NEW YORK
LA «LINEA rossa di Netanyahu» è davvero un segnale di guerra per il 2013?
«Attaccare l’Iran, per l’Italia e il resto d’Europa, è un salto nel buio, con grandissimo rischio e conseguenze destabilizzanti per l’intera regione. Noi — dice il ministro degli Esteri Giulio Terzi, in visita al Palazzo di Vetro — siamo convinti che il percorso che stiamo seguendo da diversi anni abbia avuto un salto di qualità con l’applicazione delle sanzioni petrolifere e di nuove misure durissime che Bruxelless discute in questi giorni. Bisogna insistere. Occorre premere sul regime, affinché ritorni al tavolo del negoziato, ma non per parlare di procedure, ma del programma nucleare»
In Siria c’è la proposta di difendere anche militarmente le zone liberate dai ribelli. L’Italia cosa farà?
«Ne abbiamo discusso con le principali componenti dell’opposizione siriana all’esterno e all’interno del Paese. E un’ipotesi suggestiva, che presenta però complessità progressive. Per istituire delle zone protette’ ci vuole un impiego molto significativo di mezzi militari e soprattutto un’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. E qui ricadiamo nella trappola dell’irrilevanza del Consiglio di Sicurezza in questi mesi, a causa dei veti di alcuni membri permanenti, che hanno riportato l’Onu a un clima da anni Novanta. C’è qualcuno che non capisce che con la guerra non si va da nessuna parte e affidandosi allo status quo di un conflitto che si aggrava e diventa endemico, si aprono sempre più spazi al jihadismo».
Il bacino del Mediterraneo è in fiamme, la primavera araba sta mostrando il suo volto violento. L’Italia è esposta. Libia ed Egitto rimangono affidabili per le nostre imprese e per i nostri mercati?
«Il presidente Morsi lo ha dimostrato col suo discorso all’Onu. L’Egitto di domani vuole diventare un Paese integrato e moderato in un sistema di nazioni moderate, anche se al suo interno esistono forze fondamentaliste. Morsi sta intensificando i suoi legami con l’Europa su economia, libertà d’impresa e ricerca. L’Italia viene dichiarata dal Cairo il principale partner di riferimento in Europa. Questi rapporti eccellenti e a tutto campo ci sono anche con la nuova Libia, riconosciuti nella «dichiarazione di Tripoli», che si ricollega al trattato italo-libico. Nel documento sono contenute le linee per il controllo delle frontiere, l’immigrazione, gli accordi per le infrastrutture, i crediti alle aziende, sui quali è già avviato il negoziato che proseguiremo col nuovo governo. Contribuiremo anche a creare delle strutture amministrative in Libia che oggi mancano».
Nei corridoi dell’Onu lei si è incrociato più volte con le autorità indiane. Che speranze vi hanno dato sulla decisione della Corte Suprema sui due marò?
«Ci siamo già visti 100 volte su questo caso. Abbiamo fiducia nella sentenza della Corte indiana. Voglio pensare positivo e restiamo in attesa. Se non riuscissimo a riportarli a casa, anche il tavolo delle Nazioni Unite potrebbe diventare importante per affrontare questa vicenda. Dovrà essere però una decisione collegiale all’interno del governo, perché si tratterebbe di una disputa tra Stati».
L’Italia torna in pista perla riforma del Consiglio di Sicurezza. Ma non siamo un Paese sottorappresentatoroanche a livello dei funzionari delle Nazioni Unite, mentre l’Onu potrebbe essere un ottimo sbocco per giovani che voglio intraprendere una camera e un servizio nell’organismo internazionale?
«Siamo uno dei principali Paesi fornitori di peacekeepers, e uno tra i più attivi nell’addestramento. Siamo convinti che il Consiglio di Sicurezza vada adeguato ai tempi e ampliato. La nostra battaglia parte da lontano e venne rilanciata con forza dall’ambasciatore Paolo Fulci, del quale mi onoro di essere stato un collaboratore. Oggi occorre dare al Consiglio di Sicurezza una rappresentazione migliore del mondo e spazio a Paesi importanti di altri continenti, come l’Africa. Se non sarà possibile cancellare il diritto di veto per i 5 membri permanenti, il gruppo ‘United for consensus’, di cui siamo promotori, chiederà che i nuovi Stati a rotazione vengano democraticamente eletti e non cooptati. Con Monti abbiamo incontrato la componente italiana dentro l’Onu. Non è numerosa, ma molto qualificata. Puntiamo ad avere funzionari ad alto livello. Ci stiamo muovendo, ma chiederemo che venga dato qualche spazio in più anche ai nostri giovani più brillanti».