Fa fede solo il testo effettivamente pronunciato
Sono molto contento di salutare in primo luogo il collega ministro e amico Alfonso Dastis, il presidente Enrico Letta – presidente anche perché per me lo è in varie funzioni, tra cui quella di Presidente mentre io ero il suo Vice Presidente del Consiglio – l’onorevole Josep Duran i Lleida, i nostri Ambasciatori, gli imprenditori e amici del Foro di dialogo italo-spagnolo.
Certo, Alfonso, se avessimo voluto scegliere una data per rendere interessante ai media questa giornata di Foro non avremmo potuto individuare né data migliore né più importante dal punto di vista di ciò che è accaduto in Spagna. Sappi che noi condividiamo lo statement della Commissione Europea; siamo affezionati all’unità costituzionale spagnola e ci riconosciamo nelle parole del Presidente Sergio Mattarella. Condividiamo la scelta del Presidente Rajoy di convocare tutte le parti per un ritorno al dialogo.
Vorrei fare alcune considerazioni avendo ascoltato chi mi ha preceduto, quindi la voce delle imprese, la voce di chi in trincea vive la relazione tra Italia e Spagna in modo fecondo e produttivo. Ricordo un’importante serata che l’Ambasciatore Sannino organizzò presso la residenza dell’Ambasciatore d’Italia a Madrid proprio nei giorni di accreditamento del nuovo Ambasciatore di Spagna qui a Roma, con tanti imprenditori presenti. In quella circostanza mi hanno dato una sensazione straordinaria: la sensazione, cioè, di imprenditori che neanche per un istante smettevano di sentirsi italiani, eppure al momento stesso erano orgogliosamente spagnoli. Questa frase si può capovolgere: imprenditori che si sentivano in qualche modo ormai spagnoli, perché l’investimento aveva determinato in loro una grande passione per la Spagna, senza dismettere nel cuore e nel passaporto l’identità nazionale italiana.
Tutto questo non mi sorprende affatto, perché l’Italia e la Spagna condividono un dialogo che viene da lontano; è il dialogo tra due popoli mediterranei che non solo sono uniti da un mare comune, ma anche da una storia, da una identità, da una religione che in larga misura sono condivise. Permettetemi anche una considerazione personale: io sono siciliano, italiano ed europeo. Le tre cose non sono in contraddizione. Nella mia stessa Sicilia, al centro del Mediterraneo, la Spagna ha avuto una straordinaria influenza per cinque secoli, dalla dinastia aragonese, al Regno delle due Sicilie, alla dinastia dei Borboni. Leonardo Sciascia, grande scrittore siciliano, diceva negli anni Ottanta che «andare in Spagna è, per un siciliano, un continuo insorgere della memoria storica, un continuo affiorare di legami, di corrispondenze»; e «bastano i nomi: di paesi, di strade» diceva Leonardo Sciascia. Andando in Sicilia si trovano paesi di nome Rivera, Aragona, Barcellona… Pozzo di Gotto.
La nostra identità è comune perché è un’identità mediterranea; per questo credo che la stessa cosa avvenga se uno spagnolo va in giro per l’Italia. Passeggiare per Palermo, passeggiare per Napoli è come camminare per le strade di Siviglia. Pensate che anche la darsena di Milano fu voluta e realizzata nel 1603 da un governatore spagnolo.
Forse non è un caso che proprio la Sicilia fu scelta come luogo di un importantissimo incontro di dialogo italo-spagnolo, un bilaterale governativo nel 1986 ospitato a Taormina trentuno anni fa – Presidente del Consiglio era Craxi, primo ministro era Gonzales. Nella nota di Palazzo Chigi che sono andato a recuperare, si legge che «il vertice assume un’importanza simbolica oltre che sostanziale perché i colloqui verteranno sulla situazione nel Mediterraneo». Oggi stesso, come allora, l’Italia e la Spagna hanno un valore simbolico oltre che sostanziale nel loro discutere perché esprimono la convergenza di due grandi paesi mediterranei sull’esigenza di porre il rilancio dell’Europa e del Mediterraneo al centro dell’agenda. Aggiungo che in questo dialogo c’è adesso anche un connotato personale, perché io credo di potere considerare il collega Alfonso Dastis, che oltre ad essere il ministro degli esteri è anche un grande diplomatico di carriera, un amico, con cui ho avuto modo di confrontarmi in tutti i momenti più critici da quando entrambi siamo ministri degli Esteri. Ci siamo interrogati sulle soluzioni da assumere.
