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Discorso dell’On. Ministro in occasione dell’incontro con gli Ambasciatori dei Paesi arabi

(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)

 

Signor Ambasciatore del Marocco e Decano Arabo, Hassan Abouyoub

Signor Ambasciatore della Lega Araba, Mubarak Bin Rashi al Buainin

Signori Ambasciatori e Incaricati d’Affari

Signore e Signori

Ramadan Mubarak!

Sono molto felice di questa occasione di incontro e di dialogo – aperto, franco e sincero – su tante questioni di nostro interesse comune.

Come sapete, in politica estera, ho posto grande accento quest’anno sul Mediterraneo, perché è un mare che ci unisce con i Paesi arabi.

Il Mediterraneo è un grande crocevia di diverse culture che nei millenni si sono incontrate. La regione dove sono cresciuto, la Sicilia, oltre che dall’influenza fenicia, greca, romana e bizantina, è stata profondamente arricchita da quella araba.

Il “periodo arabo” della Sicilia va dall’827 al 1100. Sono più di 270 anni. Un momento storico più lungo dell’Unità dell’Italia. Quindi, l’influenza araba sulla cultura siciliana è stata enorme e la si vede ancora oggi nei nomi delle città (come Alcamo, Mazara, Sciacca, Modica, Caltanissetta, Favara), dei quartieri (Bibirria, Kalsa), e delle persone.

Quando spesso cito lo “spirito di Palermo” mi riferisco anche alle radici arabo-musulmane della Sicilia. Gli arabi prima, e i normanni dopo, crearono un periodo speciale, di crescita culturale, di tolleranza e di progresso. Il centro storico di Palermo è oggi patrimonio dell’UNESCO, con la sua architettura arabo-normanna e con i nomi delle sue vie in latino, greco, arabo ed ebraico.

E molti anni più tardi, l’influsso della cultura scientifica araba influenzò anche il  Rinascimento, tanto nel campo della fisica, quanto nella matematica, nell’astronomia, nella medicina e nelle scienze naturali.

Dobbiamo molto anche al commercio. Perché il commercio precedette ogni altro mezzo di comunicazione, nel Mediterraneo, tra l’Europa e il mondo musulmano.

Ancora oggi – sono convinto – il Mediterraneo è un “mare di opportunità”, seppure non manchino per noi le sfide per cogliere appieno il potenziale di questo straordinario mare.

Sfide – sono altrettanto convinto – che dobbiamo affrontare insieme, rafforzando la cooperazione e il coordinamento tra i nostri Paesi: sia nella lettura di ciò che accade, sia nell’adozione delle misure più adatte a superare le sfide insieme.

E’ questo lo spirito che vorrei dare all’incontro di oggi. E ringrazio ancora l’Ambasciatore del Marocco e l’Ambasciatore della Lega Araba per il loro ampio e completo inquadramento.

Inizio la mia riflessione dal processo di pace israelo-palestinese che a giusto titolo avete considerato un tema prioritario. Condivido il senso di urgenza e la necessità che rimanga in cima alle priorità internazionali, verso l’obiettivo di una soluzione equa e condivisa.

La prospettiva dei due Stati è nell’interesse di entrambe le Parti coinvolte, quella che può meglio preservare la stabilità regionale. La comunità internazionale può e deve giocare un ruolo di sostegno e incoraggiamento alle Parti, ma non può sostituirsi a loro, nell’assumersi la responsabilità di scelte politiche coraggiose per ottenere la pace.

Ho seguito con interesse il viaggio del Presidente Trump in Israele e in Palestina. E subito dopo, qui a Roma, ho incontrato l’Inviato americano Jason Greenblatt. Gli ho detto che l’Italia è pronta a dare il suo sostegno – agli USA e agli altri Partner arabi chiave – verso l’obiettivo di due Stati, Israele e Palestina, che vivono in pace e in sicurezza, con frontiere stabilite di comune accordo.

Come espresso in tante Conclusioni europee: l’Italia e l’Unione Europea non riconosceranno alcun cambiamento alle frontiere pre-1967, incluso con riguardo a Gerusalemme, all’infuori di quelle liberamente concordate dalle Parti.

