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Pistelli: «La nuova cooperazione priorità nell’agenda 2014» (l’Unità)

Le nuove frontiere della cooperazione, la presenza italiana a «Ginevra2» e il dialogo con l’Iran di Hassan Rohani. Sono i temi conduttori dell’intervista a l’Unità a Lapo Pistelli, vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione e all’Iran.


Come ci si sente ad aver strappato 10 milioni di euro aggiuntivi per la Cooperazione allo sviluppo nella Legge di Stabilità per il 2014?


«Come uno che ha ottenuto il 100% dei risultati promessi in sede internazionale e agli attori italiani della Cooperazione. Sei mesi fa ci suggerivano di considerare i 100 milioni strappati da Andrea Riccardi (ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione nel governo Monti, ndr) nel 2012 come un bonus non ripetibile. Abbiamo riconfermato l’intero stanziamento, aggiungendo il 10% in più. Sia chiaro: sono sempre risorse modeste rispetto ai partner europei. Ma l’inversione di tendenza si consolida per il secondo anno. Quello che abbiamo portato a casa è un investimento in pace, prevenzione dei conflitti, sviluppo sostenibile ed è un investimento sulla nostra credibilità europea e internazionale. Con questo stanziamento viene pienamente rispettato l’obiettivo fissato dal Documento di Economia e Finanza 2013. Si tratta di un obiettivo di fondamentale importanza, in quanto in tal modo sarà possibile non solo garantire l’operatività della cooperazione italiana, ma anche confermare il processo di graduale riallineamento dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo del nostro Paese ai parametri internazionali, nonché il mantenimento di impegni presi in diverse sedi multilaterali».


È solo un discorso quantitativo?


«Le risorse sono un tassello di una strategia che riguarda poi le regole, il modo in cui l’Italia partecipa alla ridefinizione internazionale degli obiettivi, il semestre in cui avremo la presidenza dell’Unione europeo, Expo 2015. Più in generale, non mi stanco di ripeterlo, l’obiettivo strategico è quello di spostare la Cooperazione dall’agenda degli addetti ai lavori a un ruolo più centrale, uno dei modi con cui l’Italia si definisce quando va nel mondo. Insomma, un aspetto della sua identità».


Per regole intende la riforma di una legge, la «49»sulla cooperazione e lo sviluppo, che data ormai 27 anni?


«Già dalla domanda si comprende quanto sia urgente adeguare il vestito a un corpo trasformato. Un quarto di secolo fa, alcuni Paesi che oggi sono grandi donatori erano all’epoca Paesi sottosviluppati, Reagan e Gorbaciov governavano il mondo, il Muro di Berlino era ancora in piedi…Devo ancora dimostrare il bisogno di un cambiamento?».


Il cambiamento, va bene. Ma in quale direzione?


«La mia proposta aggiorna la fotografia di tutti i nuovi attori che 25 anni fa non c’erano; aggiorna i nuovi strumenti finanziari di Cooperazione, le nuove partnership fra donatori e riceventi. Insomma, da un vecchio mondo in bianco e nero al nuovo mondo digitate 2.0. La Cooperazione è parte integrante della politica estera. Il sistema si doterà di un’Agenzia specializzata, come tutti i nostri partner europei, con poteri operativi. Vi sarà una regia politica unica, quella del Cics (Comitato interministeriale per la Cooperazione e lo Sviluppo) ma tutti i soggetti – non soltanto, dunque, il tradizionale Aiuto Pubblico allo Sviluppo – concorreranno a definire insieme obiettivi e programmi, come strumenti diversi di una sola orchestra. Adesso contiamo sul Parlamento per un’analisi condivisa e intensa del ddl di riforma della legge sulla cooperazione internazionale che sarà a breve all’attenzione del Consiglio dei ministri».


A proposito della politica estera. L’Italia è stata chiamata a far parte della Conferenza di pace, la cosiddetta «Ginevra2», sulla Siria.


«Non nascondo un senso di soddisfazione carico di un altrettanto senso di responsabilità. “Ginevra2” sarà un esercizio difficilissimo, quasi spericolato. Ci arriviamo perché in questi mesi abbiamo dato prova di una lettura intelligente a autonoma degli eventi, del panorama delle forze in campo. Ci arriviamo forti del tentativo riuscito di non far imboccare scorciatoie militari, e sull’onda di una gestione positiva del complesso dossier sulla distruzione degli armamenti chimici di Bashar al-Assad. È stato altrettanto importante farci carico dei rifugiati, in Siria Libano, Giordania e Kurdistan iracheno. Insomma, è un invito che ci siamo guadagnati con la politica».


Una politica che guarda a Teheran, dove ieri è iniziata la visita della ministra degli Esteri, Emma Bonino.


«La nostra è una politica che guarda con la giusta attenzione in tutte le direzioni in cui sta accadendo qualcosa. E l’Iran del presidente Rohani è indubbiamente una di queste direttrici. D’altro canto, noi siamo colpiti dall’attivismo inedito americano che cerca di risolvere con gli strumenti della diplomazia le tre questioni regionali più calde: Siria, Iran e il processo di pace israelo-palestinese. È una sfida ardita: se riuscisse, sarebbe il più importante ridisegno pacifico del Medio Oriente. Altro che la democrazia in punta di baionetta dei teocon! È però indispensabile che tutti gli attori della Regione provino a cercare un risultato utile per loro in tutti e tre i dossier, rinunciando a un vecchio schema, il gioco a somma zero, in cui uno vince solo se il suo avversario perde. Quello schema ha fragilizzato per trent’anni il Medio Oriente. Nel XXImo secolo abbiamo tutti bisogno di questo nuovo approccio, per dare alla Regione stabilità. Con la cooperazione, con le missioni di peacekeeping, con un po’ di diplomazia brillante, magari con più Europa, ce la possiamo fare».