Questo colloquio – perché io lo considero un colloquio tra imprese, esponenti della società civile, uomini del governo – avviene in un momento delicatissimo non solo per la Spagna ma per l’Europa intera. In questi ultimi due lustri alcuni fattori hanno realizzato una convergenza che ha messo a durissima prova la tenuta degli ideali e delle istituzioni europee. In Italia abbiamo avuto la più grande crisi e la più lunga crisi economica dalla fine della seconda guerra mondiale: dal 2007-2008 fino a pochi mesi fa, e ciò vuol dire che è durata più della seconda guerra mondiale stessa, una crisi lunghissima, la più grave per ciò che riguarda i profughi, rifugiati e immigrati. Riguarda anche l’Europa: pensate a quanti ne sono arrivati in Germania nel 2015. In questo momento in Germania ci sono oltre un milione e mezzo di rifugiati.
È stata la più grande crisi e un attentato alla sicurezza dei nostri popoli e dei nostri Paesi dalla fine della seconda guerra mondiale. Sono troppo numerose le città che sono state aggredite per farne l’elenco ed è di questi giorni il prolungamento della lista dei lutti e delle città colpite. Per la prima volta un membro del club europeo decide di stare non alla porta d’ingresso ma a quella di uscita. Crisi di rifugiati, crisi economica, attentati terroristici nelle nostre capitali e, poi, la Brexit.
Tutto questo in meno di dieci anni. Da questo punto di vista è fondamentale il nostro lavoro insieme con la Spagna, perché la Spagna è uno di quei paesi che crede profondamente negli ideali europei, affinché alla fine di questo decennio noi possiamo porci una domanda fondamentale: cosa è cambiato nell’assetto delle istituzioni e dei movimenti politici? Essenzialmente è nata una nuova distinzione: quella tra chi ritiene che l’Europa sia la parte principale del problema e chi ritiene che l’Europa sia la parte principale della soluzione. L’Italia e la Spagna sono orgogliosamente e convintamente collocate in questa seconda metà campo: la metà campo di chi pensa che, di fronte allo scenario così complesso dell’Europa di oggi, dovendo affrontare delle variabili macro-politiche così straordinarie, l’Europa continua ad essere l’elemento essenziale della soluzione e non del problema. Questa distinzione sta attraversando l’elettorato, perché quando la crisi economica si mescola alla crisi dei rifugiati e la crisi dei rifugiati si mescola alla crisi di sicurezza nelle capitali europee, la cornice che inscrive tutto questo si chiama “paura”. Di fronte alla paura i popoli stanno manifestando due reazioni. La prima è di considerare l’Europa come il luogo istituzionale da far “saltare” per risolvere i problemi; la seconda è di considerarla come il luogo istituzionale da rafforzare e consolidare per risolvere i problemi. Italia e Spagna, da questo punto di vista, camminano insieme con una convinzione straordinaria: che tu sia di Tallin, di Palermo, di Barcellona, o di Madrid o di Berlino, o di Parigi sei europeo e questa tua appartenenza è una patria grande che ti rende più prospero e più sicuro.
Abbiamo vissuto l’Europa come un cammino straordinario di crescita. Io appartengo alla prima generazione di europei che ha conosciuto solo la pace; mio papà, nato nel 1936, da bambino ha conosciuto la guerra, così mio nonno, così il padre di mio nonno e così su, nelle generazioni della mia famiglia tutti hanno conosciuto la guerra: la mia è la prima generazione che ha conosciuto solo la pace e al tempo stesso ha conosciuto la prosperità derivante da una straordinaria scelta di unità. Questa mattina abbiamo intitolato alla Farnesina una sala a un grande ambasciatore italiano, Ortona, che ha lavorato nell’attuazione del Piano Marshall. Riflettevo su come milioni di persone morte, uccise da compatrioti europei, non siano state un ostacolo a fare la pace, a camminare insieme, a trasformare l’Europa in un grande club. Un club nel quale non esiste la pena di morte, si può circolare liberamente, in cui i cittadini europei possono studiare in un paese o in un altro, in cui il libero mercato è tutelato, in cui adesso non si paga più neanche il roaming telefonico e tanto altro ancora. La pace è compresa come diritto quando ci si iscrive a questo club e il tutto per meno di un euro al giorno.
Tanto costa l’iscrizione a questo club chiamato Europa: meno di un euro al giorno. Vorrei richiamare esattamente questo dato nella giornata in cui imprenditori, donne e uomini di trincea, ragionano su come si può lavorare insieme. Posso dire quello che in parte avete già detto voi e cioè che il nostro interscambio commerciale è eccellente, 40,5 miliardi, il nostro export verso la Spagna cresce del 6%, l’export della Spagna verso l’Italia cresce del 5%, la nostra collaborazione economica è in una straordinaria fase positiva che può ancora migliorare: siamo nella top 5 reciproca dei partner commerciali.
