Farnesina, 12 dicembre 2017
(Fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)
Gentili ospiti,
Illustri Ambasciatori,
cari amici imprenditori,
Saluto e ringrazio il Prof. Angelo Tantazzi, Presidente di Prometeia, che ha curato il secondo Rapporto sulla diplomazia economica.
Fin dall’inizio del mio mandato alla Farnesina ho voluto conferire alla diplomazia economica un aspetto assolutamente prioritario della nostra politica estera. E l’ho voluto fare con diverse iniziative, anche di portata innovativa.
Per esempio, con il progetto “La Farnesina incontra le imprese” ho fatto tappa in diverse città italiane, da nord a sud, (Torino, Udine, Padova, Treviso, Firenze, Ancona, Pescara, Napoli, Bari) per ascoltare e capire i bisogni degli imprenditori; e per aiutarli ad utilizzare appieno tutto il potenziale della rete della Farnesina nel mondo. Un’altra iniziativa è stata lanciata proprio con Confindustria. In occasione della Conferenza annuale degli Ambasciatori del luglio scorso, abbiamo promosso incontri diretti tra 88 Ambasciatori e 118 rappresentanti di imprese.
In questo anno mi sono soprattutto reso conto che c’è un difetto di percezione tra quello che la diplomazia fa per il sostegno alle imprese, e la percezione nell’opinione pubblica di tale apporto. Ecco perché è importante lo studio di Prometeia, in quanto determina in maniera concreta e misurabile i risultati di questo sostegno.
Nel 2016 l’assistenza delle Ambasciate e dei Consolati italiani all’ottenimento di contratti e commesse per le nostre imprese ha contribuito – in maniera diretta o indiretta – a produrre l’1,4% del nostro PIL e a sostenere 307mila posti di lavoro, circa l’1,2% degli occupati in Italia. Un incremento considerevole rispetto all’anno precedente, in cui la nostra azione di diplomazia economica aveva contribuito all’1 % del Pil e a 234 mila posti di lavoro.
La diplomazia economica ha assistito nel 2016 oltre 300 imprese italiane impegnate in 599 progetti all’estero del valore di 39 miliardi di euro. Siamo partiti da 319 progetti sostenuti nel 2014 per un valore di 23 miliardi. Questo significa che in tre anni abbiamo quasi raddoppiato il numero dei progetti sostenuti con un incremento del 70% del valore ad appannaggio delle aziende italiane.
Il dato sorprendente è che circa la metà di questo valore torna in Italia. Il lavoro all’estero di queste aziende ha prodotto sul territorio italiano oltre 21 miliardi di valore aggiunto e quasi 9 miliardi di euro di gettito fiscale.
Questi dati acquistano ancora più valore se facciamo una piccola analisi costi-benefici. Considerate che il bilancio effettivo della Farnesina nel 2016 è stato pari allo 0,11% del bilancio dello Stato. Circa lo 0,05% del PIL.
Questo significa che una spesa dello 0,05% ha avuto un ritorno dell’1,4% del PIL e che la Farnesina è un moltiplicatore pari 29. Detto in altri termini, 1 euro del contribuente ha generato 29 euro di crescita all’Italia.
Certamente non vogliamo attribuire alla Farnesina tutti i meriti di questi brillanti risultati! Dietro i numeri c’è innanzitutto il lavoro di centinaia di piccole, medie e grandi imprese che hanno portato all’estero le loro competenze e professionalità nei più disparati settori: infrastrutture, costruzioni, ingegneria, industria, energia, meccanica, agroalimentare, autoveicoli, treni, aerei, navi, sistema moda e design, e potrei andare avanti ancora…
Vorrei soffermarmi in particolare su un dato che riguarda le imprese: il 54% del totale delle aziende che hanno beneficiato del sostegno della Farnesina è costituito da realtà medio-piccole. Ciò senza considerare che gli stessi contratti aggiudicati a grandi aziende attivano una filiera di fornitura e di indotto – evidenziata dallo studio – che è in buona parte appannaggio di aziende piccole e medie.
E’ un risultato incoraggiante, ma dobbiamo fare di più. Perché sono proprio quelle aziende che hanno bisogno all’estero di poter contare sul nostro sostegno istituzionale. Soprattutto in quei mercati emergenti, distanti dal punto di vista geografico, linguistico e culturale, ma con un elevato potenziale economico.
