Mentre i razzi di Hamas raggiungevano Tel Aviv e Gerusalemme, il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata – ambasciatore d’Italia in Israele tra il 2002 e il 2004 – contattava sia il collega egiziano Kemal Amr, sia il capo della diplomazia israeliana Avigdor Lieberman, perché l’Italia, come l’Europa, guarda con preoccupazione al riacuirsi dello scontro israelo-palestinese, a un passo dalle elezioni politiche nello Stato ebraico.
Ministro, qual é lo scenario ora in Medio Oriente?
«Siamo preoccupati da quest’enorme offensiva missilistica partita da Gaza. La reazione israeliana è molto dura, anche se ampiamente anticipata. E se gli arabi parlano di un impiego sproporzionato della forza, appare inutile discettare su cosa sia proporzionato e che cosa no: è essenziale fermare la violenza e allentare la tensione».
Come?
«L’Egitto ha un ruolo importante, e ad Amr ho sottolineato le aspettative dell’Unione europea. Che, a sua volta, intende essere un elemento dinamico per far ripartire le trattative, visto che siamo il maggior contribuente dell’Anp, oltre che soggetto cooperatore a Gaza. I fatti di queste ore mettono a rischio la stabilità dell’intera regione, soprattutto in un momento assai delicato per l’Onu: l’Anp presenterà una risoluzione per il riconoscimento della Palestina quale Stato non membro delle Nazioni Unite, che potrebbe essere votata entro la fine del mese».
Con quale esito?
«E molto probabile che passi. Un’eventualità che impensierisce l’Ue: la risoluzione potrebbe bloccare i negoziati, perché percepita come un intervento esterno in uno schema negoziale bilaterale. E, certo, ci si interroga anche sulla coincidenza tra quest’iniziativa e il crescendo degli attacchi di Hamas, che potrebbe voler così dimostrare una maggior incisività sul territorio».
A Gaza, in questo momento, ci sono anche cooperanti italiani.
«Sì, otto verranno via e due intendono restare. L’Unità di crisi segue da vicino la loro situazione, così come quella dei connazionali residenti nelle città israeliane confinanti con la Striscia».
Che ruolo potranno avere gli Usa nella risoluzione della crisi?
«Uno dei motivi per cui la rielezione di Barack Obama mi ha dato fiducia è stato proprio il suo impegno sul processo di pace, che ora può manifestarsi, spero, con un’iniziativa nuova, attesa anche da Bruxelles. Non dimentichiamo che il 22 gennaio prossimo Israele tornerà alle urne, un paio di giorni dopo l’insediamento ufficiale di Obama alla Casa Bianca. Per l’inizio dell’anno, dunque, è probabile che gli americani rifocalizzeranno il loro intervento sul processo di pace. É opinione condivisa da noi europei che lo status quo non sia più sostenibile, così come il congelamento del dialogo. La pensa diversamente l’attuale governo israeliano, per il quale le incognite sul futuro rappresentano una minaccia».
Restiamo sugli Usa. Alcuni osservatori hanno notato che la crisi europea non è entrata nella campagna elettorale. Che succederà ora?
«In realtà, la Casa Bianca ha mantenuto un’attenzione costante sulla crisi dell’euro, ed è positivo lo stretto rapporto creatosi tra Obama e Monti che, in realtà, coinvolge tutti gli attori europei. Anche perché se Mitt Romney era molto chiaro su politica fiscale e liberalizzazione, non lo era altrettanto sui rapporti con l’Ue».
Intanto, però, a Bruxelles si discute sui tagli di bilancio.
«Sì, la Gran Bretagna vorrebbe conservare i vantaggi sui pagamenti di cui gode dai tempi di Margaret Thatcher. Al momento, la discussione è sul livello complessivo dei finanziamenti. L’Italia, essendo un contributore netto, è molto attenta a come sarà distribuito il plafond sui fondi di coesione, ricerca e partenariato meridionale. E se il negoziato non si chiuderà entro fine anno, non sarà un dramma».
La crisi pesa anche sulle nostre istituzioni. Considera giusto che siate costretti a chiudere le sedi estere mentre le Regioni conservano le sedi di rappresentanza?
«La Farnesina ha fatto enormi sacrifici per riuscire a non chiudere alcuna sede. Un esempio per tutti: abbiamo conservato il consolato a Capodistria. Come pure contribuiamo alla diffusione delle nostre imprese in Asia e nel Mediterraneo. Certo, soffriamo: due anni fa sono state tagliate sette strutture dirigenziali, negli ultimi otto anni il blocco del turn over ha ridotto il personale del 30% e il nostro bilancio è passato in pochi anni da 2,5 a 1,6 miliardi».
I rumor di queste ore raccontano di un pressing di Obama e Merkel per una lista Monti alle prossime politiche.
«Quarant’anni di attività diplomatica mi hanno insegnato a non farmi suggestionare dalla dietrologia di influenze esterne. La risposta la daranno gli italiani al momento del voto e la capacità di organizzarsi delle forze politiche in vista della scadenza».