Ringrazio Enrico per avermi invitato e per avere costruito questo incontro. Sono venuto per ribadire l’elemento essenziale che mi sembra unire oggi l’Italia e la Spagna: siamo paesi con fede europea e con un senso di comunità e di destino dei popoli europei. Siamo fortemente convinti che se abbiamo da dare una risposta ai nostri popoli rispetto alla paura della crisi, alla paura delle bombe, alla paura del diverso, la possiamo dare dicendo che senza l’Europa noi saremmo più poveri, meno prosperi e più insicuri.
Quando si parla di Europa si parla anche della collaborazione tra le intelligence. Quando si costruiscono muri di pietra non si può immaginare di non costruire muri informatici che bloccano lo scambio di informazioni: e saremmo più insicuri. E quando ci dobbiamo tutelare dal rischio di un neo-protezionismo, un conto è difenderci come 60 milioni di consumatori italiani, un conto è difenderci come 500 milioni di consumatori europei e potere anche organizzare una reazione al rischio dei dazi. Quando parliamo di una geopolitica che sta modificandosi radicalmente, parliamo esattamente della forza di 500 milioni di consumatori, di cittadini liberi, che occupano il più grande spazio di diritto e di libertà conosciuto in questo momento della storia.
Questa è l’Europa di oggi. E l’Italia e la Spagna hanno un doppio destino comune: il destino europeo e la vocazione naturale mediterranea. È un concetto al quale io sono personalmente affezionato. Il Mediterraneo messo a paragone con i grandi oceani è piccolo. Chiudete gli occhi e immaginate il planisfero: il Mediterraneo è piccolo, è un lago. Diceva Giorgio la Pira: è come la prosecuzione del lago di Tiberiade; eppure, ancora una volta, in quel lago si giocano i destini del mondo. A sua volta rappresenta 500 milioni di consumatori e una parte importantissima del Pil del mondo, una parte importante dei traffici marittimi e una parte molto importante del commercio di petrolio.
Tutto questo significa la vocazione mediterranea: abbiamo due ragioni fortissime per stare insieme e lo abbiamo dimostrato quando, insieme, il 6 luglio alla Farnesina, abbiamo provato a gestire al meglio il flusso che viene dai Paesi dell’Africa, attraverso accordi con i Paesi di confine con la Libia.
Mi avvio a concludere. Voglio dire con grande riconoscenza agli organizzatori di questo Foro di dialogo che dobbiamo andare avanti su questa strada. A volte sento parlare di assi dentro l’Unione Europea, per determinare equilibri al suo interno. Si possono fare tutti gli assi che si vogliono, ma c’è un legame, un vincolo, un link, si direbbe in termini moderni, che è quello della Storia che unisce Italia e Spagna e che nessuno potrà mai cancellare, ma che si esprime in mille occasioni.
Sono stato a commemorare la Storia, l’altro giorno a New York, l’essere un pezzo del patrimonio dell’umanità di Cristoforo Colombo, sotto la sua statua, proprio mentre vengono messi in discussione alcuni valori, e ho ripensato a questo, alla comune influenza che abbiamo a tutt’oggi. Mi viene da immaginare il Venezuela, ma potrei citare anche altri paesi. L’identità nazionale italiana e l’identità nazionale spagnola, quasi a fondersi, determinano un pezzo importantissimo delle identità nazionali di tanti paesi dell’America Latina. Tutto questo è ciò che ci unisce.
A volte il mare divide, a volte il mare unisce. Io credo che quello tra Italia e Spagna sia un mare che unisce e penso anche che questa doppia vocazione, europea e mediterranea, sia al tempo stesso la storia e il destino non di due paesi o di due governi, ma di due popoli. Penso anche che il dialogo economico che si sta portando avanti anche attraverso la conversazione con gli imprenditori ci ricordi sempre una grande lezione della storia: che dove passano le merci non passano gli eserciti. Se vi è una strada per consolidare la pace è quella di rafforzare i traffici commerciali e gli affari. Credo che anche questo sia il compito di oggi: rafforzare i legami economici tra questi paesi dentro un quadro chiaro di orizzonte di destino, dentro il quale pace e prosperità camminano insieme. È con questo auspicio che ho partecipato a questo incontro e sono convinto che questo sia l’auspicio di tutti voi e di tutti noi. Grazie.