione dei movimenti populisti in Europa.   

Sono convinto che per neutralizzare gli argomenti demagogici di tanti movimenti populisti, occorra contenere il flusso migratorio che attraversa la rotta del Mediterraneo Centrale.

La questione va affrontata con una visione di lungo termine e di condivisione delle responsabilità: perché essa rimarrà nell’agenda europea per anni e non può essere affrontata in via emergenziale da uno o due Paesi in solitudine.

Bisogna anche comprendere le cause più profonde di questa crisi: il collasso dei sistemi politici nel Medio Oriente – in Libia, come in Siria, Iraq e Yemen – e l’esponenziale crescita demografica africana. Entro il 2050, l’Africa raddoppierà la popolazione a circa 2,4 miliardi.

La coesistenza di un continente africano ancora poco sviluppato, giovane e popoloso, e di una vicina Europa – ricca ma sempre più anziana – genera una pressione migratoria che alcuni hanno persino descritto come “fisiologica”.

E’ quindi illusorio dire che con l’Accordo con la Turchia si sia risolto il problema, trascurando il fatto che la rotta del Mediterraneo Centrale continua ad essere sfruttata da trafficanti senza scrupoli che hanno fatto sbarcare in Italia, negli ultimi tre anni, più di 500.000 persone.

Bisogna prendere coscienza della realtà: sulla rotta del Mediterraneo Centrale c’è un nuovo “checkpoint Charlie” di nome Lampedusa. Ed è proprio là che si è posta la frontiera tra uno spazio di libertà e benessere e uno spazio da cui fuggire.

Nelle more del processo di riconciliazione libica, e cioè fintanto che le autorità nazionali libiche non avranno riottenuto il controllo del loro territorio, occorrerà lavorare con i principali partner europei, con l’UE stessa, con l’OIM e con l’UNHCR perché i principali Paesi di transito, come il Niger, realizzino un maggiore filtro dei flussi migratori.

Con questo obiettivo ho firmato a marzo un accordo con il quale ho voluto destinare 50 milioni di Euro al bilancio del Niger per contribuire ad un più efficace controllo della frontiera tra Niger e Libia.

Con questo stesso spirito ho convocato a Roma il 6 luglio, d’intesa con il Ministro degli Esteri tedesco Gabriel e l’Alto Rappresentante Mogherini, una riunione ministeriale con i Paesi di transito.

E poi, come dicevo, sarà comunque necessario stabilizzare la Libia. Per riuscire in questa strategia, ho perseguito un approccio a tutto campo:

-Mi sono impegnato a rimettere il Mediterraneo e la Libia sulla mappa della politica estera europea.

-Appena le condizioni lo hanno permesso, abbiamo riaperto la nostra Ambasciata a Tripoli, che si è rivelata una scelta strategica per assistere il Paese.

-Continuiamo a sostenere con determinazione il dialogo fra l’Est e l’Ovest, convinti che un processo politico inclusivo è l’unica via d’uscita dalla crisi.

– L’incontro tra il Presidente del Parlamento di Tobruk Saleh e il Presidente del Consiglio di Stato di Tripoli Sweili, avvenuto a Roma il 21 aprile, è stato un importante passo avanti nel senso del dialogo tra i libici che noi incoraggiamo. Oggi possiamo dire che la “porta del dialogo è aperta”.

-Ho poi lanciato il Fondo Africa di 200 milioni di euro, con la Libia fra i suoi Paesi prioritari, che da operatività all’Accordo sui flussi migratori firmato con Tripoli e che consentirà di finanziare l’intesa tra le tribù della regione meridionale di Sabha, raggiunta sempre a Roma a marzo. Rimane saldo il principio che bisogna combinare solidarietà e sicurezza, ma ora c’è più attenzione sulle cause profonde delle migrazioni e sulla responsabilizzazione dei Paesi di origine e di transito.

 

-Con un contributo di 10 milioni di euro dal Fondo Africa sosterremo il Piano per la Libia di UNHCR. E’ cruciale che l’ONU abbia acceso ai centri di detenzione dei migranti e svolga operazioni di registrazione, assistenza umanitaria e tutela dei diritti umani sul terreno.

-E durante la mia recente missione a Tripoli, ho anche proposto di rilanciare il dialogo economico: l’idea è di costruire in Sicilia, in tempi rapidi, un’occasione di incontro tra le imprese italiane che vogliono investire in Libia e il Governo libico.

Non abbiamo il lusso di fermarci ora – serve un’accelerazione – soprattutto in vista di due importanti occasioni per compiere ulteriori progressi: il Vertice G7 di Taormina, il 26 e 27 maggio prossimo, e la Riunione Ministeriale sulle migrazioni, del 6 luglio.

Vogliamo continuare a ragionare con la logica della cooperazione e siamo pronti a facilitare ogni azione che si traduce in sicurezza, in lotta ai trafficanti di esseri umani e stop ai flussi migratori.

E se parliamo del futuro, oltre ad un futuro in cui la Libia è stabilizzata, dobbiamo pensare anche ad un futuro in cui la Siria è pacificata.

Dopo gli attacchi chimici di Idlib, ho convocato al G7 dei Ministri degli Esteri di Lucca una inedita riunione straordinaria allargata ai Paesi della regione (G7 + Arabia Saudita, Turchia, Emirati, Giordania e Qatar).

