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Discorso dell’On. Ministro al 10° Forum Italo-Turco

(Fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)

 

Ministro Mevlüt Çavuşoğlu,

Prof. Fabrizio Saccomanni,

Signore e Signori,

Oggi celebriamo una data storica: 10 anni del Forum Italo-Turco. Un decennio in cui i nostri governi, le nostre imprese e le nostre società civili hanno lavorato insieme e in sintonia per allargare e per approfondire l’amicizia fra l’Italia e la Turchia.  

Sono fiero di poter rivendicare il forte impegno dei Governi a cui ho fatto parte, per almeno una metà di questa decade, verso l’obiettivo strategico di un partenariato solido e diversificato con la Turchia, nel Mediterraneo, in Europa e nel mondo.

Credo che sappiate quanto la Turchia sia nel mio cuore e quanto l’abbia seguita e incoraggiata nella sua evoluzione. Mi sono persino trovato in diretta televisiva, nel luglio 2016, quando ci fu il Golpe e ricordai all’opinione pubblica italiana, in quel momento, quanto era strategica la Turchia, per noi e per l’Europa: sul piano della crescita e, ancora di più, su sfide come la crisi migratoria, la lotta al terrorismo e per eliminare il rischio dei foreign fighters. Non esitai a prendere le distanze dal Golpe e con grande sollievo vidi la mobilitazione popolare contro quel tentativo non-democratico di cambiamento.

La Turchia resta ancora oggi strategica. E lo sarà per l’avvenire. Come lo è stata nel passato. Perché l’amicizia italo-turca ha origini antichissime. Si potrebbero addirittura citare miti e leggende: come la storia di Enea, predestinato fondatore di Roma, simbolo di un legame tra le rive del Tirreno e dell’Anatolia. I nostri popoli sono stati uniti nell’Impero romano, di cui Costantinopoli fu capitale sia ad Ovest (anni 330-395) che ad Est, quando poi nacque l’Impero bizantino.

E nella Istanbul di oggi c’è un simbolo in particolare della nostra amicizia: la torre di Galata, che fu costruita dai genovesi nel 1348. Alla base della torre c’è un’epigrafe che ricorda la consegna delle chiavi dell’edificio da parte dei genovesi al Sultano Maometto II. E proprio lì – nella zona di Pera – nacque la più antica comunità italiana all’estero. La comunità degli italo-levantini, ancora presente oggi nella città.

Fra loro ci fu il musicista Giuseppe Donizzetti, fratello del più famoso Gaetano, che scrisse il primo Inno dell’Impero Ottomano. E non so se sia vero, ma i miei collaboratori, che sono tifosi di calcio, mi dicono che alcuni italo-levantini furono tra i fondatori e sostenitori iniziali del Galatasaray, che deriva da Galata e curiosamente indossa, come la Roma, i colori giallo e rosso.

La storia che ci accomuna, la stessa geografia, e un patrimonio culturale condiviso, insieme alimentano la nostra profonda mediterraneità. Credo davvero in una “identità mediterranea” che a sua volta rafforza una “identità europea”. Perché l’Europa, in un’epoca di grandi cambiamenti, affinché torni ad essere protagonista, deve prendere coscienza – oggi più che mai – che il suo destino è scritto nel Mediterraneo. Solo un’Europa che guarda al Mediterraneo troverà la chiave della sua prosperità e sicurezza.

E, anche per questa ragione, vorrei ricordare che l’Italia ha sempre guardato con favore ai negoziati di adesione della Turchia all’Unione Europea. E’ un elemento di continuità della diplomazia italiana, che lavora fianco a fianco con la diplomazia turca in tanti contesti diversi: dall’ONU alla NATO, dall’OSCE al Consiglio d’Europa. La nostra scelta è chiara: noi vogliamo una Turchia pienamente democratica in Europa. Ma per raggiungere questo obiettivo, occorrono leadership lungimiranti da una parte e dall’altra.

E’ venuto il momento di un sincero esame di coscienza da parte dell’Europa. Nel recente passato, abbiamo elogiato il “modello turco” per i suoi successi economici e per la sua capacità di coniugare Islam e valori democratici. Ma lo abbiamo poi abbandonato con una netta chiusura sul fronte dei capitoli negoziali di adesione all’UE. Un comportamento, quello dell’Europa, poco coerente e da modificare con un approccio chiaro e lineare, per il bene delle relazioni euro-turche e per la pace e la stabilità del Mediterraneo.

Pochi giorni fa ero a New York per presiedere il Consiglio di Sicurezza durante una discussione sulle sfide alla pace e alla sicurezza nel nostro Mediterraneo. Ho ricordato ai membri del Consiglio che il Mediterraneo può sembrare un piccolo mare, quasi un grande lago se visto su un planisfero, nel quale però si gioca buona parte della sicurezza globale. Perché gran parte della crisi del mondo scaturiscono dal Mediterraneo allargato: la diffusione di Daesh, l’instabilità della Libia, il conflitto in Siria, il pericolo del ritorno dei foreign fighters, la nuova crisi in Libano, la fragile situazione nei Balcani, la crisi migratoria e potrei andare avanti . . . Sono tutte dinamiche che si stanno svolgendo a ritmi incessanti a poche miglia dalle nostre coste. Italia e Turchia sono inevitabilmente coinvolte e subiscono l’impatto di queste tensioni e fragilità.

