(Fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)
Chiarissimo Rettore, Eminenze, Eccellenze, Signore e Signori,
Sono lieto di essere qui con voi all’inizio di due giornate, fra Roma e Assisi, dedicate all’anniversario degli 800 anni di Custodia francescana in Terra Santa. Vorrei in particolare ringraziare per la loro collaborazione all’organizzazione di questi eventi il Custode, Padre Francesco Patton, e il Prof. Salvatore Martinez, Presidente dell’Osservatorio sulle minoranze religiose nel mondo e sul rispetto della libertà religiosa, che ho voluto istituire quest’anno presso la Farnesina. Un ringraziamento speciale va anche a Suor Mary Melone, che ci ospita nella prestigiosa sede della Pontificia Università Antonianum, oltre a diverse organizzazioni della Santa Sede che sono state nostri partner in questa iniziativa.
Oggi non siamo qui solo per commemorare gli 800 anni della Custodia francescana in Terra Santa, ma anche e soprattutto per ricordare l’ideale di libertà e l’impatto della sua opera diplomatica e della sua azione per il dialogo in uno dei quadranti tradizionalmente più delicati e complessi del mondo. Per questa ragione, per ricercare e riscoprire l’essenza di quasi un millennio di attività della Custodia, credo sia giusto partire dal ricordo di quello che fu il suo atto fondativo.
Ottocento anni fa, mentre si combatteva la sanguinosa e ingiustificata V Crociata, Francesco attraversò il fronte di guerra per andare a incontrare il Sultano d’Egitto, nipote di Saladino. Con la vocazione di un santo, al costo di rischiare la vita, Francesco dimostrò che la via del dialogo è sempre possibile. Il Sultano fu colpito dal gesto di Francesco e lo ricambiò con grande rispetto e stima, in un colloquio che durò non poche ore, ma diversi giorni.
Il ricordo di quella missione eroica di 800 anni fa ci sostiene nell’azione attuale. In una regione in cui, a distanza di secoli, l’odio settario è purtroppo ancora diffuso, in cui i terroristi di Daesh hanno massacrato uomini e donne considerati infedeli, in cui i cristiani sono stati costretti a fuggire in massa dall’Iraq e dalla regione che fu la culla del cristianesimo, commemorare la Custodia acquista un senso profondo di politica estera. Per 800 anni, la Custodia ha infatti svolto un ruolo fondamentale di tutela dei luoghi santi e di promozione della tolleranza e del dialogo tra religioni. Oggi, allora, non celebriamo solo una ricorrenza del nostro passato, ma indichiamo anche la via per superare nel nome di valori condivisi le violente persecuzioni e le irragionevoli contrapposizioni settarie.
Vorrei quindi ringraziare il Custode, Padre Francesco Patton, un italiano che onora l’Italia in Medio Oriente, il quale svolge la sua missione mantenendo spalancata la porta del dialogo. E, con lui, ci sono tantissimi altri francescani che operano soprattutto attraverso l’istruzione dei giovani, coinvolgendo docenti cristiani, ebrei e mussulmani. Sono i “bravi maestri” della convivenza, contro i “cattivi maestri” dell’odio, dell’intolleranza e dell’antisemitismo.
Il Convegno di oggi ci offre anche l’opportunità per riflettere sul forte legame di continuità da San Francesco a Papa Francesco. Non sono certo un teologo, ma vi confesso che un messaggio che mi ha colpito di Papa Francesco è che non dobbiamo andare lontano – non dobbiamo andare in Terra Santa – per mettere in pratica la lezione di San Francesco. Mi riferisco al suo messaggio per l’assistenza e l’accoglienza di fronte alla sofferenza di rifugiati e migranti che scappano da guerre, violenze, persecuzioni, povertà e fame.
L’Italia non si è mai sottratta a queste sfide, coniugando i principi di solidarietà e sicurezza. In questi anni abbiamo salvato 600 mila persone e mantenuto il Paese sicuro. Abbiamo dimostrato che non è sempre vero l’assioma secondo cui gli uomini politici, al contatto con il potere, finiscono per privilegiare il cinismo all’ideale. Abbiamo fatto invece prevalere le ragioni dell’individuo a quelle dei sondaggi, la centralità della persona umana all’annichilimento delle tragedie o peggio ancora dell’indifferenza. E oggi, ancora, siamo impegnati in una forte azione diplomatica e di cooperazione per mettere al centro dell’agenda internazionale i diritti fondamentali di migranti e rifugiati. Siamo noi i primi a inorridire per le loro condizioni nei centri libici, ma siamo anche noi ad esserci attivati con aiuti di cooperazione e con intese con UNHCR e OIM, a differenza di tanti altri, bravi solo a dare lezioni e a fare paternali dall’alto.
C’è un secondo concetto di Papa Francesco che, da Ministro degli Esteri, vorrei menzionare oggi. Il Santo Padre ha infatti detto che “non bisogna avere mai paura delle diversità”, poiché le diversità “ci aiutano, ci sfidano e ci arricchiscono”. Queste parole, più di ogni altre, sono per me importanti perché sono in grado di sintetizzare non solo il valore dell’azione della Custodia, mai timorosa davanti alle diversità religiose e identitarie che connotano il Medioriente; ma anche perché riassumono la linea di fondo della politica estera italiana, tradizionalmente diretta a promuovere il pluralismo e a contrastare le visioni oppressive che temono il diverso e tendono all’uniformità di pensiero.
