Questo sito utilizza cookie tecnici, analytics e di terze parti.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookie.

Preferenze cookies

Mogherini: “Putin deve fermarsi. Nessuno vuole una guerra nel cuore dell’Europa” (La Repubblica)

Il ministro degli Esteri Federica Mogherini spiega a Repubblica la posizione dell’Italia nella crisi ucraina: «Insieme all’Occidente possiamo porre fine all’escalation». E delle misure da adottare a livello internazionale si è discusso in una telefonata tra il premier Matteo Renzi e il presidente Usa Barack Obama: al vaglio possibili nuove sanzioni contro la Russia.


«In Ucraina la Russia di Putin si deve fermare: non possiamo rischiare una guerra in Europa. Credo nessuno la voglia, tutti sperano che non ci sarà, per questo Mosca si deve fermare. Poi bisognerà riavviare un processo che abbia come obiettivo di tenere unita l’Ucraina». Federica Mogherini, nuovo ministro degli Esteri, era appena arrivata nel palazzone bianco della Farnesina quando è esplosa la crisi ucraina.


Ministro, sul terreno la situazione è ancora confusa


«Ci sono accelerazioni e frenate che sono pericolosissime, perché possono far saltare questo processo di dialogo messo in piedi per congelare la crisi militare e passare a una fase di de-escalation. Una settimana fa eravamo sull’orlo di una guerra aperta. La crisi oggi forse può essere risolta, ma continuiamo a registrare atti sul terreno, dichiarazioni, prese di posizione molto pericolose. Se anche uno solo di questi atti innesca qualcosa di non previsto, tutto rischia di finire fuori controllo».


Finora il governo italiano è stato molto cauto


«Innanzitutto c’è un paese, l’Ucraina, profondamente diviso. A volte è passato un messaggio semplificato, tutti “buoni” contro tutti “cattivi”. La realtà delle cose è più complessa. Io sono stata in Ucraina, da parlamentare, 20 giorni fa. C’è voglia di Occidente, di Europa, di modernità, ma ci sono anche delle spinte estremistiche, radicalismi neofascisti o neonazisti che sono inquinanti. Dobbiamo evitare che il paese si disgreghi, portando instabilità e una vera e propria crisi militare nel cuore dell’Europa».


L’Italia è stata molto attenta nel non criticare apertamente l’intervento militare russo. Perché? Nei vostri ragionamenti è così presente il tema della dipendenza energetica, degli interessi economici con la Russia?


«In questi giorni nelle valutazioni del governo non c’è nessuno che abbia fatto riferimento prevalente, importante o anche solo marginale a questi temi. Noi italiani non siamo dipendenti dall’economia russa: lo sono tutti gli europei. E gli stessi russi sono profondamente dipendenti dalle nostre economie.Questa è la globalizzazione: l’interdipendenza ci costringe alla responsabilità, ce la impone. Tutti sappiamo oggi che una guerra sarebbe impossibile perché devastante, per tutti. Siamo costretti a lavorare insieme, come scriveva saggiamente Kissinger: dobbiamo evitare che si alzi un nuovo muro tra Oriente e Occidente».


Un altro tema fondamentale è quello dei marò: lei ha telefonato al ministro degli Esteri indiano. Perché?


«L’ho chiamato per fargli sapere che non accettiamo il corso che la vicenda sta seguendo, in India. E per tenere aperto il canale politico attraverso cui ripetiamo il nostro messaggio: non riconosciamo la giurisdizione indiana, tantomeno accettiamo nel processo il coinvolgimento della polizia antiterrorismo, e quindi la strada è quella della internazionalizzazione della vicenda. Non è un caso bilaterale Italia-India, ma riguarda il modo in cui la comunità internazionale opera contro la pirateria».


Ministro, la vicenda ucraina si è incrociata con un’alta crisi delicatissima per l’Italia, quella in Libia, forse la meno riuscita fra le cosiddette”primavere arabe”. Giovedì a Roma c’è stata una conferenza Onu


«Sulle primavere arabe io condivido la lettura che ne dava Emma Bonino. I processi di democratizzazione sono lunghi, complicati e richiedono tempo. Non dovevamo affrettarci a celebrare acriticamente la vittoria del risveglio democratico, ma oggi non dobbiamo affannarci a dichiararne il fallimento definitivo. Noi abbiamo grande aspettativa sul fatto che i libici riescano a costruire un percorso di stabilizzazione».


L’altra “primavera” complicata è quella egiziana: siamo tornati ai militari, agli eredi di Mubarak


«A Roma ho incontrato il ministro degli Esteri egiziano: la cosa su cui ho insistito con lui è la necessità di avere percorsi inclusivi. Nessuno si può illudere di governare un paese così grande e complesso senza riconoscerne tutte le componenti politiche. E quindi anche quel terzo della popolazione che ha sostenuto i Fratelli musulmani. Non si tratta di discutere il fallimento o meno di una esperienza di governo, si tratta di dare diritto di cittadinanza a tutti gli egiziani».

Ti potrebbe interessare anche..