I dubbi sulle capacità di controllare il traffico sui propri confini sono alla base del veto posto da alcuni paesi europei all’ingresso negli spazi di Schengen per Bulgaria e Romania. Dinanzi all’irrompere dei fenomeni legati all’immigrazione clandestina e all’incertezza sulle possibilità di effettuare un serio controllo alle frontiere orientali dell’Europa, si è al momento preferito escludere Bucarest e Sofia dal trattato che regolamenta la libera circolazione per i cittadini dei paesi che ne fanno parte.
La situazione nordafricana e quella medio-rientale, per di più, con tutti gli sconvolgimenti che stanno portando in quelle aree ed i fenomeni migratori che ne derivano, forniscono ulteriore forza a quanti si oppongono ad un allargamento dell’area sottoposta al trattato che lo stesso Presidente francese, Nicolas Sarlcozy, in piena campagna elettorale, ha annunciato di voler “rinegoziare”.
Su tutto questo abbiamo sentito l’autorevole voce di quella che è senz’altro definibile come un’esperta del settore’, Margherita Boniver, deputata Pdl e Presidente del Comitato Schengen.
On. Boniver quali sono le finalità della visita del comitato Schengen in Bulgaria e che situazione si aspetta di trovare?
La vista in Bulgaria, programmata già da tempo assieme ad una futura visita in Romania, sarà concentrata soprattutto sui temi riguardarti la richiesta del Paese di adesione al trattato di Schengen che come noto è il trattato che determina la libera circolazione all’interno dello spazio territoriale dei paesi che vi hanno aderito.
Ovviamente, prima di accettare una nuova adesione vengono poste delle condizioni come la possibilità per i paesi richiedenti di esercitare un controllo alle frontiere esterne dello spazio Schengen e quindi a oriente, nel caso specifico della Bulgaria e anche una capacità di trattamento dati indispensabile per evitare l’ovvio, cioè che assieme alla libera circolazione degli uomini e dei mezzi ci sia anche il passaggio di criminali. Sono in generale queste, tra le tante, le due condizioni più importanti per la partecipazione di un nuovo membro al trattato. In base anche al meccanismo decisionale ci sono dei Paesi all’interno dell’unione europea ed aderenti a Schengen i quali hanno detto di no alla partecipazione bulgara e romena di entrare nello spazio Schengen e quindi è, al momento, tutto rinviato. Ecco quindi il motivo della nostra visita, nel corso della quale incontreremo ministri, sottosegretari, funzionari, personalità varie, con cui affronteremo come argomento principe la richiesta bulgara di adesione a Schengen.
Quali sono le perplessità di quei paesi europei che si oppongono all’ingresso di questi due stati nello spazio Schengen?
Soprattutto le perplessità nascono intorno alle considerazioni circa le capacità di questi paesi di controllare le proprie frontiere esterne non siano sufficienti per contenere il grande numero di nomadi senza reddito che poi si spostano in Francia, Italia, Spagna, Germania, ecc., con tutti i problemi connessi a queste migrazioni illegali o comunque sregolate.
Il progetto di Schengen nasce anche con l’intento di contribuire a stabilire quel senso di unione, se così si può dire, tra i cittadini dei singoli Stati europei. Più di una volta però si è avuta l’impressione che il rischio sia quello che un simile meccanismo possa creare delle frizioni o quantomeno delle perplessità che nel corso degli ultimi anni sono emerse a più riprese sul trattato, specialmente da certa parte politica. Lei pensa che si tratti solamente di propaganda o che in effetti ci siano dei meccanismi che in effetti andrebbero aggiustati?
Il dibattito su Schengen fondamentalmente è un’analisi sulla capacità o meno di tenere al di fuori delle frontiere Schengen, per l’appunto, questa pressione notevolissima di migranti che per i più diversi motivi, soprattutto economici, ma anche di altro tipo, cercano di entrare nel territorio europeo. Ne abbiamo avuto una plateale dimostrazione quando nell’aprile dell’anno scorso sono sbarcati in poche settimane circa trentamila giovani tunisini a Lampedusa. I susseguenti movimenti di questi migranti che per la stragrande maggioranza volevano a tutti i costi andare in Francia dove c’è un forte filone di loro compatrioti, hanno comportato addirittura la chiusura delle frontiere a Ventimiglia e la minaccia appunto di sospendere Schengen. A tal proposito vale la pena ricordare che il trattato può essere sospeso in base a dei protocolli in casi eccezionali, come nel caso di motivi di ordine pubblico. Ad esempio alla riunione del G8 di L’Aquila del 2009 per ovvi motivi di sicurezza, il trattato di Schengen è stato sospeso per circa una decina di giorni.
