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Bonino: «Investimenti in viaggio – Destinazione Italia» (Il Mondo)

«Il messaggio che vogliamo mandare è chiaro: l’Italia è un Paese che può attrarre perché crede nei suoi mezzi e ha voglia di funzionare meglio di prima. Per farlo dobbiamo anzitutto lavorare per diventare un Paese un pò più normale». Emma Borino non è tipo che si abbatte. Benché al piano «Destinazione Italia» sia toccato un debutto non proprio brillante, offuscato da un lato dall’incombente rischio di caduta del governo, dall’altro dalle polemiche esplose sui casi Telecom e Alitalia, il ministro degli Esteri non molla. Anzi, rilancia. «Il piano del governo per attrarre investimenti internazionali è in piena attuazione, anche se forse molti mass media, e pure molti politici, trovano più attraenti altri temi. Proprio in queste settimane è in corso una consultazione pubblica su ogni singola misura del rapporto: cittadini, associazioni, imprese possono integrare, commentare e suggerire modifiche al documento. E il governo ne terrà conto in fase di attuazione». Ma in quali tempi? «Il documento è stato adottato il 19 settembre e da qui a fine anno dobbiamo trasformarlo in norme e atti amministrativi». Pensate nelle stanze della Farnesina, le 50 mosse contenute nel provvedimento rappresentano lo strumento operativo di quella diplomazia della crescita che Bonino ha posto al centro dell’azione del suo dicastero fin dall’inizio del mandato.


Arrivata al giro di boa dei sei mesi, è soddisfatta dei risultati raggiunti?


Abbiamo lavorato per fare in modo che la diplomazia della crescita fosse una priorità di tutto il governo. Appena insediati abbiamo convocato la terza riunione della Cabina di regia per l’Italia internazionale e lì abbiamo fissato priorità e obiettivi, per esempio quello di raggiungere 545 miliardi di euro di esportazioni nel 2015 (nel 2012 il valore dell’export è stato di circa 390 miliardi di euro, ndr). Abbiamo anche deciso un rilancio delle missioni, sia istituzionali che imprenditoriali. A oggi si sono tenute la missione di sistema negli Emirati Arabi Uniti, cui hanno partecipato 130 imprese, e la missione in Canada, un Paese in crescita economica in cui non andavamo da dodici anni. Ci sono poi successi immediatamente misurabili, come la commessa vinta a luglio da Ansaldo Sts in Arabia Saudita per la realizzazione della metro di Riyadh, quasi 700 milioni di euro. Da maggio a oggi, la Farnesina ha segnalato quasi 3.500 gare bandite all’estero: le imprese italiane si sono aggiudicate 19 commesse, ciascuna di valore superiore a 50 milioni di euro grazie al sostegno del ministero e della sua rete estera. La firma degli accordi per il Trans adriatic pipeline (Tap), che porterà il gas azero fino alle coste della Puglia, infine, è un risultato di grande valore strategico, in quanto, quando entrerà in funzione, accrescerà la sicurezza dei nostri approvvigionamenti energetici.


Il lancio di Destinazione Italia, nelle intenzioni, il fiore all’occhiello della diplomazia della crescita, è stato messo in ombra dalle reazioni ai casi Telecom e Alitalia, quasi una certificazione di quella doppia sindrome che, secondo il presidente del Consiglio Enrico Letta, il piano avrebbe dovuto contrastare: la sindrome dell’outlet, per cui attrarre investimenti significherebbe svendere allo straniero; e quella di Fort Apache, che spinge alla difesa dell’esistente.


Vorrei porre io una domanda: qual è l’interesse nazionale che il governo ha il compito di tutelare? In entrambi i casi, a mio modo di vedere, l’obiettivo dell’esecutivo deve essere quello di garantire a cittadini e imprese un accesso conveniente a servizi importanti, come la rete telefonica e le linee aeree. Indipendentemente dal colore della bandiera di chi fornisce il servizio. Se riesce in questo intento, ha fatto il suo dovere. Su Alitalia, poi, se l’interesse nazionale è garantire rotte adeguate al nostro Paese, allora la partita industriale e strategica si gioca sugli hub. Non dimentichiamo che tra poco più di un anno avremo Expo: e senza hub capaci di far convergere rotte importanti avremo grossi problemi a portare in Italia i turisti e gli investitori che ci aspettiamo di attrarre. Gli hub italiani hanno bisogno di più voli, soprattutto a medio e lungo raggio, per essere valorizzati e valorizzare l’Italia.


L’Italia attrae poco più dell’1 % dello stock di investimenti globali: un’inezia. In che modo le 50 misure contenute nel provvedimento contribuirebbero a creare un ambiente più accogliente per imprese e capitali stranieri?