Vorrei evidenziare due ulteriori punti.

Primo, la riconciliazione nazionale palestinese è elemento essenziale non solo per il raggiungimento della soluzione dei due Stati, ma soprattutto per il bene stesso della popolazione palestinese.

Secondo, è vitale profondere ogni sforzo per combattere l’incitamento e la violenza, che non hanno alcuna giustificazione. Su questo aspetto ho apprezzato l’impegno personale del Presidente Mahmoud Abbas.

Perché se i terroristi vengono considerati martiri sarà difficile ottenere la pace; così come non aiuta l’espansione degli insediamenti. Infine, esprimo sollievo per la fine dello sciopero della fame dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, che ci aveva per molti giorni preoccupati.  

La lotta al terrorismo è il secondo tema su cui vorrei riflettere con voi. Sono convinto che dobbiamo infondere nuove energie nella Coalizione anti-Daesh. E’ impegno a tutto campo e di lungo periodo.

Non possiamo mai abbassare la guardia e dobbiamo essere sempre più determinati – insieme – per contrastare i suoi canali di finanziamento illecito, la sua narrativa violenta, e i rischi di radicalizzazione alimentati dai “returning fighters”.

Non dimentichiamoci che i Paesi arabi sono le principali vittime del terrorismo.  Conoscendolo molto da vicino, possono costituire una forza vitale nel suo contrasto, e offrire nuove idee su come rimuovere le condizioni che ne alimentano l’appeal soprattutto tra le fasce giovanili.

Al Vertice G7 di Taormina abbiamo posto la lotta contro il terrorismo in primo piano, con una maggiore attenzione sui gruppi più vulnerabili al richiamo degli estremisti, come i giovani. Abbiamo lanciato un forte segnale ai provider di internet per mettere off-line l’internet del terrore. Quello spazio oscuro della rete che attrae e radicalizza tanti giovani, così in Europa come nei Paesi mussulmani. 

L’attentato di Manchester ci fa capire, ancora una volta, quanto sia importante l’attenzione e la comunicazione diretta ai giovani. Come facciamo noi ad “arruolarli” nel campo dei “moderati” quando in Libia, ad esempio, la disoccupazione sfiora il 40%? Quando si stimano 250.000-350.000 giovani attirati dai gruppi radicali? Non sono domande retoriche. Sono domande che richiedono una nostra forte azione comune. Nei giovani c’è la nostra speranza per vincere la guerra contro il terrorismo.

Daesh rimarrà ancora a lungo la minaccia più grave per la sicurezza di tutti i nostri Paesi. Anche quando avremo liberato i territori dove il terrorismo è attecchito, come in Iraq, dovremo continuare ad investire a lungo nelle stabilizzazione di queste aree. Significa promuovere formule inclusive di dialogo politico e di riconciliazione.

La drammatica crisi siriana è per me un pensiero costante. Dopo gli attacchi chimici di Idlib, ho convocato al G7 dei Ministri degli Esteri di Lucca una inedita riunione straordinaria allargata ai Paesi della regione (G7 + Arabia Saudita, Turchia, Emirati, Giordania e Qatar).

Non era affatto scontato che si potesse realizzare. Ci siamo riusciti senza la pretesa di protagonismo, ma con molto realismo. Abbiamo lavorato per rilanciare l’azione diplomatica e per ristabilire fiducia nel dialogo Washington-Mosca sulla Siria.

Abbiamo esortato Russia e Iran ad esercitare la loro influenza su Damasco per far rispettare il cessate il fuoco, aprire gli accessi umanitari nelle zone assediate, oltre che adempiere agli obblighi internazionali in materia di uso di armi chimiche.

Dobbiamo persuadere l’Iran – con tutta la franchezza e il pragmatismo necessari – a cogliere l’opportunità offerta dall’accordo sul nucleare. Per operare in modo costruttivo nella risoluzione delle crisi regionali e nel ristabilimento del dialogo politico con i Paesi Arabi, e riducendo la pressione delle milizie sciite quale elemento di disturbo.