Intenzioni preoccupanti appaiono invece quelle del Presidente francese, Nicolas Sarkozy, che ha parlato di una rinegoziazione del trattato. Come si inseriscono le affermazioni dell’inquilino dell’Eliseo nell’attuale contesto europeo già molto delicato per i flussi migratori provenienti dai paesi interessati dalla Primavera araba, alla luce della considerazione per la quale, come dimostrano le richieste di Bulgaria e Romania, lo spazio Schengen ha invece il potenziale per estendersi ulteriormente?
La questione di primaria importanza che riguarda la capacità di un qualsiasi Stato di poter controllare le proprie frontiere, evitando flussi abnormi di immigrazioni che determinano poi tutta una serie di problematiche, soprattutto in un momento di grande crisi economica e finanziaria che colpisce molti paesi anche europei, è un tema certamente di bruciante attualità. Credo che le parole di Sarkozy vadano interpretate in questo senso, ovvero che vadano intese tenendo presente l’esigenza di far tornare la capacità di ogni singolo stato di determinare i flussi migratori nel modo che meglio ritiene. In secondo luogo, senza intaccare il trattato di Schengen che pure rappresenta una straordinaria conquista di libertà per tutte le popolazioni dei paesi europei che possono viaggiare tranquillamente nei territori sottoposti al trattato senza dover più essere necessariamente in possesso di passaporto, credo che Sarkozy volesse dire più flessibilità e maggiore duttilità nell’interpretare quella parte di Schengen che riguarda il controllo delle frontiere esterno verso i possibili filoni migratori. Quindi meno burocrazia e meno potere ai burocrati di Bruxelles.
Proprio da Bruxelles è arrivata una prima risposta a Sarkozy, precisamente dal commissario europeo per gli Affari interni, Cecilia Malstroem che, cito testualmente, ha seccamente detto: “Noi non interveniamo mai nella campagne elettorale degli stati membri”. Qual è la sua idea in proposito?
Volendo interpretare il riferimento di Sarkozy, probabilmente aveva a che fare anche con le straordinarie proiezioni di Marine Le Pen che fa una campagna elettorale molto giocata sulla paura della “invasione” degli immigrati irregolari. Quindi, magari, le parole del Presidente francese possono essere interpretate come una sorta di rincorsa su parole che hanno presa sui cittadini, alla luce dei problemi quotidiani che questi si trovano ad affrontare.
Passando ad un fronte completamente diverso, quello inerente la questione siriana, è possibile che nonostante la situazione sia precipitata ormai da tempo si continui a starsene con le mani in mano senza intervenire in alcun modo per tentare di porre fine ad uno stato di cose pericolosamente degenerato?
Siamo dinanzi ad un’assoluta vergogna. E’ inaccettabile il balletto a cui assistiamo, di rimpallo di responsabilità e di sostanziale paralisi da parte dell’Onu nei confronti di questa mattanza che continua imperterrita e che anzi aumenta, come dimostrano le ultime atrocità avvenute ad Homs. Si era in un primo momento parlato di un piano della Lega Araba, poi della Lega Araba e della Russia, poi è nata un’ipotesi, sostenuta soprattutto dalla Turchia, inerente l’apertura di un corridoio umanitario che evidentemente avrebbe dovuto essere anche un corridoio di lascia passare per evacuare i feriti dai territori assediati da Hassad, poi abbiamo avuto la nomina di Kofi Annan, una personalità di altissimo livello, i paesi europei vanno avanti con le sanzioni, ma fino ad adesso tutto ciò ha prodotto zero e questo urla vendetta. L’errore di fondo è stato quello di escludere immediatamente, proclamandolo ai quattro venti, ogni più pallida ipotesi di un’eventuale intervento armato per la protezione umanitaria, esattamente come invece venne deciso trenta giorni dopo la prima manifestazione di protesta a Bengasi l’anno scorso per la Libia. Il timing per affrontare la questione libica è stato stupefacente perché c’è stata una prima manifestazione di protesta a Bengasi a febbraio e già il 17 marzo l’Onu passava alla risoluzione 1973 con la quale si dava via libera agli interventi militari. Dopo un mese quindi, mentre per il caso siriano è passato un anno e con la diplomazia non si è ottenuto nulla, ma in compenso ci si è legati le mani perché aver totalmente escluso qualsiasi ipotesi di bombardamento nella sostanza ha rappresentato questo. L’unico leader politico ad aver ventilato, nel corso di un discorso di qualche settima fa, sebbene come una lontanissima ipotesi, la possibilità di un intervento armato è stato David Cameroon.