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Dettaglio intervista

Il ministro degli Affari esteri Giulio Terzi, che domani a Milano aprirà il Forum della cooperazione, tira le somme della settimana Onu alla 67^ Assemblea generale, alla quale ha partecipato anche il premier Monti. Siria e marò sono le due grandi questioni che restano aperte, ma il bilancio che il ministro traccia, lascia intravedere un lavoro di ricomposizione paziente per riportare l’Italia a essere il punto di riferimento europeo per l’area mediterranea. Giulio Terzi è tornato da ministro degli Esteri all’Onu, dove ha operato a più riprese nel corso della carriera diplomatica, fino a diventare capo della Rappresentanza italiana presso le Nazioni Unite. Ride quando gli si chiede com’è tornare a casa. «Strano, bello. Sono preoccupatissimo però per la paralisi del Consiglio di sicurezza. Sembra di essere tornati agli anni ’90, con questa difesa di sfere di influenza attraverso il veto».


Il governo tecnico ha ormai dieci mesi. Che cosa significa farne parte come ministro?


«Per me significa viaggiare molto più di quanto facessi da ambasciatore. In questi mesi il lavoro è stato soprattutto di tessitura. Ora penso che il disegno complessivo cominci a vedersi».


Il premier Monti proprio qui a New York ha per la prima volta dichiara una sua disponibilità a eventualmente ricoprire un ruolo anche oltre la scadenza del governo tecnico nel caso il Paese lo richiedesse. La disponibilità sarebbe personale o dello staff?


«Le parole del presidente Monti confermano quello spirito di servitore dello Stato che ha animato la sua azione in questi mesi. È questa la cifra del Governo Monti».


Marò: la situazione è ancora sospesa. Eppure la Carta dell’Onu stabilisce la giurisdizione del Paese di provenienza sui soldati in missione internazionale.


«La situazione, come ho già detto, è inaccettabile e inammissibile. Aspettiamo con trepidazione e fiducia la sentenza della corte suprema indiana. Il diritto internazionale è dalla nostra parte. Quello stesso diritto che regola le operazioni di pace cui l’India, grande democrazia, partecipa attivamente e che quindi confidiamo intenda rispettare».


Ministro, l’Italia ha sostenuto le primavere arabe, ma la delusione sembra ora prevalere nelle popolazioni dell’area.


«Eppure un processo di cambiamento è stato avviato e, sicuramente con situazioni a rischio ancora da chiudere, penso al disarmo in Libia, questa settimana sono stati portati all’Onu segnali importanti. Penso al discorso del presidente egiziano Morsi che dà spazio alla speranza che un Islam moderato nel Mediterraneo possa rafforzarsi come interlocutore per l’Europa. I rapporti con l’Egitto restano per l’Italia cruciali, sia dal punto di vista politico sia economico visto che rappresentano un quinto dei nostri scambi nell’area. La riunione dei Paesi del G8 con i partner del Mediterraneo qui a New York, alla quale ha partecipato il segretario di Stato Hillary Clinton, è stata centrata sul tema dello sviluppo della piccola e media impresa nei Paesi della primavera araba. E l’Italia ha riscosso da Clinton un forte apprezzamento per quanto stiamo facendo, dato che il 98% di queste economie è costituito proprio da piccole imprese. La cooperazione economica diventa un fattore di stabilizzazione anche politica».


Gli incontri di preparazione e il lavoro condotto questa settimana indicano che l’Italia riprende la tradizionale attenzione verso Mediterraneo e Africa?


«Diciamo un Mediterraneo che si prolunga a est e a sud. Con l’intento di dare spazio alla diplomazia della crescita, attraverso accordi economici, e alla diplomazia politica per incanalare e facilitare la comunicazione di questi Paesi verso l’Europa. È un compito per l’Italia naturale, vista la sua collocazione geografica, e assolutamente essenziale per l’area».


Va inserita in questo quadro la firma del Tap con Grecia e Albania, l’accordo per il gasdotto tran adriatico avvenuta venerdì?


«È un progetto strategico per tutta l’Europa che permetterà al gas proveniente dal Caucaso di arrivare nei paesi Ue diminuendo la dipendenza da altre fonti. L’idea è di far diventare l’Italia una sorta di hub per l’interscambio Mediterraneo-Europa. Continueremo su questa strada, in questi giorni abbiamo fissato l’incontro con il segretario dell’unione per il Mediterraneo, Sijilmassi E se allarghiamo lo sguardo all’Africa, c’è il positivo accordo di collaborazione Sudan/Sud Sudan per la collaborazione commerciale e la divisione del petrolio. Un accordo che l’Italia ha sempre caldeggiato, in una visione di sicurezza dell’area».