Sempre in Siria, siamo confrontati con una nuova dinamica, che presenta opportunità, ma anche grandi rischi: siamo aperti all’applicazione delle intese di Astana, ma allo stesso tempo occorre scongiurare il pericolo che le “zone sicure” o “aree di de-escalation” possano cristallizzarsi in sfere di influenza o una spartizione de facto del Paese.

Astana non è un foro per discussioni politiche sul futuro della Siria. La sua funzione – cruciale, in questa fase – rimane ancillare rispetto ai colloqui di Ginevra.

Soltanto attraverso un percorso di transizione credibile, mediato dall’ONU e nel rispetto della Ris. 2254, si potranno risolvere i nodi politici della crisi. E’ quindi fondamentale ribadire un sostegno deciso al processo negoziale di Ginevra, grazie agli sforzi profusi dall’Inviato dell’ONU, de Mistura.

Con riguardo alla Libia, nelle ultime settimane il processo politico aveva dato segnali di rinnovata vitalità, grazie all’incontro tra Aghila Saleh e Sweili a Roma, seguito quello tra Serraj e Haftar ad Abu Dhabi.

Ma i gravi episodi di violenza nel Sud del Paese, e i recenti scontri a Tripoli, dimostrano quanto sia accidentato il percorso verso il consolidamento e la stabilizzazione del Paese. Lavoriamo affinché le armi cessino di sparare. L’ultima cosa che vorremmo vedere è che si riapra una porta al terrorismo, a causa delle tensioni.

La soluzione della crisi libica può essere solo politica. Siamo convinti che solamente con un processo inclusivo, con una forte ownership libica, nel quadro dell’Accordo Politico Libico (LPA), è possibile stabilizzare il paese e consolidare le sue istituzioni.

L’Italia è stata tra i primi a dire che il Gen. Haftar è un interlocutore che deve essere parte dell’equazione di pace e di sicurezza della Libia. Allo stesso tempo, Haftar non rappresenta la soluzione ai problemi della Libia. Deve accettare un ruolo in una struttura di sicurezza unificata, sottoposta all’autorità civile.

La coesione della comunità internazionale, che l’Italia ha sempre favorito, può fare la differenza anche in questa fase. L’instabilità politica e l’insicurezza possono compromettere la riconciliazione politica e il contrasto al terrorismo. Ciò richiede forze unificate.

Infine, lasciatemi dire che siamo grati per l’azione che la famiglia araba sta portando avanti a sostegno del processo di consolidamento istituzionale e di riconciliazione in Libia, anche in seno al “Quartetto” (UE, ONU, Unione Africana e Lega Araba).

Vorrei cogliere questa occasione anche per esprimere le mie condoglianze all’Egitto per il vile attentato, di qualche giorno fa, contro i cristiani copti.

Ricordo come tutte le comunità etniche e confessionali rappresentano una componente essenziale della storia e delle società del Mediterraneo e del Medio Oriente, fra cui quelle cristiane. Perché facciamo parte di grandi civiltà che hanno prodotto la loro opera più bella di cooperazione nel rispetto reciproco e garantendo la libertà di religione. I terroristi cercano di dividerci ma non ci riusciranno.

E’ mia forte intenzione stimolare un dialogo sempre più intenso sui temi dell’integrazione, dello sviluppo, della crescita, della cooperazione e della sicurezza nel Mediterraneo allargato.

Per questo motivo ho già invitato alcuni leader dei vostri Paesi – e ne inviterò altri nei prossimi giorni – a partecipare alla terza edizione dei MED-Rome Mediterranean Dialogues (30 novembre-2 dicembre) per sviluppare un confronto proficuo di idee e di esperienze su tutti i temi più rilevanti per il nostro futuro comune, e soprattutto per le nostre giovani generazioni.

Concludo, ricordando che sarà un grande piacere ritrovarvi questa sera per l’Iftar che ho l’onore di offrirvi a Villa Madama.

Grazie mille.