Fateci caso: la liberta religiosa è violata, le minoranze sono discriminate, le categorie vulnerabili sono perseguitate soprattutto in quelle aree del mondo in cui si ha paura del diverso o si odia l’altrui religione, in cui non si può mettere in discussione la dottrina unica del potere costituito. E quando è vietato il pluralismo, si annichilisce ogni forma di dialogo e prevalgono prevaricazione e repressione.
Come sapete, io vengo dalla Sicilia. Un’isola che nei millenni è invece fiorita grazie alla superfetazione e alle contaminazioni di culture, fedi e lingue diverse. Palermo ne è il perfetto esempio. Il suo Emblema è la Lapide Quadrilingue. Una stele custodita nel Palazzo della Zisa, risalente al 1149, che riporta in ebraico, in latino, in greco e in arabo i diversi sistemi di datazione del mondo. E’ simbolo tangibile della convivenza e della tolleranza tra popoli e religioni con identità ben definite e ben radicate, che a Palermo hanno saputo dialogare. E non è un caso che proprio in quella Palermo medioevale si formò da ragazzo un lungimirante Imperatore la cui storia è legata alla Terra Santa. Mi riferisco a Federico II. Per anni, in un’epoca contemporanea a quella di Francesco d’Assisi, Federico eluse le richieste del Papa Onorio III di intraprendere la crociata.
Per “conquistare” Gerusalemme, Federico prima cercò di utilizzare lo strumento pacifico della diplomazia dei matrimoni. Rimasto vedovo, incontrò il Papa e si impegnò a prendere in sposa la figlia del Re di Gerusalemme. Quando poi, cedendo alle pressioni, Federico si decise di partire per la crociata, invece di combattere intavolò un negoziato con il Sultano, ottenendo la consegna di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e garanzie di movimento per i pellegrini. Si dice che durante le trattative si intrattenne in discussioni filosofiche e scientifiche con dotti musulmani; il che gli procurò accuse di miscredenza.
Questa attitudine dialogante, questo approccio rispettoso per l’altro, questa accettazione delle diverse identità religiose e culturali, questa vocazione per il pluralismo sono anche gli elementi di forza della Custodia. Ma non credo di esagerare, se mi spingo a dire che sono anche i tratti distintivi dell’Italia moderna e del genio italiano, da sempre espresso sui grandi fronti della solidarietà e della promozione del bene comune.
Se riflettiamo sulla nostra identità, possiamo dire che l’elemento che più ci accomuna è il pluralismo, inteso come molteplicità di paesaggi, di tradizioni, di architetture, di comuni, ma anche di idee, di pensieri, di produzione artistica e letteraria. E’ possibile che questo pluralismo sia stato favorito dall’assenza di materie prime nel nostro Paese e dall’esigenza di commerciare e inventare che ha spinto i migliori italiani a interagire con gli esponenti di culture e religioni diverse. Sta di fatto che, quando noi italiani abbiamo seguito questa natura pluralistica, abbiamo fatto progredire l’Italia e ci siamo affermati nel mondo. Mentre i momenti più bui della nostra storia sono connessi con i tentativi di coartare e reprimere questa vocazione. Inevitabilmente, la nostra politica estera e la nostra diplomazia traggono ispirazione e linfa vitale da questa attitudine rispettosa di culture diverse.
In questo spirito quest’anno l’Italia ha promosso la Risoluzione 2347: la prima Risoluzione del Consiglio di Sicurezza sulla protezione del patrimonio culturale nelle zone di conflitto, alla cui distruzione abbiamo assistito inerti in troppe aree del Medio Oriente. Perché gli atti di distruzione del patrimonio culturale possono essere crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Inoltre, la distruzione del patrimonio culturale rappresenta un serio ostacolo alla pace, fomentando l’odio tra le comunità e tra generazioni. La tutela secolare dei luoghi sacri da parte della Custodia assume, in questo senso, un valore altamente politico.
Sempre in questo spirito, l’Italia ha promosso e difeso l’ambiente, presentando quest’anno all’ONU la propria Strategia nazionale di sviluppo sostenibile per attuare, in Italia e all’estero, l’Agenda 2030. Un’altra sfida che lega profondamente i due “Franceschi”, grazie all’efficace sforzo di Papa Francesco per rilanciare il messaggio “ambientalista” di San Francesco nella sua Enciclica Laudato Sii.
Non ci facciamo illusioni. Quando le sfide e le crisi sono complesse e profonde – dai cambiamenti climatici alla questione israelo-palestinese – le soluzioni non sono mai a portata di mano. Il dialogo non è mai scontato e non è sempre facile. Ma è l’unica via possibile. E anche quando si protrae a lungo, resta comunque un valore fondamentale. Tanto più che, come ci ha insegnato San Francesco e ci ricorda oggi Papa Francesco, le occasioni per dialogare ci sono sempre. Basta soltanto coglierle.