Non era affatto scontato che si potesse realizzare. Ci siamo riusciti senza la pretesa di protagonismo, ma con molto realismo. Abbiamo lavorato per rilanciare l’azione diplomatica e per ristabilire fiducia nel dialogo Washington-Mosca sulla Siria.

A Lucca abbiamo ribadito la centralità del dialogo politico di Ginevra sotto l’egida della Nazioni Unite, e abbiamo esortato Russia e Iran ad esercitare la loro influenza per convincere Damasco a rispettare il cessate il fuoco, aprire gli accessi umanitari nelle zone assediate, oltre che adempiere agli obblighi internazionali in materia di uso di armi chimiche.

L’operazione militare americana in Siria in reazione all’attacco chimico di Khan Sheikhoun, la riunione G7 di Lucca e la successiva visita a Mosca del SoS Tillerson sembrano avere generato una nuova dinamica, sfociata nelle nuove intese di Astana e in una parziale ripresa del dialogo russo-americano.

 Il 4 maggio i tre garanti del meccanismo di Astana (Russia, Turchia, Iran) hanno sottoscritto un MoU che prevede la creazione di “zone di de-escalation della violenza” e “zone- cuscinetto” con check-points e punti di osservazione. In parallelo, è stato rilanciato il cessate il fuoco, che era largamente compromesso. Occorre essere cauti, ma il dato politico che emerge è quello di un rinnovato tentativo di dialogo russo-americano, che a noi europei spetta incoraggiare.

Intendo approfondire la questione nei prossimi giorni nel corso di un incontro che avrò a Roma con l’Inviato Speciale ONU per la Siria, Staffan De Mistura.

Oltre a gestire i confini, bisogna avere anche le capacità per difenderli. Questo è un altro tema che sta a cuore ai cittadini. Tema da non confondere ed omologare con la questione migratoria, come fanno i populisti, facendo crescere il sospetto nella popolazione nei confronti dei migranti.

Oggi la principale minaccia alla nostra sicurezza è il ritorno di Jihadisti europei dalla Siria e dell’Iraq – mentre avanza la lotta contra il terrorismo in questi territori – e il radicalismo online che attrae troppi giovani.

La minaccia terroristica ha un solo obiettivo: distruggere l’Europa e le libertà fondamentali che l’Europa ci ha garantito. 

Difendere in maniera efficace i nostri confini significa proteggere lo spazio di diritti che abbiamo costruito sul continente negli ultimi sessant’anni.

Non dobbiamo avere paura, perché chi ha paura non è libero. La lotta contro il terrore è l’essenza di una lotta per le nostre libertà. 

Alle minacce asimmetriche che derivano dal Mediterraneo, dobbiamo rispondere su due fronti complementari: spostare l’asse della NATO da Est a Sud, e lanciare concretamente il progetto di Difesa Comune Europea.

Difesa Comune e NATO sono complementari, perché il Mediterraneo è il teatro di azione che lega l’UE alla NATO e poi anche agli USA. La vocazione transatlantica non è mai stata messa in discussione.

Con questa forte consapevolezza, la Dichiarazione di Roma del 25 marzo, sottoscritta in occasione del 60mo anniversario dei Trattati di Roma, ha indicato la chiara necessità di un’Europa con rafforzate capacità di sicurezza e di difesa.

E’ giunto il momento di offrire ai cittadini un progetto tangibile. Finora il dibattitto è stato tecnocratico. Dobbiamo renderlo politico, facendo appassionare i cittadini a un tema così cruciale per il nostro futuro!

Dobbiamo affrontare tutte le crisi che vi ho descritto con forza, determinazione e creatività. Sono sfide complesse, che talvolta alcuni Paesi europei ha contribuito nel tempo a generare, ma l’Italia più di altri paga il conto.

Dobbiamo risolvere queste crisi con la consapevolezza che il Mediterraneo è una grandissima opportunità: un mercato regionale di 500 milioni di consumatori che genera il 10% del PIL mondiale; dove naviga il 20% del traffico marittimo mondiale e il 30% del petrolio.

Per questo, nell’azione diplomatica italiana nel Mediterraneo c’è tanta diplomazia economica: l’obiettivo è un mercato sempre più integrato, con grande attenzione a energia e infrastrutture, per rilanciare il Mediterraneo come Hub economico globale.

Inoltre, attraverso la nostra Cooperazione allo Sviluppo c’è anche un grande investimento per lo sviluppo dell’imprenditorialità e delle PMI, nei nostri Paesi Partner mediterranei, con particolare attenzione ai giovani e alle donne.

Al G7 di Taormina ci sarà poi una sessione di outreach con i Paesi africani per affrontare: sviluppo sostenibile, innovazione, infrastrutture, energia, crisi migratoria e sicurezza alimentare.

Concludo con un doveroso accenno alla cultura, che sarà un argomento approfondito nei prossimi interventi. Millenni di storia nel Mediterraneo ci insegnano che la cultura è uno strumento di diplomazia e di pace: perché con la cultura l’essere umano riscopre la ricchezza nell’interazione con l’altro. Ci si apre all’altro, al rispetto reciproco, per comprendere lealmente ciò che l’altro dice. Con queste precise intenzioni si genera quel dialogo necessario alla pace.

La civiltà nasce dalle “intenzioni”, ma cresce nei “fatti” e nelle “azioni”. Il vostro progetto di formare 20 studenti provenienti dal Mediterraneo è fondamentale in questo senso. E’ un esempio per tanti altri atenei, che sono certo riscuoterà un grande successo!

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