L’Italia ha votato sì alla richiesta palestinese di diventare Stato osservatore all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ne parliamo con il ministro degli Esteri, Giulio Terzi.
Ministro, cosa accadrà ora?
«Le priorità assolute sono il rilancio del processo di pace e la stabilizzazione della regione mediorientale, che è assolutamente necessaria e per la quale tutti devono impegnarsi. I Paesi europei si sono presentati molto divisi nel voto all’Onu, ma concordano sull’essere fattori di impulso del processo di pace. L’Italia e i Paesi Ue vogliono rappresentare un elemento costruttivo per il rilancio della pace nella regione. Quanto al voto all’Assemblea generale dell’Onu, è stata una decisione sicuramente ponderata: la linea del governo italiano é stata espressa dalla presidenza del Consiglio ed é stata ben chiarita nel comunicato del premier. Ora i palestinesi devono impegnarsi a sedersi al tavolo del negoziato senza precondizioni; a non utilizzare il successo in seno all’Assemblea generale come un elemento per avviare procedimenti presso la Corte penale internazionale, nel senso di un’ulteriore pressione giuridica e politica su una delle due parti del negoziato. Soprattutto, serve l’impegno a vedere nel complesso delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza una chiave fondamentale per portare avanti il negoziato».
II bacino del Mediterraneo è per noi cruciale, ma se guardiamo alla crisi dell’area non possiamo che preoccuparci.
«In Siria l’utilizzo di armi bandite dalla comunità internazionale e addirittura su bambini è un ulteriore e intollerabile innalzamento del livello dell’attacco ai civili delle milizie di Assad, cominciato con la pulizia etnica nelle città. È una guerra civile orribile. E tuttavia ci sono sviluppi importanti per un dopo Assad. A Doha, per la prima volta, le opposizioni si sono coalizzate lungo la linea di un’inclusività che l’Italia incoraggia, dandosi strutture di direzione politica e comando delle operazioni che dovrebbero anche bloccare la penetrazione di forze jihadiste e aumentare l’efficacia militare».
Qual è il ruolo dell’Italia?
«L’Italia, con i principali Paesi europei, con gli Stati Uniti e con i Paesi del Golfo, è fortemente impegnata a sostenere questo processo di costruzione di un’alternativa al regime. L’aver nominato un inviato speciale per il Medio Oriente all’inizio del mandato mi ha consentito di svolgere un’azione diretta. Siamo nei gruppi più ristretti di consultazione e siamo in contatto con diversi livelli dell’opposizione. Abbiamo ospitato numerosi incontri a Roma, e, per citare un esempio, qualche giorno fa ho ricevuto una trentina di partecipanti a un corso di formazione con attivisti venuti da Damasco e Homs. Il vero punto è la posizione della Russia. Ma ora la guerra civile rappresenta una minaccia che la coinvolge».
Veniamo a Gaza e al ruolo determinante dell’Egitto, dove però ora l’opposizione interna al leader sta crescendo.
«Per la seconda volta il presidente Morsi ha colto un momento favorevole all’esterno per ridisegnare le cose all’interno, prima coni militari ora con i giudici. È fondamentale tener presente e sostenere il suo ruolo nel processo di pace, visto che ora le forze radicali potrebbero portare a una seria destabilizzazione dell’area».
Tra i rischi c’è anche l’intolleranza religiosa, tema sul quale lei è molto impegnato.
«Impossibile non esserlo. Penso ai cristiani uccisi in Nigeria. Parlerò presto con l’arcivescovo di Abuja, il cardinal Onaiyekan, per congratularmi personalmente per la porpora e per sottolineare l’attenzione con la quale il governo italiano segue la situazione. Sul dialogo interreligioso abbiamo bisogno dell’appoggio dei Paesi africani. Dopo l’iniziativa all’Onu con la Giordania, stiamo organizzando un Forum internazionale a febbraio e a Bruxelles abbiamo posto la questione come prioritaria nell’agenda europea».
In Europa, come membro del gruppo Weimar Plus che riunisce i ministri di Esteri e Difesa di Italia, Francia, Germania, Spagna e Polonia, lei ha lanciato l’iniziativa «More Europe» per il coordinamento delle politiche di Difesa. In cosa consiste?
«Occorre andare verso un mercato unico dell’industria della Difesa, tenendo conto che l’Europa deve saper efficacemente cooperare al suo interno per promuovere la sua sicurezza esterna, dalle missioni all’estero alla sorveglianza verso le possibili situazioni di crisi che tocchino i Paesi vicini, alle missioni umanitarie e di mediazione per affrontare situazioni come quelle del Mali e della Somalia. Il primo passo è avere tecnologie avanzate meno costose e più efficienti, in un periodo in cui gli Stati nazionali dispongono di risorse sempre più esigue e le crisi sono sempre più multidimensionali. La Difesa è un tema cruciale, ad esempio, nei rapporti con la Russia e in questi mesi abbiamo più volte sottolineato che il concetto di indivisibilità della sicurezza rende indispensabile la cooperazione con la Russia. Quello fra la Nato e la Russia è un rapporto che consideriamo strategico e al quale teniamo molto. Ne ho parlato nei mesi scorsi nei miei incontri avuti a Mosca sia con Medvedev che con il collega Lavrov, evocando lo “spirito di Pratica di Mare”, e lo ribadirò alla riunione del Consiglio Nato-Russia la prossima settimana a Bruxelles».
Intanto l’America riparte con Obama. Un Paese che lei conosce molto bene.
«Nel secondo mandato Obama si apre un nuovo spazio di collaborazione in ambito G8 e G20, per strutturare con nuove regole commerciali tutta l’area e per rilanciare la crescita. Un nuovo modo di intendere il rapporto transatlantico e, in particolare, i rapporti con l’Unione europea L’esperienza di questi anni vissuti fra le due sponde dell’Atlantico mi ha insegnato che gli Stati Uniti chiedono un’Europa solida e coesa, con una voce sola e un profilo alto nello scenario internazionale. Per questo nei contatti di questi mesi con Washington e negli incontri con Hillary Clinton ho sottolineato il forte contributo del governo Monti per far uscire l’Europa dalla crisi».