Penso per esempio alla Cina, dove mi recherò in missione la prossima settimana (18-19 dicembre) per presiedere il Comitato intergovernativo italo-cinese. In questo mercato le esportazioni italiane hanno registrato un vero e proprio boom nei primi dieci mesi del 2017: +24,2% rispetto allo stesso periodo del 2016 (dati SACE).
E non è un dato che riguarda solo la Cina. Le esportazioni italiane stanno trainando da diversi anni la crescita del Paese e hanno ormai raggiunto un peso del 30% del PIL. Si tratta di oltre 417 miliardi di euro, con un surplus commerciale di oltre 51,5 miliardi di euro. E a fine anno potremmo toccare il traguardo record dei 450 miliardi di euro di beni esportati (dati Ice-Prometeia).
In paesi come la Cina, ma penso anche all’India, alla Russia o al Sud Africa, il sostegno dell’Ambasciata o di un Consolato può fare la differenza. Aiutare un’azienda a superare gli ostacoli interni, significa non solo permettere a quell’azienda di collocarsi in un nuovo mercato, ma permettere a tutto il Paese di guadagnare quote di mercato rispetto ai nostri principali competitor.
Molti degli ostacoli che le aziende si trovano a dover fronteggiare all’estero sono di natura non-tariffaria, si tratta cioè di barriere sanitarie, fito-sanitarie e tecniche. La novità di questa seconda edizione del rapporto Prometeia riguarda proprio questo aspetto. Sono stati infatti misurati gli effetti dell’azione svolta dalle Ambasciate, in raccordo con i Ministeri tecnici (Sviluppo Economico, Salute e Politiche Agricole), per la rimozione di barriere non tariffarie sulle esportazioni dei beni italiani.
Il Prof. Tantazzi illustrerà i benefici prodotti da questi interventi nel triennio 2013-2015 sulle esportazioni italiane. Si tratta di interventi volti a superare le barriere non-tariffarie e che hanno generato: nel 2014, 23 milioni di euro; nel 2015, 29 milioni di euro; nel 2016, 45 milioni di euro. Quindi, come vedete, un incremento costante di anno in anno.
Quando leggiamo sui giornali che il mercato cinese si apre ai formaggi italiani, fra i quali il Gorgonzola, o che gli ostacoli alla commercializzazione della bresaola sono stati superati in Giappone, bisogna considerare che a monte è stato fatto un articolato lavoro diplomatico, in cui Ambasciata, Consolati e Ministeri tecnici hanno lavorato insieme a imprese e associazioni di categoria per consentire a quei prodotti di essere ammessi nel Paese. Una vera e propria azione di sistema.
Questo sostegno non si esaurisce all’ambito bilaterale. Siamo molto attivi anche nei contesti multilaterali, a Bruxelles così come a Ginevra, per difendere i prodotti italiani dalle barriere protezionistiche e dai regolamenti che limitano la competitività delle aziende italiane. C’è, per esempio, l’impegno a contrastare il fenomeno delle assurde politiche dei “semafori alimentari”. E’ una questione che ci interessa tutti, sia come produttori che consumatori, Governo e settore privato.
Da parte della Farnesina vi assicuro che è in corso un monitoraggio continuo della questione dei semafori, che interessa tanto le Istituzioni europee, quanto le altre Capitali europee. E ci stiamo dando da fare anche nelle Capitali extra-europee per evitare che questo sistema si possa diffondere nel mondo. Abbiamo anche nominato un Coordinatore delle politiche di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese del settore agro-alimentare (Min. Plen. Giovanni Umberto De Vito), a cui ho dato mandato di rappresentare in ogni Paese e ad ogni livello le preoccupazioni italiane sull’adozione di provvedimenti di questo genere.
Ma tutti questi risultati sono stati raggiunti grazie a quella che si definisce un’azione di sistema. E possiamo continuare ad avere successo solo se agiamo insieme. Se le imprese segnalano per tempo le loro necessità e problematiche, in modo tale da permetterci di intervenire in maniera sinergica e tempestiva.
Concludo quindi con un invito a tutte le imprese: continuate a ricorrere sempre più numerose al sostegno delle Ambasciate e dei Consolati nel mondo, nell’interesse non solo della vostra crescita ma di quella di tutto il Paese.