Come disse Mark Twain, questa è la Birmania, e sarà diversa da qualsiasi altro Paese che conoscete…». La citazione di Giulio Terzi di Sant’Agata è un auspicio perché, con il G8 dei ministri degli Esteri la prossima settimana a Washington, e poi la riunione dell’Ue a Bruxelles del 23 aprile, si apre una settimana decisiva. In agenda, l’allentamento delle sanzioni. L’Italia punta decisamente ad un’apertura di credito, tanto che il capo della nostra diplomazia sarà in Birmania già il 25 aprile. «Aung San Suu Kyi è stata eletta alle elezioni suppletive che hanno visto una forte affermazione del suo partito, la Lega Nazionale della Democrazia, e questa è una svolta significativa, l’Italia incoraggia ancor più Myanmar sulla via delle riforme», dice Terzi marcando la continuità, «è la linea del nostro Paese da tre anni a questa parte, la stessa seguita anche dall’inviato speciale dell’Unione Europea, Piero Fassino». Che infatti accompagnerà il ministro nella missione, assieme a un gruppo di imprenditori «dei tipici settori del manifatturiero italiano, a cominciare dalle aziende che si occupano di infrastrutture, e dell’energia naturalmente, essendo la Birmania ricchissima di materie prime»
Dunque, ministro, l’Italia, per una volta, punta sull’apertura di un nuovo mercato, dopo essersi fatta scappare- non mantenendo gli impegni – per vent’anni quelli all’epoca emergenti dell’Estremo Oriente, a cominciare dalla Cina. Che cosa la spinge a credere che si consoliderà il processo di apertura alla democrazia del regime, e al punto da offrire garanzie per gli investimenti stranieri?
«I risultati nelle elezioni suppletive di pochi giorni fa, andati oltre ogni aspettativa, si iscrivono in un quadro nel quale il governo birmano ha assicurato la correttezza di quelle stesse elezioni, così come confermato dagli osservatori internazionali. Sono stati liberati gran parte dei prigionieri politici e il governo, come mi ha riferito qui a Roma anche il viceministro degli Esteri birmano Myo Mint, è favorevole a riforme anche economiche. La Birmania ha risorse energetiche enormi, una posizione strategica nel Sud-Est asiatico, e sta maturando la volontà di regolare pacificamente anche i rapporti, finora spesso sanguinosi, con le etnie ai confini con Thailandia e India. Crediamo che l’Europa debba superare le sanzioni economiche, incoraggiando il governo birmano all’ulteriore liberazione di 150 prigionieri politici, e ad intraprendere la via delle riforme».
Prima di lei in Birmania è arrivata Hillary Clinton, a marcare il credito che l’Occidente dà alla nuova Birmania. Eppure, è ancora in vigore la Costituzione del 2008 che permette al tatmadaw, all’esercito, di riprendere il potere…
«La capacità di mediare di Aung San Suu Kyi è tale che ha dimostrato in vent’anni, e pagando alti prezzi personali, che si possono affermare i principi democratici. E’ stata anche capace di mediare all’interno del suo stesso partito, portandolo su una posizione favorevole alla riconciliazione nazionale. Inoltre, la Lega ha vinto 43 seggi sui 44 disponibili, ma gli equilibri parlamentari non si sono spostati in maniera tale che i tradizionalisti si possano sentire minacciati. Si apre, pure per il regime, un’importante occasione di svolta».
Anche per sottrarsi al soffocante abbraccio della Cina?
«Anche. Ma forse è interesse pure della Cina una Birmania che si sviluppa ed esce da un isolamento che rappresentava un percorso implosivo per la sua stessa società. Siamo in una situazione win-win, vincere-vincere, come diciamo noi diplomatici. E questo, vorrei sottolinearlo, grazie ad Aung San Suu Kyi, un personaggio della caratura di Gandhi. Sempre di più sulla scena politica le donne dimostrano di avere forza traente per la democrazia. Capaci con il loro coraggio di creare consenso e sostegno. Come del resto la yemenita Tawakkul Karman, anche lei premio Nobel per la pace, che mi ha raccontato il suo impegno per l’opposizione in Siria. C’è un filo che lega l’impegno di queste due grandi figure femminili».
In Myanmar lei ha in agenda anche incontri con rappresentanti di dieci «piccoli» Paesi dell’Estremo Oriente. Ma con Monti vi siete divisi l’Oriente, al premier il compito di recuperare con i «grandi» e a lei quello di aprire i nuovi mercati?
«L’obiettivo è la crescita del Paese. Ma l’autorevolezza, mi creda, è diversa…».