Ma c’è anche la Siria: lei ha detto che la carneficina deve finire, ma anche che il modello libico di intervento internazionale è improponibile.


«Lo è. Ma dobbiamo fronteggiare l’emergenza umanitaria di centinaia di migliaia di profughi, destinati a crescere. L’unico dato positivo, emerso anche dagli incontri che abbiamo avuto a Roma prima dell’Assemblea, è che i diversi gruppi siriani sembrano maggiormente decisi a coordinarsi. La comunità internazionale può per ora lavorare sui margini. Si è ripreso a parlare di corridoi umanitari nelle zone non più controllate dal regime, ci stiamo lavorando».


Ma la decisione spetta al Consiglio di sicurezza, che è bloccato.


«L’aspetto più triste di tornare all’Onu da ministro degli Esteri è stato trovare un Consiglio paralizzato, tornato agli anni Novanta mentre la necessità della riforma Onu è assoluta. In Siria i corridoi devono essere garantiti da forze militari internazionali e per questo occorre l’assenso del Consiglio di sicurezza».


Insieme alla Siria è stata la questione iraniana, in particolare l’intervento del primo ministro israeliano Netanyahu, a essere protagonista dell’Assemblea con la trovata didattico-politica della linea rossa disegnata sul grafico a forma di bomba.


«Tutti i Paesi della regione e l’Unione europea sono molto preoccupati per il programma nucleare iraniano. La sicurezza di Israele è fondamentale e Netanyahu ha voluto mostrare con chiarezza che intende fermare il processo prima che sia possibile costruire una bomba, confermando ancora una volta che l’ipotesi di un attacco all’Iran è tra le opzioni sul tavolo. Noi condividiamo l’obiettivo di impedire all’Iran di avere capacità militari nucleari, ma crediamo che la sanzioni al momento restino strumento efficace da utilizzare e rafforzare».


Presentata la biografia dell’ex segretario


«Hammarskjold, l’ex leader ha rivoluzionato l’Onu» (L’Eco di Bergamo)


30 settembre 2012


L’eco di Bergamo


Valeria Robecco


«Mai misura re l’altezza di una montagna fino a che non ne hai raggiunto la cima, allora capirai quanto fosse bassa»: per il ministro degli Esteri Giulio Terzi è racchiusa in queste parole «l’eredità più importante dell’ex segretario generale dell’Onu, Dag Hammarskjold, che ancora sopravvive nelle Nazioni Unite del 21 secolo».


Il titolare della Farnesina, insieme al vice segretario generale Jan Eliasson, ha presentato ieri all’Istituto italiano di cultura di New York il libro di Susanna Pesenti, giornalista dell’Eco di Bergamo, sul secondo leader del Palazzo di Vetro, in carica dal 1953 al 1961, di cui lo stesso ministro ha redatto la prefazione.


Hammarskjold, morto una notte di oltre cinquant’anni fa nei cieli del Congo (allora Rhodesia del Nord), nel corso di una missione di pace nel Paese africano, è raccontato come una figura poliedrica, di grande fascino umano e politico. E soprattutto un riformatore. «Quando, il 18 settembre 1961, è morto Dag Hammarskjold, ero un giovane cadetto della Marina svedese. Quel giorno ho deciso che avrei servito le Nazioni Unite», ha raccontato Eliasson.


Per Terzi Hammarskjold è «un personaggio complesso, motivato da valori etici forti e radicati, mosso dal senso di una missione forse impossibile per quei tempi, ma di grande rilievo persino in un lunghissimo orizzonte temporale». Peacekeeping, evoluzione del sistema Onu, imparzialità e indipendenza: questi sono per il ministro tre aspetti di un’eredità che si è spesso incrociata con l’azione dell’Italia all’estero, e la vocazione del nostro Paese ad un multilateralismo incentrato sulla democrazia e sul dialogo.


Congo allora, Siria oggi: «Dobbiamo riformare il Consiglio di Sicurezza il più presto possibile perché le Nazioni Unite abbiano l’efficacia necessaria a risolvere le crisi internazionali», ha ribadito Terzi.