Gli ostacoli che bloccano l’arrivo di investimenti dall’estero sono gli stessi che rallentano le imprese italiane, e che potremmo riassumere in una parola sola: incertezza. Con Destinazione Italia garantiremo tempi certi per fisco e autorizzazioni, un diritto del lavoro comprensibile, una giustizia civile e tributaria che non penalizzi le esigenze delle imprese.


Oltre all’aspetto quantitativo, c’è una questione di qualità degli investimenti da attrarre.


Attrarre investimenti esteri significa poter fare molte cose che da soli non siamo in grado di fare: pensi a una multinazionale che sceglie l’Italia per aprire un centro di ricerca insieme a una nostra università. A uno straniero che decide di valorizzare un pezzo di cultura italiana invece di lasciarla nei magazzini. O a un investitore che mette capitali in una azienda italiana che è competitiva dal punto di vista industriale, ma magari ha difficoltà finanziarie per la crisi.


Sul fronte opposto, ma altrettanto cruciale, dell’internazionalizzazione delle imprese italiane, quali iniziative ha assunto il ministero?


Facciamo molte cose, e cerchiamo di farle con più efficienza con mezzi sempre più scarsi. Innanzitutto forniamo assistenza tramite le nostre ambasciate e consolati, nei quali oggi sono anche integrate le unità dell’Agenzia Ice.


Stiamo vicini alle aziende, soprattutto piccole e medie, nella partecipazione alle gare e nell’individuazione dei referenti istituzionali. Facciamo promozione: coinvolgiamo le imprese nelle Country presentation e nei Business forum, e cerchiamo di portarci dietro le aziende nelle missioni istituzionali nei mercati più importanti.


L’impiego a scopi commerciali della rete diplomatica ha fatto storcere il naso a molti, convinti chi agli ambasciatori tocchino compiti più nobili. Come risponde?


Abbiamo una nuova generazione di diplomatici, con un numero crescente di donne, sempre più consapevoli di come sia cambiato il loro ruolo nella proiezione del Paese nel mondo. E sanno benissimo che la diplomazia economica e culturale è altrettanto importante di quella più tradizionale.


È stata annunciata la riorganizzazione del sistema di ambasciate e consolati: a fronte dell’apertura di tre nuove destinazioni in Asia, verranno chiuse 14 sedi in Europa, America e Australia. Messa così, sembra più un’operazione finalizzata al taglio dei costi.


Stiamo adeguando e riorientando la nostra rete estera alle esigenze del sistema Paese. Credo che la rete di ambasciate e consolati debba riflettere la proiezione futura di una nazione, non il ricordo del suo passato. Stiamo dunque chiudendo alcuni consolati in Europa, dove ormai gli italiani sono a casa loro, per aprire alcune nuove sedi in Asia, dove i nostri interessi economici hanno sempre più bisogno di sostegno: una nuova ambasciata in Turkmenistan e due nuovi consolati in Cina (Chongqing) e Vietnam (Ho Chi Minh City).


Non si può fare a meno di notare che il contesto internazionale non sembra granché favorevole al dispiegamento delle nostre relazioni commerciali: nel Mediterraneo e in Medio Oriente l’instabilità mette a rischio i nostri interessi nell’area, in Libia, soprattutto, ma anche in Tunisia ed Egitto. Ci sono poi una serie di casi, come quello dei marò in India, di Battisti in Brasile e la vicenda Shalabayeva in Kazakistan, che complicano i nostri rapporti con Paesi di grande interesse economico. Come conta di affrontare queste situazioni?


Si tratta di temi molto diversi che richiedono risposte diverse. Tutti í Paesi, di volta in volta, hanno periodi ed episodi di tensione politica, o con partner commerciali importanti. Noi cerchiamo di affrontarli al meglio nel rispetto delle leggi e della dignità delle persone senza demordere di fronte al caos politico. Tunisia, Egitto, Libia sono realtà variegate che vanno trattate con strumenti di diversa complessità. Su tutti i casi singoli menzionati esiste una storia per ciascuno che meriterebbe un lungo approfondimento. Con l’India, le relazioni commerciali si mantengono buone. Come con altri Paesi asiatici, esiste un potenziale inespresso. Non definirei il caso marò un ostacolo su questo percorso di crescita, ma è indubbio che sia una questione spinosa a cui l’Esecutivo dedica la massima attenzione. Da sempre sosteniamo la giurisdizione italiana del caso e continuiamo a ribadirlo in tutte le sedi internazionali. Pochi giorni fa l’inviato speciale Staffan de Mistura è tornato in India per effettuare ogni passo necessario con le autorità locali affinché possa concludersi nei tempi più brevi l’indagine prima del processo.