Questo sito utilizza cookie tecnici, analytics e di terze parti.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookie.

Preferenze cookies

Discorso dell’On. Ministro in occasione della Seconda Settimana della Cucina Italiana nel Mondo

Fa fede solo il testo effettivamente pronunciato

 

Vice Ministro Olivero,

Sottosegretario Bianchi,

Presidente Scannavini, (Presidente ICE-Agenzia)

Presidente Scordamaglia, (Presidente di Federalimentare)

Professore Miravalle, (Univ. degli Studi di Milano)

Dott.ssa Cristina Bowerman, (Presidente dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto)

Ambasciatori, Signore e Signori,

Vi rivolgo un caloroso benvenuto a Villa Madama e desidero ringraziare tutti coloro che hanno collaborato con noi per realizzare questa Seconda Edizione della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo. Una iniziativa che mette la diplomazia economica al servizio dell’eccellenza della cucina e dei prodotti italiani; e della grande ricchezza che producono per l’Italia nel mondo.

Il settore agroalimentare italiano vale oltre 132 miliardi di euro. Il suo export è di quasi 40 miliardi. E con la Seconda Settimana della Cucina Italiana vogliamo contribuire all’obiettivo di raggiungere i 50 miliardi di export agroalimentare entro il 2020. E’ un obiettivo ambizioso, ma che non deve spaventare un Paese come il nostro: “superpotenza agroalimentare” e già titolare di molti record mondiali nel cibo.

Abbiamo 68 prodotti che si piazzano sul “podio” dei generi  agroalimentari più venduti al mondo. Secondo il rapporto della Fondazione Symbola (che dal 2005 promuove un modello di sviluppo orientato alla qualità), 16 prodotti del nostro agroalimentare sono leader assoluti nel mondo e altri 52 sono secondi o terzi.

La ricetta del nostro successo sta in un modello di sviluppo delle nostre imprese orientato alla qualità – in cui tradizioni e territori si fondono con innovazione, ricerca, cultura e design – ma anche alla tutela dei nostri prodotti “distintivi”: come le 292 denominazioni agroalimentari protette e i 523 vini Doc/Docg/Igt. Inoltre, l’Italia è prima in Europa per numero di imprese agricole biologiche e seconda per superfice agricola in questo settore di altissima qualità.

E dato che parliamo di diplomazia e di agroalimentare, lasciatemi ricordare che il Conte Camillo Benso di Cavour, oltre alle sue doti diplomatiche, aveva anche eccellenti qualità di agricoltore. Ed era talmente convinto delle virtù diplomatiche di un buon pranzo e di una buona bottiglia di vino che, quando un suo diplomatico partiva per una capitale straniera, si accertava che nel bagaglio ci fosse qualche bottiglia di Barolo.

Ecco, mi pare perfettamente in sintonia con il tema centrale della Seconda Settimana della Cucina Italiana che è il binomio “cucina e vino di qualità”. Anch’io, nelle mie missione all’estero, ho potuto apprezzare di persona quanto gli Ambasciatori italiani siano impegnati per la promozione della nostra cucina e del nostro vino nel mondo. Ma se in passato era un tipo di attività che l’Ambasciatore svolgeva dentro le mura della propria Residenza; oggi l’Ambasciatore è chiamato a promuovere la cucina e il vino in ogni angolo del proprio Paese di accreditamento. In altre parole: non è più una strategia di nicchia, nei confronti di clienti selezionati. Ma è un’ampia Strategia-Paese, in stretta collaborazione con il settore privato, verso grandi segmenti di consumatori che ancora dobbiamo conquistare.   

E nel settore vitivinicolo, l’Italia non solo detiene il record mondiale di denominazioni protette, ma dal 2015 è anche il primo produttore al mondo. Il nostro obiettivo deve essere quello di posizionare meglio cucina e vini italiani, facendo conoscere i territori, le tradizioni e gli itinerari enogastronomici di qualità. Temi su cui lavoriamo già da tempo e lavoreremo ancora più assiduamente, con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in occasione dell’Anno della Cucina nel 2018.