Il Mediterraneo richiama le nostre responsabilità storiche. E le interazioni tra i nostri due Paesi possono sempre svolgere un ruolo propulsivo e di grande equilibrio a favore della sicurezza e della stabilità regionale: dalla lotta al terrorismo alla crisi migratoria, a cui la Turchia sta dando un grande contributo accogliendo oltre tre milioni di rifugiati (in base all’Intesa UE-Turchia del 18 marzo 2016) e collaborando a sconfiggere l’orribile modello d’affari dei trafficanti di esseri umani.

L’impatto che la Turchia ha dovuto affrontare per far fronte alla crisi siriana è enorme.  Non solo in termini di rifugiati e migranti, ma anche e soprattutto sul piano dei rischi alla sua sicurezza. Per questo, siamo uniti in questa sfida a sostenere il processo politico a guida ONU. E saremo uniti anche dopo, quando sarà tempo di lavorare insieme per ricostruire la Siria. In quel momento in cui il regime avrà smesso di commettere atrocità indescrivibili e quando sarà avviata una transizione.

La nostra cooperazione è sempre stata ispirata da immediatezza e concretezza. Ricordo un episodio quando ero Ministro dell’Interno. Era l’autunno del 2014, quando all’improvviso ci trovammo di fronte ad una nuova sfida: le c.d.  “navi fantasma” cariche di rifugiati siriani, lungo la rotta Turchia-Italia. Ebbene, abbiamo subito affrontato la questione e in poco tempo contrastato questo fenomeno.

Per l’Italia, la Turchia è un partner strategico sia per la sua posizione geopolitica, sia per la sua vitalità economica. E il Forum italo-turco è lo strumento per proiettare il nostro partenariato economico nel futuro. Cito solo alcuni ambiti prioritari.

In primis: la collaborazione energetica. L’energia è uno dei temi centrali del dialogo strategico tra Italia e Turchia. Il mio pensiero è questo: dobbiamo essere sempre più ambiziosi e costruire un grande “hub” energetico nel Mediterraneo verso l’Europa. L’obiettivo resta la diversificazione delle fonti di energia come fattore ineludibile di sicurezza energetica. Il Corridoio Meridionale del Gas italo-turco (TANAP-TAP) è un esempio perfetto, su cui dobbiamo continuare a costruire con un approccio regionale: dal Mar Nero al bacino del Mediterraneo.

Secondo punto: l’ampliamento dell’Unione doganale tra l’UE e Turchia. L’obiettivo è duplice: non solo potenziare gli scambi commerciali, ma anche gli investimenti, in settori finora esclusi dall’accordo. La Turchia è già il terzo partner commerciale extra-UE dell’Italia, dopo Stati Uniti e Svizzera, e prima della Russia. Ma crediamo che ci siano ancora enormi potenzialità inesplorate.

Oggi in Turchia ci sono più di 1300 aziende italiane che operano e investono nel mercato. Sono grandi gruppi come la nostra Unicredit che ha creduto fino in fondo alla Turchia, agevolata dalla stabilità finanziaria del Paese: un debito pubblico sotto il 30% del PIL e una politica fiscale attenta alla crescita.

E poi: Eni, Enel, Salini, FCA e Ferrero. Senza dimenticare il ricco universo delle PMI, che trasmettono know-how, capacità d’innovazione e competitività.  Alcune aziende sono state protagoniste di progetti di massima importanza: penso al terzo ponte sul Bosforo realizzato da Astaldi, che non solo è una straordinaria opera di ingegneria, ma ha anche una forte valenza simbolica: è il collegamento tra due Continenti.

Va ricordato che per le imprese italiane la Turchia è il “ponte” fra il Mediterraneo e l’Asia. Investire in Turchia significa aprirsi una porta verso quei mercati dell’Asia Centrale e del Caucaso in cui la presenza turca è forte. Per esempio, nelle infrastrutture e nelle costruzioni in Paesi come il Turkmenistan.

Terza considerazione: dobbiamo intensificare il nostro partenariato economico in altri settori strategici: oltre alle stesse infrastrutture e costruzioni, penso ai settori finanziari, industriali, agroalimentare, nuove tecnologie e difesa.

Quarto e ultimo punto, a cui già in parte ho accennato: credo molto nelle potenzialità della cooperazione congiunta in Paesi terzi, dal Nord Africa ai Balcani, dal Medioriente al Golfo. Una collaborazione che potrebbe prendere la forma di consorzi italo-turchi per partecipare a gare ed appalti, facilitata da missioni congiunte di sistema e anche dal nuovo accordo di co-assicurazione firmato quest’anno dalle nostre agenzie di credito all’export.

Ma vorrei concludere sul tema della collaborazione culturale. Un tema a me molto caro e che – come dicevo all’inizio – unisce i nostri due Paesi non solo da anni, ma da millenni.

La cultura è stata al centro della recente Conferenza Mediterranea dell’OSCE di Palermo (24-25 ottobre). A Palermo, l’Italia ha lanciato un ambizioso programma culturale per il 2018: “Italia, Culture, Mediterraneo”, di oltre 500 nuove iniziative, che coinvolgerà l’intera regione e di cui anche la Turchia sarà grande protagonista, grazie alle collaborazioni che verranno individuate dal nostro Istituto di Cultura ad Istanbul.

Intendiamo infatti valorizzare il ruolo della cultura per continuare a tutelare e sviluppare la nostra comune identità mediterranea. E colgo questa occasione per formulare l’auspicio che si giunga presto alla definizione del nuovo Programma Esecutivo di cooperazione culturale, che darà ancor più efficacia ai nostri rapporti culturali.

Dobbiamo utilizzare la cultura come strumento di inclusione e di connessione, e valorizzare il Mediterraneo come uno spazio di rispetto e contaminazione reciproca – positiva – fra popoli, culture, lingue e religioni.

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