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Dettaglio intervista

I Balcani come mercato economico fondamentale per lo sviluppo dell’Italia, nell’ottica di una integrazione europea in grado di assicurare stabilità e cooperazione tra i popoli. In sintesi è questa la “formula” dell’Ostpolitik italiana tracciata dal ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata. La crisi economica tocca anche la Slovenia: parte della popolazione ne subisce gli effetti in modo pesante, e le misure di risanamento si ripercuotono anche sul quadro politico. Quale può essere il ruolo dell’Italia come Paese vicino e primo partner europeo nell’interscambio commerciale?


E’ un ruolo che può fare la differenza per la qualità della collaborazione e per lo spessore delle relazioni economiche. Lei ricorda giustamente l’interscambio: parliamo di circa 6,5 miliardi di euro nel 2011, cioè del 40% dell’interscambio commerciale totale tra l’Italia e gli 8 Paesi dei Balcani. Siamo anche il terzo investitore estero nel Paese. I Balcani hanno bisogno di più integrazione economica con l’Europa: non c’è ricetta migliore per dare ossigeno alle loro economie. Sotto questo profilo, quella fra Italia e Slovenia è una storia di successo che può essere portata come modello da seguire.


E in quest’ottica il presidente Napolitano sarà in Slovenia…


La visita del Capo dello Stato che inizia domani è la conferma, al più alto livello, della priorità con cui l’Italia guarda ai Balcani, alla loro crescita, alla progressiva integrazione regionale nel più ampio contesto europeo ed alle opportunità che quest’area offre alle nostre imprese sempre più alla ricerca di nuovi mercati. È in questo contesto che il 19 luglio l’Italia presenterà a Bruxelles la sua “Strategia per i Balcani Occidentali”, che abbiamo elaborato nella convinzione che solo superando le antiche barriere, consolidando le istituzioni politiche nazionali e cooperando tra di loro in modo virtuoso sarà possibile per i Paesi balcanici darsi una prospettiva europea credibile e sostenibile.


Con Lubiana sono oggetto di discussione dossier importanti, come le reti ferroviarie ad alta velocità. È fiducioso che prevarranno i motivi di convergenza?


Prevarranno certamente, perché Roma e Lubiana la pensano allo stesso modo. Siamo entrambi alla ricerca di quella che si definisce “win win situa-tion”, che non solo è alla nostra portata, ma che in fondo è il naturale sbocco dei nostri rapporti, se il tema delle reti infrastrutturali viene affrontato in chiave europea. Il prevalere di interessi di breve periodo sarebbe invece dannoso per tutti: occorre visione e, ripeto, una prospettiva europea.


Anche il sistema macroportuale del Nord Adriatico sembra lontano.


Ma la riunione del Comitato dei ministri a Lubiana è vicina, al 17 settembre mancano poche settimane, e sarà un’occasione per presentare progressi tangibili nei progetti di collegamento ferroviario Trieste-Divaccia e Trieste-Capodistria e programmi concreti per sfruttare sino in fondo la vantaggiosa posizione naturale dei porti del Nord Adriatico, le interconnessioni del mercato unico, le reti energetiche e dei trasporti. L’Italia punta molto sui mercati dell’Estremo Oriente, ed è nostro interesse che le merci in transito dall’Europa centrale e orientale passino per i porti dell’Adriatico. L’abbattimento dei costi moltiplica i volumi degli scambi, senza contare i benefici per l’ambiente.


Altro capitolo è quello dei beni abbandonati dagli esuli. È ancora valido lo schema degli Accordi di Roma del 1983 con la Jugoslavia?


Direi che ci sono questioni in sospeso che vanno appianate. La Jugoslavia versò soltanto 17 milioni di dollari, ne mancano 93, lo sappiamo bene. Occorre lavorare per gli indennizzi e per la restituzione degli immobili agli esuli. Ciò detto, mi lasci anche ricordare che il punto vero non è solo finanziario, è anche politico.


Lei pensa al tema delle minoranze?