Consentitemi di raccontarvi ancora un altro aneddoto curioso, che riguarda uno dei padri fondatori degli Stati Uniti: Thomas Jefferson, il terzo Presidente americano. Jefferson era convinto che una agricoltura di qualità e una dieta sana fossero vitali per il futuro del suo giovane Paese. E quando era diplomatico a Parigi (1785-1789) si recò in Italia per ottenere pregiati semi di riso. Le leggi di allora ne proibivano l’esportazione. E, quindi, dopo diversi tentativi decise di riempirsi le tasche di semi, che poi giunsero fino a Charleston, nel Sud Carolina, dove avviò una nuova produzione.    

Jefferson aveva come obiettivo, sia la sicurezza alimentare, sia la sicurezza degli alimenti, del suo Paese. L’Italia fu per lui un esempio. E non è un caso che il nostro Paese rimane tutt’oggi ai vertici mondiali proprio per la sicurezza degli alimenti, con una quota di prodotti con residui chimici 5 volte inferiore alla media europea e quasi 20 volte inferiore alla media dei prodotti extracomunitari.

All’inizio di quest’anno Bloomberg ha definito gli italiani come il popolo più sano al mondo. La classifica Bloomberg – dove siamo primi su 163 Paesi – considera la durata media della vita e molti altri fattori cruciali come la nutrizione. Perché a determinare lo stato di salute non è soltanto la ricchezza di una nazione, ma come sappiamo bene è anche lo stile di vita, comprese le abitudini alimentari: come la nostra dieta mediterranea, patrimonio culturale dell’UNESCO.

Quest’anno, la Settimana della Cucina sarà un’occasione per promuovere due nuove ed importanti candidature italiane all’UNESCO: l’arte dei pizzaioli napoletani, che verrà votata tra poche settimane a Seoul; e i paesaggi delle Colline di Conegliano Valdobbiadene, famose per il Prosecco, che saranno in gara il prossimo anno.

E così come non vanno mai dimenticate le origini dei prodotti, vorrei concludere ricordando le origini di questo progetto. La Settimana della Cucina Italiana nasce da Expo Milano 2015, dai valori che abbiamo diffuso nel mondo con la Carta di Milano e dal Protocollo d’Intesa fra la Farnesina, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, per valorizzare insieme, all’estero, la cucina italiana di qualità e i nostri magnifici territori.

Sottolineo “insieme” perché il nostro successo è un grande lavoro di squadra, che si è allargato ben oltre l’ambito istituzionale, per abbracciare le associazioni di categoria, il sistema camerale, scuole di cucina, tanti eccellenti cuochi e sommelier – di cui abbiamo questa sera una importante rappresentanza – e il settore privato. Tutti coloro che hanno a cuore l’obiettivo di valorizzare la qualità della ristorazione italiana all’estero, legando la tradizione culinaria all’utilizzo del vero agroalimentare italiano.

Una delle priorità della diplomazia economica è infatti la tutela del “marchio agroalimentare italiano”:  c’è l’impegno a difendere le nostre indicazioni geografiche; c’è il contrasto al fenomeno dell’Italian sounding e alle politiche dei “semafori alimentari”; e c’è l’azione per tutelare la proprietà intellettuale e industriale delle imprese in questo settore.  

Come l’anno scorso, la cucina verrà raccontata anche attraverso eventi e iniziative di taglio culturale: mostre d’arte e di design, concerti, proiezioni cinematografiche, nello spirito del “Vivere all’italiana”, la  nostra “strategia di sistema” che integra nell’attività di promozione tutti gli aspetti che contraddistinguono lo stile italiano e tutte le sfaccettature del Made in Italy.

Contiamo di realizzare più di 1000 eventi in più di 100 Paesi, mettendo a disposizione la nostra rete di Ambasciate, Consolati e Istituti di Cultura. Una rete che moltiplica l’azione di sistema e amplifica il ritorno economico e d’immagine all’estero del nostro Paese.

Mi sento di dire che la nostra missione è genuinamente globale. Perché tutte queste iniziative indicano che il Governo, le istituzioni, la società civile e il settore privato del nostro Paese sentono forte la responsabilità di unire gli sforzi per aumentare la sicurezza alimentare e per dare alla terra un nuovo equilibrio.

Ecco, questa è molto più di una responsabilità nazionale. E’ la responsabilità di un Paese, come lo definiva Alcide De Gasperi, che si sente parte integrante dell’umanità. Di un Paese che mette al servizio del mondo il suo impegno e la sua vasta cultura del cibo perché ci sia più sicurezza alimentare e affinché il problema della malnutrizione – un giorno non troppo lontano – smetta di ripetersi nella storia delle future generazioni.