Gentile direttore,
la lettera del signor Luigi Cortesi pubblicata ieri dal suo giornale mi offre l’opportunità di informare i lettori de «L’Eco» sulle due questioni in essa evocate. Sul procedimento disciplinare nei confronti del ministro plenipotenziario Mario Andrea Vattani è opportuno ricordare i fatti, come già illustrato in occasione di interrogazioni parlamentari. La decisione dell’Amministrazione di richiamare il ministro plenipotenziario Mario Andrea Vattani dal suo precedente incarico di console generale a Osaka e la sanzione inflittagli dalla Commissione di disciplina del ministero degli Esteri sono state motivate – peraltro separatamente, ciascuna nel suo specifico e indipendente ambito procedimentale e giuridico – dalla constatazione del danno d’immagine prodotto all’Amministrazione da specifici comportamenti posti in essere dal ministro Vattani.
La validità del richiamo è stata confermata dalla ordinanza del Consiglio di Stato che ha affermato che «le acquisizioni istruttorie dell’Amministrazione fanno risaltare un quadro probatorio vasto e coerente e l’ampia risonanza dei fatti contestati». Non è quindi in alcun modo la passata appartenenza del ministro Vattani a una formazione politica ad essere stata posta in discussione, bensì l’incompatibilità tra specifici comportamenti (parole e gesti) chiaramente «identitari» – quali manifestatisi nell’esibizione del maggio 2011 presso «Casa Pound» a Roma e avversivi delle istituzioni repubblicane – e le funzioni di alta rappresentanza dello Stato proprie di un console generale all’estero.
Quanto alla vicenda dei nostri due fucilieri di marina in India, il cui legame logico con un caso disciplinare interno alla Farnesina appare francamente incomprensibile, lascio alla responsabilità ed al grado di informazione dell’autore della lettera il riferimento in essa contenuto. Colgo comunque l’occasione per ricordare a beneficio dei lettori del «L’Eco», i fatti e l’azione svolta dal governo italiano con il sostegno del Parlamento, in dialogo continuo con la pubblica opinione e con aggiornamenti costanti della stampa nazionale. L’ingresso della nave Enrica Lexie in acque indiane è stato il risultato di un sotterfugio della polizia locale, che ha richiesto al comandante della nave di dirigersi nel porto di Kochi per contribuire al riconoscimento di alcuni sospetti pirati. La «consegna» dei marò è poi avvenuta solo a seguito di un’azione di forza della polizia indiana che era salita a bordo della Enrica Lexie. Di fronte a queste circostanze, l’obiettivo immediato – poi raggiunto – era quello di ottenere condizioni di detenzione favorevoli e adeguate allo status di membri delle forze annate, eseguire immediatamente tutte le azioni che assicurassero un’efficace presenza italiana «nel vivo» di tutte le indagini, e fare in modo che la difesa legale, in tutti i gradi di giudizio, avvenisse con costante impegno e con la presenza di un team qualificatissimo di giuristi italiani e internazionali. Sono oltre cinquanta i funzionari, tra legali, periti, diplomatici, impegnati su questo dossier.
Sul piano diplomatico il ministero degli Esteri, in stretto raccordo con i ministeri della Difesa e della Giustizia e sotto la guida della presidenza del Consiglio, svolge un’azione a tutto campo per far valere i due principi fondamentali che, secondo il diritto internazionale, si applicano a questo specifico episodio: la giurisdizione esclusiva dello stato di bandiera nelle acque internazionali e l’immunità di due militari che operano quali agenti dello Stato italiano nell’attività di contrasto alla pirateria. Si tratta di un’azione di sensibilizzazione condotta con il sostegno di importanti Paesi amici e organizzazioni internazionali. Abbiamo portato il caso all’attenzione dell’Unione europea, del G8, dell’Asean. Io stesso ne ho parlato al Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Sarebbe troppo lunga per gli spazi di un quotidiano l’elencazione dettagliata degli oltre 100 incontri nei quali ho personalmente sollevato la questione in occasione di colloqui bilaterali con i paesi a noi più vicini o di conferenze internazionali. Poche settimane fa lo stesso presidente del Consiglio, nel più vasto e autorevole consesso internazionale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha sottolineato come il «precedente indiano» possa pericolosamente ripercuotersi sull’efficacia delle operazioni internazionali di contrasto della pirateria e del terrorismo.
Non ci fermeremo fino a quando Salvatore Girone e Massimiliano Latorre non saranno tornati a casa, e confido quindi che chi è davvero interessato alla loro sorte continui a esprimere vicinanza e sostegno ai nostri due uomini e a stimolare, anche in maniera critica, l’azione del governo con lo spirito di chi «gioca nella stessa squadra» e nella convinzione che stiamo tutti lavorando nella stessa direzione.
Grato per la cortese pubblicazione, con molti saluti cordiali.