Certo, le minoranze italiane in Slovenia, Croazia e Montenegro e le minoranze di lingua slovena, croata e albanese in Italia non sono un problema, sono una ricchezza e un’opportunità, e come tali le percepiamo. Esse danno grande dinamismo ai rapporti economici e culturali fra le società civili. È con coerenza che l’Italia ha sempre sostenuto la prospettiva europea dei Balcani: non è un credito di poco conto quando si affronta il tema dei diritti delle nostre minoranze in quei Paesi.


La Croazia il prossimo anno sarà la 28ma stella d’Europa. Ma anche 11 il rigore di bilando si avverte pesantemente.


E’ vero, però ora Zagabria può contare su una nuova prospettiva. Proprio due giorni fa la Commissione europea ha presentato una nuova proposta per il Quadro finanziario pluriennale 2014-20, che ora include anche la Croazia. Come membro dell’Unione, Zagabria potrà beneficiare in pieno di nuove risorse e delle varie forme di finanziamento europee, come i fondi strutturali e il fondo di coesione. Parliamo, in concreto, di quasi 14 miliardi di euro in sette anni.


L’Italia si è spesa molto per l’ingresso della Croazia nell’Ue. Come pensa ora di “accompagnare” Zagabria in questo ultimo e non certo facile tratto di cammino verso Bruxelles?


Con la stessa convinzione con cui, primo Stato fondatore dell’Ue, l’Italia ha ratificato, a tempo di record, il Trattato di adesione. Siamo il primo partner commerciale della Croazia ed un importante investitore nel Paese.


La comunità internazionale, e gli Stati Uniti in particolare, seguono molto da vicino le evoluzioni politiche in Serbia dopo l’elezione di Nikolic. Come si sta muovendo l’Italia?


Il presidente Nikolic ha confermato a Bruxelles, il mese scorso, l’obiettivo di aderire all’Ue. Lo ha ribadito negli incontri che ha avuto con noi a livello di governo. Aspettiamo che il nuovo esecutivo prenda forma. Sono molto fiducioso che la Serbia proseguirà il percorso delle riforme e tornerà ad impegnarsi per la normalizzazione dei suoi rapporti con Pristina, che resta la condizione per l’avvio dei negoziati di adesione. Conto di recarmi a Belgrado quanto prima.


La Bosnia si dice pronta a trattare con l’Ue per ottenere lo status di Paese in via di adesione, ma anche a Sarajevo la situazione politica è molto instabile.


Non dimentichiamo i progressi importanti degli ultimi mesi. Penso all’approvazione delle leggi di bilancio, sul censimento e sugli aiuti di Stato. Altro segnale importante è il varo del dialogo ad alto livello sul Processo di Adesione. La situazione politica in Bosnia è complessa, ma credo che vi siano le condizioni affinché le riforme si mantengano al centro dell’agenda di governo. Intanto, sosteniamo l’entrata in vigore dell’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione con l’Ue: aiuterà molto lo sviluppo economico del Paese e gli darà maggiore credibilità quando busserà alle porte dell’Europa.


Bisogna avere il coraggio di riscrivere Dayton?


La storia non si riscrive. Talvolta ci induce a prendere coscienza dei nostri errori, ma non è questo il caso. I principi rimangono validi. Non credo si possa mettere in dubbio che etnie e religioni diverse debbano coesistere pacificamente. Anche il quadro “due Entità e tre popoli” rimane valido. L’Italia si è molto battuta per rafforzare la presenza dell’Ue nel Paese, e far si che si realizzino al più presto quelle condizioni che consentiranno la chiusura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante.


Paradossalmente a questo punto sembra il Kosovo l’area più “tranquilla”…


Le istituzioni kosovare debbono fare la loro parte nel settore della sicurezza, ed effettivamente i segnali sono incoraggianti. A settembre verrà formalizzata, con il decisivo sostegno anche dell’Italia, la fine della supervisione internazionale. Continuerà invece l’attività della missione europea Eulex, competente per le dogane, la giustizia e l’ordine pubblico, con lo scopo di promuovere l’adeguamento del Kosovo agli standard europei. Ci aspettiamo che Pristina si impegni nel dialogo con Belgrado, facilitato dall’Europa: Europa della quale entrambe hanno bisogno.

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