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Giro: «Per una primavera araba ed europea» (Avvenire)

Non è bello essere arabo di questi tempi»: inizia così L’infelicità araba, l’ultimo libro di Samir Kassir, libanese e già caporedattore di El Nahar, uno dei fogli più indipendenti del suo Paese. «Il mondo arabo – si legge – è la zona del pianeta dove l’uomo ha minori opportunità, a eccezione dell’Africa sub sahariana». Kassir è stato ucciso a Beirut nel 2005 e la sua morte violenta è sembrata il suggello alle sue idee. Bloccato da un immobilismo storico, nessuno si aspettava più nulla di buono da un mondo arabo preso dai suoi demoni e attanagliato tra dittature e terrorismo.


La sponda sud del Mediterraneo era considerata chiusa o pericolosa. In pochissimo tempo tutto è cambiato e l’Europa – Italia in prima linea – si è trovata davanti a un mondo molto più in movimento di quello che credeva. Inizialmente abbiamo visto una sorta di “felicità araba”: giovani generazioni che fanno cadere regimi quarantennali e innescano una transizione che si configura come il cambiamento geopolitico più importante dal 2001. Per alcuni 1’11 settembre e le sue conseguenze conflittuali sono parse superate dalla “primavera” che stava cominciando a investire tutti i Paesi arabi. Poi, la primavera si è trasformata in un inverno ed è riapparsa “l’infelicità araba” con le sue contraddizioni. La posta in gioco politica è grande: quale futuro ci attende, quali nuovi governi e soprattutto quale nuovo equilibrio tra religione e politica, tra sunnismo e sciismo, tra islam e democrazia? Si tratta di situazioni molto diverse e possiamo provare a interpretare le trasformazioni in atto secondo varie chiavi di lettura.


Abbiamo visto spegnersi vecchi regimi una volta considerati rassicuranti alleati, evidenziando le nostre debolezze di analisi e di presenza, davanti a ribellioni senza leader, la mancanza di informazioni e di contatti con mondi nuovi in emersione. In questa nuova fase, l’Europa ha molti ruoli da svolgere. Deve trovare il modo di accompagnare il cambiamento con una nuova politica. In Medio Oriente si sta giocando una resa dei conti, forse l’ultima mano della partita tra Iran e Arabia Saudita.


L’Europa deve tenerlo presente se vuole fermare il dramma siriano. Un altro tema è quello delle minoranze, e in particolare quelle cristiane. Si tratta certamente di un antico mosaico complesso e variegato, in Paesi come il Libano, la Siria e l’Iraq. Oggi le minoranze cristiane sono terrorizzate dal cambiamento di regime a Damasco. L’Europa non deve scandalizzarsi di tali posizioni, ma farsi garante delle minoranze con più forza e più incisività: solo in questo modo potrà convincerle ad accettare la democrazia, cioè la legge del numero. La domanda è: equilibrio tra componenti diverse della società (meccanismo che in Europa chiameremmo comunitarismo) o diritti di cittadinanza individuale? La democrazia all’occidentale deporrebbe per quest’ultima soluzione, ma nulla vieta che gli arabi trovino una loro forma originale. Infine, l’Europa deve accompagnare economicamente i mutamenti in corso. Di sola democrazia non si vive e se non c’è sviluppo si rischia il nascere di un nuovo populismo nazionalista arabo, magari legittimato dall’islam. Indietro non si torna e non ritroveremo i “rassicuranti” regimi di prima. Dobbiamo scommettere nella trasformazione e aprire i nostri mercati verso Sud così come è stato fatto negli anni Novanta verso est. Non si tratta di un’operazione semplice: ancora oggi nell’est europeo vediamo riemergere il demone della xenofobia, del localismo e del populismo ogni qualvolta la situazione economica diviene più difficile. La difficile via araba alla modernità ha bisogno urgente di pane e lavoro: l’Europa può trovare nella sua sponda sud uno sbocco produttivo e di vocazione in un periodo “difficile” in cui cerca per se stessa un’identità e una missione.